La Repubblica, 1 febbraio 2015 (m.p.r.)
Inevitabile che la Panda grigia di Sergio Mattarella che sfila fino alle Fosse Ardeatine, ultimo gesto privato e insieme primo gesto pubblico del nuovo presidente, si imprima nella retina del pubblico, vasto o meno vasto, che ancora guarda a Roma non come a un enorme detrito o a un incomprensibile groviglio di cinismo e di intrallazzi, ma come alla capitale del paese. L’utilitaria grigia di famiglia, non la berlina blu di Stato, trasporta l’uomo che incarna le istituzioni, e tanto basterebbe ad accendere l’attenzione.
La politica è fatta (anche) di simboli e ai simboli si aggrappa soprattutto quando si sente impoverita di significati e svuotata di prestigio. Del presidente uruguagio Pepe Mujica è proverbiale e notissimo il Maggiolino parcheggiato davanti alla porta di casa; magari meno l’opera politica, significativa almeno quanto l’automobile. Ma parole e gesti possono essere simbolici tanto quanto lo “stile”. E in questo senso la scelta di Mattarella di andare alle Fosse Ardeatine è stata potente e spiazzante, anche per l’impressionante scarto tra quel luogo tragico e solenne e lo scadente calibro che la politica per prima sembra concedersi, sfibrata da una crisi che in Italia non è solo economica. Il rischio retorico non è stato neppure considerato, è stato semplicemente polverizzato dal gesto di Mattarella: come se la misura della politica e delle sue istituzioni non fosse, per la persona che sale al Quirinale, neppure in discussione.
L’equazione nazismo-terrorismo non è nuova, Parigi l’ha appena fatta sua dopo le stragi islamiste, e anche in quel caso l’unità della Nazione (là soprattutto con la imponente comunità di musulmani francesi) è stata evocata, anzi rievocata come solo antidoto efficace allo smarrimento e alla paura, come negli anni terribili della guerra e dell’occupazione nazista. In una brevissima dichiarazione, raccolta dai pochi presenti e non in favore di telecamere, il nuovo presidente ha citato “l’alleanza tra Nazioni e popolo che seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario” aggiungendo che “la stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore”.
Che le radici della nostra democrazia e della Repubblica, e subito dopo dell’unità europea, affondino nella sconfitta del nazifascismo non è un’opinione, sono pagine di storia (italiana ed europea). Però sbiadite, per quasi l’intero corso della seconda Repubblica; e spesso rilette come ragione non di unità nazionale, ma di divisione. L’antifascismo defalcato da sentimento fondante (e politicamente plurale) della nostra comunità nazionale a causa di lite tra opposte fazioni, quasi una vecchia bega che il trascorrere degli anni rende sempre più immotivata, anacronistica, ridicola. Il breve pellegrinaggio del dodicesimo presidente della Repubblica alle Fosse Ardeatine, per quanto informale, prende di petto quella impostazione, tra l’altro molto tipica dei nuovi partiti e movimenti populisti. E sottolinea, al contrario, la vitalità non solo simbolica ma anche politica delle radici antifasciste e antitotalitarie dalle quali nacque la stagione costituente: non si combatte il nuovo terrore se ci si dimentica come si è combattuto, sconfiggendolo, quello vecchio.
Sarà interessante capire se la prima sortita di Sergio Mattarella da presidente verrà intesa da tutti come “unitaria”, e da quanti tra gli attori della politica italiana, media compresi. O se qualcuno la considererà “divisiva” per il solo fatto che rimette l’accento dell’identità politica nazionale, e continentale, sull’antitotalitarismo e l’antirazzismo, ovvero sulla democrazia. E’ come se i primi, timidi abbozzi di una Terza Repubblica trovassero ispirazione più nel dna politico della Prima che nella confusa vitalità della Seconda. Si presume che il dodicesimo presidente, andando con mezzi propri e idee proprie alle Fosse Ardeatine, sapesse che non è un gesto qualunque e forse, alla luce della nostra storia politica recente, neppure un gesto neutrale.