La Repubblica, 22 marzo 2015
Ha sempre perso, ma fa proseliti. È minoritario, ma viene da lontano, e minaccia di arrivare troppo vicino. Il paradosso del jihadismo secondo due profondi osservatori del mondo arabo: Bernardo Valli, grande inviato di Repubblica, e l’islamista Renzo Guolo, messi a confronto ieri sul palco di “Repubblica delle Idee” a Udine dalle domande di Fabrizio Gatti. Di là dal Mediterraneo è esercito del Califfo, di qua è sotterraneo letale citizen terrorism: meno lo capiamo, più ci spaventa?
Valli. «A un atteggiamento troppo pessimista vorrei opporre non l’ottimismo, ma la conoscenza dell’avversario. Cos’è la jihad? Il mondo arabo ha conosciuto molte esplosioni di violenza nella storia, come l’Occidente. Quello che chiamiamo jihadismo nasce quando fallisce il nazionalismo panarabista postcoloniale — il sogno di Nasser per capirci — umiliato dalle guerre con Israele, e fallendo lascia crepe dalle quali risale un sostrato religioso profondo».
Guolo. «Si può fissare una data di nascita: 1981, l’assassino di Sadat, dopo aver mitragliato la leadership egiziana, corre verso una telecamera (anche certe modalità non sono nate oggi...) e grida “ho ucciso il faraone!”. Da allora inizia una pratica, e anche una teoria, della violenza come “sesto pilastro dell’Islam”, della jihad non come sforzo di perfezionamento interiore ma come lotta armata. La cosa singolare è che, se facciamo un bilancio, a parte l’Afghanistan dove la resistenza islamista antisovietica fu sostenuta dagli occidentali, la jihad armata è sempre stata sconfitta, militarmente e politicamente, e tuttavia ha vinto ideologicamente: si impone ai media, fa proseliti. C’è una dimensione mitologica che va spiegata, che rischiamo di non capire».
Valli. «Quando morì Nasser vidi un funerale imponente. Dopo l’assassinio di Sadat al Cairo c’era il silenzio, non un pianto. Qualcosa era cambiato. Al di là del conflitto fra sciiti e sunniti, credo che il khomeinismo abbia avuto il suo ruolo. Rappresentò il ritorno di una cosa che per secoli non aveva più cittadinanza nell’islam: l’identità fra leader religiosi e politici. Il mondo occidentale non riuscì a capire che portata avesse questa resurrezione ».
Guolo . «Sono enormi gli errori di potenze globali come gli Usa, ma anche regionali come l’Arabia Saudita, che presupponevano di poter manovrare il fondamentalismo: ultimo caso, la rivolta siriana. Ora, io credo che alla fine lo Stato Islamico verrà battuto, se non altro perché ha coalizzato contro di sé un fronte troppo vasto. Ma è proprio sul dopo che in quel fronte non c’è la stessa visione, e questo rende tutto incerto. Se, in funzione anti-Is, la questione del nucleare iraniano si chiudesse con un accordo, non sarebbe più possibile impedire all’Iran di diventare un attore potente nell’area, cambierebbero tutti gli equilibri, si aprirebbe un altro contenzioso fatale, fra Iran e Arabia».
Valli. «Sì, il cuore della battaglia è nel mondo arabo. Semmai la domanda per noi è: quella tempesta è un pericolo per la nostra società? Il terrorismo jihadista in Europa spaventa, ma io credo sia il prodotto di una minoranza piccolissima, per quanto aggressiva. Qui l’integrazione va avanti, a fronte di pochi gruppi armati ci sono milioni di musulmani rispettosi delle leggi, in Francia ci sono poliziotti musulmani, magistrati, uomini d’affari musulmani...».
Guolo. «Tuttavia, la storia delle periferie francesi ci fa comprendere qualcosa. Alla fine degli anni ‘80 i sabati dei casseur che spaccavano le vetrine in centro erano una richiesta di accesso alla modernità attraverso l’espropriazione dei consumi. I casseur non volevano califfati, volevano le Nike. Anche la rivolta del 2005 attribuita agli islamisti nasceva dalla reazione alla promessa mancata della République: “Rinuncia ai particolarismi culturali e sarai come gli altri”. Oggi, passando magari attraverso le galere dopo quelle rivolte, è maturato un salto, dall’antagonismo ancora interno alla società occidentale all’estraneità assoluta. Il rapper arrabbiato diventa freddo militare. Ma questo accade perché la sua rivolta contro la rottura del patto integrazionista incontra un radicalismo che ha l’autonomia ideologica tipica di una dottrina politica».
Valli. «Ma la stessa cosa dimostra l’attacco alla Tunisia: dove il mondo arabo moderato è il primo obiettivo. Significa che non è scontro di civiltà o di religioni, ma di ideologie e progetti politici. Del resto, lo stesso mondo musulmano che porta in Europa piccole sacche di terrorismo ci porta soldi, acquista alberghi e squadre di calcio, compagnie aeree».
Guolo. «Anche gli imprenditori della xenofobia, i cantori dello scontro di civiltà sul pianerottolo, sanno che il miraggio della fortezza Europa non porta da nessuna parte. Ma cercheranno di sfruttare al massimo l’idea che non sia possibile alcuna convivenza. La cosa singolare è che i gruppi fondamentalisti in Europa dicono la stessa cosa. La debolezza dell’Italia è che, mentre tutti i paesi europei hanno almeno sperimentato possibili risposte — l’assimilazionismo, l’integrazionismo, la multiculturalità — da noi non esiste proprio nessun modello, si lascia fare al gioco del consumo e del mercato del lavoro. Il nostro è un assimilazionismo spontaneo e senza scambio: venite, lavorate, non avrete niente in cambio, né rappresentanza, né cittadinanza. È una risposta molto rischiosa».
Valli. «E questo mi porta a dire che l’unica difesa contro il fondamentalismo, in Europa come nei paesi arabi, è rendere più forte la società, non i raìs o i confini».