A trent’anni di distanza da quel 26 aprile del 1986 giornali e televisioni ricordano il grave incidente che porta il nome di Chernobyl; in quella cittadina dell’Ucraina, allora sovietica, che nessuno aveva mai sentito nominare, in uno dei quattro reattori della centrale nucleare, per l’interruzione della circolazione dell’acqua di raffreddamento si verificò la fusione del “nocciolo”, un insieme di tubazioni di acciaio che contenevano grandi quantità di atomi radioattivi: uranio, plutonio e i loro prodotti di fissione che il mondo avrebbe imparato a conoscere per nome: cesio, stronzio, iodio radioattivi.
Le conseguenze ambientali, economiche e politiche dell’incidente di Chernobyl furono grandissime. Le fiamme e i fumi fuoriusciti dal tetto scoperchiato di quella centrale segnarono di fatto la fine dell’avventura nucleare italiana e anche nel resto del mondo fecero svanire il sogno dell’elettricità illimitata a basso costo. Da allora le oltre 400 centrali nucleari esistenti nel mondo hanno continuato a produrre elettricità; alcuni reattori sono stati chiusi anticipatamente, qualche nuovo reattore è stato anche costruito. Da alcuni anni la produzione mondiale di elettricità nucleare è in continua diminuzione, dal 14 percento della produzione mondiale di energia elettrica nel 2000, all’attuale meno del 10 percento. Della scelta atomica ci restano le crescenti quantità di scorie radioattive prodotte dai reattori nucleari militari e commerciali, che nessuno sa dove sistemare, una eredità che lasciamo alle generazioni future.
Ma la tragedia di Chernobyl ebbe anche altri volti che sono rimasti poco noti o dimenticati. Mi riferisco agli operai, ingegneri, volontari, pompieri, presenti o venuti dalle città vicine, che si adoperarono con i pochi mezzi a disposizione, nella grande confusione di strutture contorte e crollate, per spegnere l'incendio e che, per fermare la fuoriuscita di materiale radioattivo, esposero le loro vite a radiazioni mortali; morirono quasi tutti, così come morirono i piloti degli elicotteri che, a ripetizione, sorvolarono il reattore ancora in fiamme per gettare al suo interno centinaia di migliaia di tonnellate di sabbia e cemento e piombo, in modo da fermare la reazione nucleare che procedeva ancora.
Se non ci fosse stato il loro sacrificio, la radioattività delle polveri e gas che si sparsero e ricaddero in Europa avrebbe avuto conseguenze ben più disastrose. La storia è raccontata da Grigori Medvedev nel dimenticato libro Dentro Chernobyl, pubblicato nel 1996 dalle edizioni La Meridiana di Molfetta, un libro che dovrebbe essere letto nelle scuole perché è una specie di Cuore del ventesimo secolo. Il libro di Igor Kostin, Chernobyl, confessioni di un reporter, Ega Editore, Torino, contiene una ulteriore drammatica documentazione fotografica delle ore e delle settimane della grande paura e degli sforzi dei tecnici e degli operai impegnati a fermare la fuoriuscita della radioattività. Qualche città italiana avrebbe fatto bene a intitolare una strada o una piazza ai "martiri di Chernobyl", agli eroi che, in quelle terre lontane, a prezzo della loro vita, evitarono che fossimo contaminati in modo molto più grave e salvarono tante delle nostre vite.
Il disastro fu accompagnato da episodi di generosità e solidarietà internazionale. Il chirurgo americano Robert Gale, specialista di trapianti di midollo osseo, corse subito in Ucraina e per molto tempo operò i malati più gravi; anche questa storia è raccontata in un libro dello stesso Gale e in un film dal 1991, "Chernobyl", del regista Anthony Page, che ancora circola in qualche televisione e che meriterebbe di essere visto da tanti italiani.
Le zone intorno al reattore di Chernobyl, rese inabitabili a causa dell’elevata radioattività, furono fatte sgombrare dalla popolazione; molti abitanti di tali zone erano stati avvelenati dalla nube radioattiva; in Ucraina molti che allora erano bambini e ragazzi portano ancora nel corpo le conseguenze di tale contaminazione; per anni alcuni di questi bambini hanno trascorso dei periodi di vacanza in Italia, ospiti di organizzazioni di volontariato.
Qualche anno dopo, nel 2011, in Giappone si verificò un’altra catastrofe nella centrale nucleare di Fukushima. Un maremoto provocò l’interruzione della circolazione dell’acqua di raffreddamento di tre reattori e anche lì i reattori esplosero e provocarono l’immissione nell’ambiente di polveri con una radioattività equivalente a quella di circa 25.000 chilogrammi di radio. Anche a Fukushima, molti operai, ingegneri e tecnici sacrificarono la propria vita per cercare di fermare la fuga verso l’ambiente esterno delle polveri, salvando quindi dalla morte molti abitanti delle zone vicine. Eroi sconosciuti anche quelli come quelli di Chernobyl di cui Medvedev, nel libro prima citato, scrisse: "Gli eroi e i martiri di Chernobyl ci hanno fatto comprendere l'impotenza dell'uomo di fronte a ciò che l'uomo stesso crea, nella sua presunzione di onnipotenza".