Rimane, nel DDL “semplificazioni”, il “silenzio assenso” alle trasformazioni del paesaggio, con la mortificazione delle Soprintendenze. (Ben altra revisione esige la disciplina della “autorizzazione paesaggistica” secondo il vigente articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio).
Non è questo DDL “semplificazioni” che introduce il “silenzio assenso” delle soprintendenze alle trasformazioni del paesaggio tutelato, ma certo lo consolida, con l’aggravamento che estende anche alla disciplina a regime l’accorciamento dei tempi dati alla soprintendenza per esprimere il suo parere, che sono quelli (quarantacinque giorni) della vigente disciplina transitoria, destinata per altro (per le ragioni che ora diremo) a durare a lungo. Non vale obbiettare alla risentita protesta collettiva di non aver letto con attenzione il testo dell’art. 13 di un DDL clandestino, che non è stato ancora presentato al parlamento, né si sa che vi sia stata al riguardo l’autorizzazione del presidente della repubblica. Ma ben fondata è la smentita alle affrettate assicurazioni del ministro Ornaghi sui nuovi presidi che la modifica avrebbe introdotto a difesa della integrità del paesaggio e sulla soppressione del barbaro meccanismo del “silenzio assenso”, che invece è espressamente confermato.
Il ministro di un governo tecnico si è infatti smarrito nella complessa costruzione tecnica del vigente articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio (il DDL lo intende appunto modificare) che disciplina il rilascio della autorizzazione paesaggistica, affidato alla competenza della regione e dell’ente sottoordinato da essa delegato, nella quasi generalità dei casi il comune, che si pronuncia su parere della soprintendenza. Parere vincolante soltanto nella disciplina transitoria, finché cioè la regione non abbia adeguato il proprio piano paesaggistico al “codice” come messo a punto nel 2008, finché il comune non abbia adeguato il proprio piano regolatore al piano paesaggistico adeguato e la soprintendenza non abbia certificato la correttezza di tali adempimenti. Nessuna regione ha ancora adeguato il proprio piano paesaggistico e dunque è destinata a persistere a lungo nel tempo questa disciplina transitoria che dà alla soprintendenza quarantacinque giorni per esprimere il suo parere vincolante e dispone che il comune, se la soprintendenza non lo abbia reso, possa indire una conferenza di servizi (per una pronuncia nel termine perentorio di quindici giorni) e in ogni caso provveda sulla domanda di autorizzazione paesaggistica “decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente”. Il DDL da questo comma 9 dell’articolo 146, che disciplina il regime transitorio della autorizzazione, si limita a sopprimere la fase della facoltativa conferenza di servizi (all’evidenza in concreto impraticabile per la concentrazione dei tempi), sicché rimane per altro confermato il drastico taglio dei tempi dati alla soprintendenza per il parere (quarantacinque giorni) e la presunzione di legge che il silenzio della soprintendenza vale assenso preventivo a come andrà a provvedere l’autorità competente (il comune delegato dalla regione). Dunque è confermato il “silenzio assenso”, tal quale era uscito dalla conclusiva revisione del codice nel 2008, che mortifica, anzi in concreto vanifica, il ruolo della soprintendenza (l’istituzione caricata del compito e della responsabilità di rappresentare l’interesse nazionale alla “tutela”) nella concreta gestione delle trasformazioni del paesaggio, e perciò si espone a ben fondati (già riconosciuti dal giudice delle leggi in tema di “tutela”) rilievi di legittimità costituzionale.
Lo stesso meccanismo di “silenzio assenso” il DDL conferma nella disciplina a regime della autorizzazione paesaggistica (nel comma 5 del medesimo articolo 146), ma, conformemente al regime transitorio, dimezza i novanta giorni qui previsti per il parere della soprintendenza; insieme conferma nella disciplina a regime la natura non vincolante di questa consulenza, come aveva preteso la conferenza delle regioni da un ministero intimidito, a conclusione della revisione del Codice nel 2008. Sola, allora, Italia Nostra denunciò l’assurdo abbattimento del ruolo consultivo della soprintendenza, non certo giustificato dai previsti e certificati adeguamenti normativi dei piani paesaggistici e dei piani regolatori, che esclude in pratica la istituzione statale della tutela dalla applicazione della disciplina delle trasformazioni del paesaggio (dai doverosi controlli al riguardo), per affidarla alla competenza esclusiva di regione e comune delegato.
E’ vero dunque che l’unica rilevante modifica alla normativa della autorizzazione paesaggistica proposta dal DDL sulle “semplificazioni” è quella della riduzione a quarantacinque giorni del termine dato alla soprintendenza per il suo parere nella disciplina a regime (conformemente, ripetiamo, a quella – vigente - transitoria), ma ben fondata è la affermazione (non solo che questo taglio dei tempi è irragionevole perché frustra in pratica l’esercizio del ruolo, ma innanzitutto) che la materia della tutela del paesaggio è ribelle ai propositi e al disegno generale di meccaniche semplificazioni nell’azione della pubblica amministrazione, mentre la disciplina della autorizzazione paesaggistica (l’articolo 146 del “codice”) esige ben altra revisione con il rafforzamento del ruolo consultivo della soprintendenza, cui debbono essere dati tempi ragionevoli di deliberazione per la formazione di pareri in ogni caso determinanti nella gestione delle trasformazioni dei paesaggi tutelati (si dica determinanti, meglio di vincolanti, per escludere il temuto ruolo subordinato di regione – comune nel rilascio della autorizzazione paesaggistica e per affermare invece il paritario concorso delle due istituzioni e il necessario consenso di entrambe ad ogni rilevante trasformazione dei paesaggi tutelati).