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Francesco Merlo
Quel professor Ponzio Ornaghi nel chi l’ha visto dei Beni Culturali
8 Marzo 2012
Beni culturali
Ritratto al vetriolo dell'inesistente responsabile di un patrimonio immenso e semiabbandonato. La Repubblica, 8 marzo 2012 (m.p.g.)

Al ministero chiamano Lorenzo Ornaghi "professore Ponzio" e non solo perché ha governato, almeno sino ad oggi lavandosene le mani, la più scandalosa delle emergenze, i Beni Culturali, immenso e immensamente malandato patrimonio dell´identità italiana.

Ma anche perché «siamo ai piedi di Pilato» è la realistica e simpatica espressione popolare ed evangelica che egli stesso usò con i colleghi della Cattolica quando seppe che non gli avrebbero dato la Pubblica Istruzione.

Vi entrò dunque da «tecnico serio, ma senza competenza» mi dice una imprenditrice veneta del restauro. E infatti «non so cosa significa Beni Culturali» confessò il giorno del giuramento al Quirinale. Lo sfogo fu preso come scaramanzia e come viatico, un cuscinetto di ironia tra se e sé, e uno spazio di libertà tra sé e quel difficile mondo sottosopra.

Professore di Scienza della Politica e Rettore magnifico di lunga esperienza, Ornaghi era infatti molto bene attrezzato a studiare, capire e affrontare, e con nuovi codici magari, i Beni Culturali senza la sgangherata inefficienza di Bondi, che negava i crolli di Pompei e maltrattava la cultura viva e la cultura morta, e senza le polemiche sopra le righe della meteora Galan.

Ornaghi sembrava persino finalmente libero dalla politica politicante, come fu soltanto il rimpianto Alberto Ronchey tanti anni fa. E dunque sembrava perfetto per una legge quadro sull’architettura, per una nuova normativa sul cinema, per una ristrutturazione della lirica, per mettere a punto un piano di guerra che, come quello di Befera contro gli evasori, scovi e insegua uno per uno i tombaroli che da Cerveteri ad Aidone, da Palestrina ad Aquileia rovinano le nostre rovine e derubano gli italiani. «Forza Ornaghi!» pensammo dunque quando lo nominarono. E invece: chi l’ha visto?

Brianzolo, 64 anni, cattolicissimo e scapolo, cappotto nero da prete, poco meno di due pacchetti di "Camel light" al giorno, una voluta somiglianza con il suo maestro morale don Giussani, compiaciuto della parola "Padania" in onore dell´altro suo maestro Gianfranco Miglio, il ministro ha esordito presentando un pio libro di Maurizio Lupi, riceve tutti i giorni Buttiglione e Quagliariello e insieme fanno combaciare asole e bottoni di una nuova ipotetica Dc, combatte «la dittatura relativista della cultura laicista»…

È insomma molto attivo nella militanza ciellina, ma non ha preparato piani di riscossa per Pompei dove continuano quei minicrolli che sono la rivolta delle pietre contro l’incuria che viene certo da lontano ma costò al povero Bondi l’eccessiva fama mondiale di killer of Pompei’s ruins.

Il progetto Pompei coinvolge almeno tre ministri (anche gli Interni, in funzione anticamorra) perché l´Europa ci chiede garanzie per il finanziamento già stanziato e mai erogato di 105 milioni. Ma Pompei è come lo spread, è un impegno che il nostro ministro deve prendere con il mondo, simbolicamente lì è l’Italia intera che rischia il default. Per un ministro dei Beni Culturali che ama il suo Paese, Pompei è il Luogo Comune nel senso del più comune dei luoghi, vestigia e simbolo della civiltà occidentale, valore identitario e tuttavia senza nazionalità, il capolinea di tutte le strade del mondo: salvarlo significa salvare il mondo.

Da sola Pompei vale un ministero, una carriera, una vita. E invece Ornaghi si comporta come un Bondi con molta più cultura che però, in questo caso, diventa un’aggravante.

Ha scritto autorevoli saggi sulle élite pubblicati dal Mulino, parla correntemente inglese, francese e tedesco, è un cultore di musica classica, appassionato di storia di Milano e di società milanese, e non solo in senso alto: la sua prima lettura al mattino sono le pagine dei necrologi.

Perché l’innamorato di Milano non dice una parola sulla sciagurata paralisi della Grande Brera, commissariata e dimenticata? E tace pure sul Palazzo del cinema di Venezia dove al primo scavo, trenta milioni di euro per 3,10 metri di profondità, hanno trovato, sotto una pineta, quel demonio dell’amianto e non c’è esorcista che possa andare avanti né tornare indietro su una superficie di 10mila metri quadrati, mentre l’impresa (la Sacaim) è finita in amministrazione controllata, e c’è ancora in carica un commissario, come del resto all’Aquila, un sub commissario, vice di Bertolaso. E i collaudatori erano quelli della cricca, e forse si farà solo un auditorium, ma un po’ più in là … Questo sì è cinema! In quel buco di Venezia c’è la fantasia della scuola napoletana, è il buco dei magliari d’Italia. Vuole parlarne, signor ministro?

Ornaghi dirige il traffico e controlla gli affari delegando al solito capo di gabinetto Salvo Nastasi, amico più di Letta che di Bisignani, genero di Gianni Minoli, e commissario ovunque e per tutte le stagioni: dal San Carlo di Napoli al Maggio Fiorentino…

Sin dai tempi di Urbani, Nastasi è l’avvolgente potenza invisibile dei Beni Culturali, come l’imam occulto degli sciiti. E infatti Ornaghi, via Nastasi-Letta, costretto dalle reazioni dell’intera città di Venezia, ha confermato Paolo Baratta alla presidenza della Biennale. E però poi gli ha mandato, come guastatore nel consiglio di amministrazione, il presidente della Fondazione Roma Emmanuele Emanuele, vecchio notabile del parastato e del Circolo della caccia, gran protettore di Vittorio Sgarbi, premio letterario Mondello per le poesie raccolte in "Le molte terre" e "Un Lungo cammino", già premiato a Tor di Nona. Pittoresco e manovriero, ha esordito annunziando che è lui l´unico a rappresentare sia il ministero sia l’albo d’oro della nobiltà, e tra Baratta e Ornaghi è cominciata un’agra corrispondenza… Perché?

A Nastasi si contrappone il sottosegretario Roberto Cecchi, più cauto ma non meno avido di supplenza. Già funzionario del ministero, a lui si devono il pasticcio del Colosseo affidato a Della Valle e il famoso malaffare del crocifisso erroneamente attribuito a Michelangelo: tre milioni che un rinvio a giudizio della Corte dei conti ha censurato; sarebbero bastati trecentomila mila euro. Ebbene, il ministro non ha né difeso né cacciato il suo sottosegretario: "professore Ponzio", appunto.

E non dice nulla sul Centro del libro, una struttura agile ma costosa che non ha mai cominciato a lavorare: forse non sarebbe inutile, ma così sicuramente lo è. E ancora: dopo la tragedia della Concordia al Giglio tutti si aspettavano una parola di Ornaghi per bloccare il passaggio delle grandi navi da crociera a Venezia: entrano dalla bocca di porto di Malamocco e poi si inoltrano nella laguna raggiungendo Riva degli Schiavoni che costeggiano sino a imboccare il bacino di San Marco, davanti al Palazzo Ducale, per poi giungere alla stazione marittima attraversando il canale della Giudecca. Neanche Marinetti, il quale nella sua devastazione, voleva asfaltare Venezia, era arrivato a immaginare le navi della follia. Dice Dante: Ed ecco verso noi venir per nave/ un vecchio, bianco per antico pelo/ gridando: ‘Guai a voi anime prave!’ Gli ignavi, appunto.

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