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Gian Antonio Stella
Quel castello in rovina dimenticato da Milano
18 Ottobre 2011
Beni culturali
Dal Corriere della Sera 17 ottobre 2011 il caso di un monumento, che però trascura ciò che gli sta attorno, e che lo rende davvero tale, ricordato in postilla. (f.b.)

MILANO — Crescono perfino gli alberi, sulla torre del castello di Ludovico il Moro a Cusago. Ma da Milano, la «capitale morale d'Italia» che sta a un tiro di schioppo, non lo vedono, il degrado che sta sgretolando l'antica e maestosa residenza. Niente «danèe», niente restauro. Ha tenuto duro mezzo millennio, tenga duro ancora finché non arriverà (auguri) la ripresa...

C'è chi dirà che è tutta «colpa» dell'abbondanza di opere d'arte, di monumenti, di borghi medievali di cui il nostro Paese può menare vanto.

Certo, tanti Paesi se lo sognano, un castello come quello, edificato da Bernabò Visconti tra il 1360 e il 1369, sui resti di una fortificazione longobarda, a una dozzina di chilometri in linea d'aria da piazza Duomo. E se lo avessero lo curerebbero con amore. Ma come possiamo, noi italiani, badare a tutte le nostre ricchezze? Lo diceva già, diversi anni fa, Alberto Ronchey ricordando, nel libro-intervista «Fattore R» con Pierluigi Battista, che da altre parti è più facile gestire tre o quattro grandi musei e una decina di città d'arte. Solo da noi si possono «trovare tante opere d'arte, una sedimentazione stratificata per ventotto secoli. Dall'VIII secolo a. C. ai tempi nostri, non si ricorda un'era che non abbia lasciato la propria eredità in Italia: Etruschi, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanno-Svevi, Medioevo comunale, Rinascimento, Barocco, Neoclassicismo fino al Modernismo». È un patrimonio straordinario, ma anche un problema.

Ma non è uno dei tanti, quel castello. Come ricorda nel libro (in via di pubblicazione) Castelli fratelli Simona Borgatti, che da anni si batte con un comitato di volontari per salvarlo, l'edificio è un pezzo della storia milanese. Fin da quando fu costruito perché i Visconti e poi gli Sforza potessero godere di quella splendida «riserva di caccia distesa su un territorio che andava da Milano a Vigevano tra boschi, risorgive e fontanili». Un paradiso terrestre per raggiungere il quale Filippo Maria, diventato troppo grasso per andare a cavallo a causa degli eccessi a tavola, «si fece scavare un ampio canale, il "Naviglietto", derivandolo dal Naviglio Grande all'altezza di Gaggiano. Su questo canale la corte poteva agevolmente arrivare a Cusago dalle altre sedi ducali, come Abbiategrasso». In barca.

Scelto come rifugio durante la peste del 1398 e poi adibito a lazzaretto, il castello «tornò a nuovo splendore nel 1480 con Ludovico Sforza detto il Moro, che diede a Cusaghino l'aspetto di "una villa di delizie", una residenza dove potersi "mettere in libertà" e dimenticare per un momento gli affanni legati al governo del Ducato per dedicarsi alle feste, alla caccia, alla pesca e alle amanti».

Donato da Ludovico alla moglie Beatrice d'Este e passato successivamente a Lucia Marliani, una delle favorite del Moro, il castello finì più tardi nelle mani del conte Massimiliano Stampa. E giù giù, di eredità in eredità, nel patrimonio dei Casati-Stampa. Per essere acquistato infine nel 1973, insieme con la villa di Arcore, dall'astro nascente dell'edilizia milanese, Silvio Berlusconi.

Di secolo in secolo, ormai, era diventato una cascina abitata da una trentina di famiglie: «L'imponente portale di legno, ormai in decadenza, immetteva in un ingresso nel quale razzolavano le galline. Cumuli di fieno venivano accatastati sotto le volte a crociera del portico un tempo affrescato e il fattore, stanco, si tergeva il sudore appoggiandosi a una colonna di marmo. Dai locali del piano terra adibiti a trattoria e recanti i simboli dei duchi di Milano, usciva un profumino di pesce fritto».

«Gli attrezzi agricoli riposavano dove una volta trovavano ricovero i cavalli di Ludovico (...) Le donne rimestavano la polenta nel paiolo posto sulle braci dei camini decorati con l'impresa dei "tizzoni e delle secchie" e lo stemma visconteo: gli stessi dove cinquecento anni prima solerti ancelle alimentavano il fuoco per asciugare abiti di broccati e damaschi bagnati dalla pioggia di un improvviso temporale...».

Il Cavaliere, più che al castello, era interessato ai terreni. E al «marchio». Prova ne sia il nome del quartiere tirato su dalla Edilnord su alcuni ettari della tenuta: «Milano Visconti». Qualche anno di attesa per capire bene cosa si poteva fare del nobile ma ingombrante e malridotto maniero, poi la società berlusconiana si decise. E nel 2003 vendette tutto a «Il Castello di Cusago s.r.l.», una cordata di imprenditori.

Sulle prime, racconta Simona Borgatti, «la società si presentò con molta coscienza ed entusiasmo alla conferenza tenutasi al Museo del Duomo dall'Istituto Italiano dei Castelli». Tanto più che, quasi ignoto a tanti milanesi, la residenza fortificata è tra i «Luoghi del cuore» del Fai, il Fondo ambiente italiano.

L'ipotesi era quella di fare del castello una scuola di floro-vivaismo legata al Parco Sud. Ma poi, di mese in mese, di anno in anno, ogni progetto finì per rivelarsi complicato, costoso, impossibile. Finché la «Castello di Cusago s.r.l.» decise di arrendersi. E di mettere tutto in vendita. È il 2008.

Ecco l'acquirente: l'immobiliare «Kreiamo s.r.l» di Cesano Boscone. Annunci a effetto: «Emozioneremo Cusago con il nostro progetto di recupero». L'idea: destinare l'immobile a un uso misto, pubblico e privato. Investimento: quattro e due milioni di euro. Ma prima ancora che la Soprintendenza possa dire la sua, salta tutto: gli amministratori della società vengono arrestati nel quadro dell'inchiesta «Parco Sud» sulle infiltrazioni nel sud-ovest milanese della 'ndrangheta.

«Noi non possiamo fare niente — dice il sindaco Daniela Pallazzoli —. Le casse del Comune non sono assolutamente in grado di farsi carico dell'acquisto e del restauro. E di questi tempi di magra mi pare difficile che se ne occupino lo Stato o la Regione. L'unica speranza è che possa passare l'idea di coinvolgere i privati e far rivivere il castello facendone ad esempio una Università del gusto. Un centro congressi. Una foresteria di eccellenza a tre chilometri dall'Expo 2015». Il guaio è, spiega, che «non si possono affrontare questi problemi sulla base di un Regio Decreto del 1912. Per capirci, ogni ipotesi alberghiera è legata all'obbligo di mettere gli impianti a norma, fare i bagni, aprire nuove finestre... Noi ci teniamo al pieno rispetto del castello, però...».

Anche alla Soprintendenza lo sanno. Cosa fare? Lasciare che il castello in mano ai privati e oggi impossibile da comprare con i soldi pubblici venga divorato dal degrado? O consentire che, come male minore, sia parzialmente modificato da interventi che consentano ai proprietari di rientrare dagli investimenti? L'architetto Alberto Artioli, soprintendente per i Beni architettonici e paesaggistici, sospira: «È un problema col quale abbiamo a che fare tutti i giorni. Ma non è vero che siamo barricati nella trincea del "non si tocca niente". Se c'è la buona volontà di trovare una soluzione saggia, noi siamo qua. Basta fare le cose con buon senso...».

Presto, però. Occorre fare presto. Un nuovo inverno si avvicina. La vegetazione, dopo avere sbranato le impalcature tirate su anni fa per la messa in sicurezza, sta attaccando i muri. Tra le capriate dei tetti si sono aperti squarci che, con le piogge e la neve, sono destinati a spalancarsi e crollare. Le bellissime finestre sono ogni giorno più sgangherate. Le erbacce hanno ormai attaccato non solo il cortile ma la pavimentazione interna. E gli alberi sulla torretta continuano a crescere, crescere, crescere...

postilla

Chi ha partecipato alla Scuola Estiva di Pianificazione di Eddyburg forse si ricorda la bella relazione di Serena Righini su Milano alla conquista della Cintura Nera, dedicata agli sviluppi del sistema delle Tangenziali e a come queste sottendano un modello di crescita metropolitana disperso e privo di attenzione agli equilibri territoriali. Quello dell’area di Cusago è forse uno dei casi più evidenti di come cresce nel tempo (una generazione, circa) il processo: territorio agricolo fra l’attuale tracciato della Tangenziale Ovest e il margine meridionale del Parco Sud ai confini del Parco Ticino, si è visto via via assimilare quasi senza soluzione di continuità alla città compatta milanese, in una specie di partita a scacchi intricata. Se ne leggono però chiaramente i segni percorrendo una qualunque delle strada in uscita da Milano, che sia la provinciale per Abbiategrasso, l’ex poderale di Assiano (raccontata da Biondillo e Monina nel loro Tangenziali), o quel capolavoro di trascuratezza che è l’area industriale di Settimo, culminante nell’office park suburbano Italtel. Il degrado del castello è solo la punta di un iceberg, segno di crollo dell’abitabilità e logica, in un territorio che continua a buttare va la sua vera ricchezza: speriamo che l’Expo 2015, nel nuovo percorso che pare oggi imboccato, riesca almeno a fermare il peggio, valorizzando appunto le aree agricole di cintura per quello che sono, e ponendo quindi anche le premesse ovvie per far crescere alberi nel posto giusto, e non sul tetto del Castello (f.b.)

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