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Salvatore Settis
Quel centro commerciale che ferisce Venezia
13 Febbraio 2012
Vivere a Venezia
Arriva finalmente all’attenzione dei mass media nazionali l’ultimo scandalo di Benettown (già Venezia).La Repubblica, 13 febbraio 2012, con postilla

Dopo le navi-grattacielo, nuove delizie sono in arrivo a Venezia per gli amanti dello snobismo low cost di guardare, ed essere guardati, da una sommità. Basterà salire sulla neo-terrazza in cima al Fondaco dei Tedeschi, passando dal neo-centro commerciale Benetton, per guardare dall´alto il ponte di Rialto e il Canal Grande. Una "vista mozzafiato", pazienza se a scapito della legalità e della storia. E questo mentre il governo, inspiegabilmente, ha bloccato (lo denuncia Italia Nostra) il decreto che vieta l´ingresso delle imbarcazioni oltre le 30mila tonnellate, con legioni di vacanzieri intenti a guardare dall´alto in basso il Palazzo Ducale.

Il Fondaco dei Tedeschi fu costruito ai primi del Cinquecento per «la Nazione Germanica, che concorreva a Venezia con le sue merci e le conservava in questo luogo. Le galee Viniziane, portando le speziarie di Levante, le diffondevano per tutte le parti di Ponente [l´Europa del Nord], e i Tedeschi ci portavano ori, argenti, rami e altre robe da le lor terre»: così Francesco Sansovino (1581). Le facciate esterne «furono dipinte da´ primi uomini d´Italia, vi lavorò Tiziano con sua grandissima lode, e Giorgione da Castelfranco, ambedue principalissimi in queste parti» (sopravvivono pochi frammenti). Dopo esser stato sede delle Poste, il Fondaco è stato acquistato dal gruppo Benetton nel 2008 per 53 milioni, per trasformarlo in un «megastore di forte impatto simbolico». Il progetto prevede non solo l´inserimento di incongrue scale mobili, ma anche la sostituzione del tetto con una terrazza panoramica: l´equivalente, appunto, di una mega-nave piombata nel cuore di Venezia. Lo firma Rem Koolhaas: come ha scritto Giancarlo De Carlo, le operazioni speculative cercano spesso la copertura professionale di grandi architetti (per esempio Norman Forster progettò a Milano il quartiere di Santa Giulia, che doveva sorgere sopra un immenso deposito illegale di scorie nocive).

Nuova "terrazza a vasca", rifacimento del lucernario per ricavare un altro piano, demolizione di parti del ballatoio: questi i pesanti interventi del progetto, esposto alla Biennale prima di presentarlo in Comune, con l´aria di voler forzare la mano. Il sindaco Orsoni allora fu "allibito" di tanta arroganza, ma si è ridotto a più miti consigli e ha docilmente firmato, il 28 dicembre, una convenzione con Benetton. Che cosa mai avrà piegato il fiero erede dei Dogi?

Benetton, dice la convenzione, creerà nel Fondaco «una superficie di vendita non inferiore a mq 6.800», e perciò presenterà svariate domande di autorizzazione edilizia e commerciale, anche in deroga al vigente piano regolatore. Per parte sua, il Comune si impegna a elargire ogni permesso «con la massima diligenza e celerità», e in modo da «non pregiudicare la realizzazione integrale del progetto». La chiave di questa resa incondizionata è nell´articolo 5: il gruppo Benetton si impegna a versare al Comune entro il 30 dicembre 2012 «un contributo in denaro a titolo di beneficio pubblico di sei milioni di euro», ma solo a condizione che il Comune rilasci tutti i permessi necessari entro 12 mesi e che tutti i lavori si concludano in 48 mesi, senza di che l´intero importo dovrà essere restituito, e con gli interessi. In altri termini, per assicurarsi piena e veloce ubbidienza, Benetton versa nelle esauste tasche del Comune una sostanziosa mancia. Se questo esempio sarà seguito, c´è da scommettere che le autorizzazioni edilizie verranno ormai bloccate finché il proprietario interessato non versi "a titolo di beneficio pubblico" una congrua regalia. Se i meno abbienti non possono permetterselo, peggio per loro. Per il Fondaco, gli uffici comunali hanno completato in meno di una settimana l´istruttoria sulle pratiche: quali sarebbero stati i tempi per un cittadino normale?

Sei milioni sono tanti? Sono pochi, se servono ad aggirare le leggi. Secondo la denuncia di Italia Nostra alla Procura della Repubblica e al ministero dei Beni Culturali, alcuni degli interventi previsti «violano le inderogabili prescrizioni conservative» di legge, al punto che possono ricadere sotto le sanzioni non solo del Codice dei beni culturali (art. 170), ma anche del Codice penale (art. 635). Tale è la neo-terrazza «per futili ambizioni di belvedere», «alterazione gravissima che offende la fabbrica», con «stravolgimento strutturale dell´edificio e danno gravissimo alla sua integrità fisica e alla sua identità storica». L´uso commerciale dell´edificio di per sé non è incongruo con la sua originaria destinazione d´uso: Sansovino ricorda che «di fuori lo circondano 22 botteghe, dalle quali si trae grossa entrata», e anche nei piani alti si vendevano mercanzie. Ma la legge prescrive di preservare rigorosamente l´integrità dell´edificio, mentre il progetto Koolhaas la deforma. La Fondazione Benetton da anni coinvolge i cittadini della provincia di Treviso nella conservazione dei Luoghi di valore, un progetto di qualità. Stupisce che nell´adiacente provincia di Venezia un´operazione edilizia dello stesso marchio voglia stravolgere un luogo di altissimo valore come il Fondaco dei Tedeschi. Che Benetton lo stia facendo, secondo la moda dei nostri tempi, a sua insaputa?

postilla

Trova sempre nuove conferme la tesi secondo la quale il gruppo Benetton è diventatoil vero padrone di Venezia: per responsabilità non tanto del gruppo economico trevigiano (che segue le tradizioni e le rinnovate aggressive prassi della “borghesia compradora” di tutto il mondo), quanto di un personale politico-amministrativo succube dei poteri economici. Il termine che esprime questa tesi (“Benettown”) è quello dell’omonimo saggio scritto da Paola Somma per la fortunata collana “Occhi aperti su Venezia”, dell’editore corte del Fòntego (che col Fontego dei tedeschi non ha nulla a che fare).

Sull’intervento al Fontego dei tedeschi altri numerosi articoli sono raccolti in questa stessa cartella “Vivere a Venezia”.

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