«Il manifesto, 5 ottobre 2013
Lei ha firmato i referendum per l'aboilizione del reato di immigrazione clandestina. Ma non sono state raccolte le firme necessarie, ed oggi i radicali accusano anche voi di ipocrisia e disimpegno.
«Noi disponiamo di forze modeste. Ed è successo che su quei referendum si è stagliata l'ombra di Berlusconi, che non ha consentito più di capire il merito dei quesiti. Quel tipo di adesione è stato un deterrente alla mobilitazione. So che è piaciuta molto a una parte del vertice radicale, ma non ha fatto bene».
Lei parlava di 'continuità' del governo. Letta invece parla di 'nuova maggioranza'. Dalla Bossi-Fini all'Imu, i 'diversamente berlusconiani' hanno posizioni più illuminate di Berlusconi?
»Il politichese solleva solo cortine fumogene. Si è tentato di separare Berlusconi dal berlusconismo costruendo una mitizzazione negativa tutta legata alla persona, piuttosto che un'analisi critica dell'intero ciclo culturale. Con un esito paradossale: che il viale del tramonto del Cavaliere si compie con Berlusconi che lascia in dote al centrosinistra il berlusconismo. Tant'è che su tutto si naviga nell'ambiguità, a cominciare dalla tragedia di Lampedusa. Tutti si appendono alla bandiera del Papa, credendo che si tratti di una gara di omelie. Il Papa stesso cerca di sottrarsi alla mafia delle retoriche e ci richiama con franchezza evangelica alla realtà. Mi rivolgo agli scienziati della politica del Pd: davvero è consentito solo al papa criticare il liberismo? Davvero non c'è relazione fra liberismo e miseria, aggressione all'ambiente, finanziarizzazione dell'economia, perdita di diritti e di reddito?
Crede che nel Pd le risponderebbero di di no?
«Lo chiedo a quelli che oggi hanno applaudito Alfano. Hanno capito che ha promesso di irrobustire la frontiera repressiva in mare?
Non pensa che Letta sia riuscito a rompere il Pdl, che può tornare utile quando si tornerà al voto?
«È uno scenario inedito? Da quanti anni facciamo il tifo per il migliore del centrodestra, da Fini in poi, e cerchiamo di migliorare il centrodestra? Lo sguardo non mai è sul perché il centrosinistra perde le partite fondamentali in tutta Europa. Oggi un ragazzino che si affaccia alla politica può pensare che guerra è parola imparentata alla sinistra, visto che la volevano fare Obama e Hollande, due che hanno raccolto una speranza gigantesca e che tradendola precipitano nel consenso. Questo riformismo gira a vuoto perché gli manca la capacità di coniugare la speranza con scelte concrete.
Nonostante questo in Europa vi siederete nel gruppo del Pse?
«Non è un approdo ideologico. Vogliamo consolidare i rapporti con i verdi e con la sinistra europea. Ma vogliamo stare nel luogo che deve affrontare la crisi della sinistra. È il luogo in cui mettere insieme la rifondazione dell'Europa e costruzione di un campo largo della sinistra».
Due giorni fa lei ha incontrato Renzi. Cosa vi siete detti?
«Gli ho chiesto di non rendere la discussione una compilazione di proposte shock. Abbiamo bisogno di confrontarci su una visione».
Vi siete scontrati sul tema dell'eguaglianza. Avete fatto pace?
«Gli ho detto che c'è una relazione fra il Pd che discute per il congresso e il Pd che vota i provvedimenti di questo governo. Discutere di eguaglianza mentre si sottraggono alla parte più povera dell'Italia tre miliardi di euro per restituirli alla porzione più ricca dell'Italia, sotto forma di rimborso Imu, è una scelta che va nella direzione delle diseguaglianze. Nessuno che voti provvedimenti del genere ci intrattenga sull'attualità della nozione di eguaglianza. Così come l'abolizione della Bossi-Fini non ha come scena di realizzazione il congresso del Pd ma le aule parlamentari, qui e ora. Per me è dirimente: il Pd non è il destino di Sel. Può essere un alleato qualora ce ne siano le condizioni. E le condizioni non sono quelle vergognose di un'alleanza in continuità con le politiche del governo Monti. Facendo anche la scenetta ipocrita di contestarle nei dibattiti pubblici: oggi non se ne trova uno, nel Pd, che difenda la legge Fornero».
È un messaggio al Pd?
«Per noi la rottura della coalizione Italia bene comune è stata dura. Ed è stato duro mantenere un'ispirazione unitaria di fronte al crimine organizzato del non voto su Prodi. Ed è o duro subire a ogni snodo della storia politica italiana quel tentativo di demolizione che consiste nel denunciarci quali o traditori della patria o traditori del proletariato. Anche le pressioni nel giorno della fiducia a Letta sono il segno di una mentalità predona».
Quali pressioni?
«Si è aperta la caccia alle emozioni. Che fa Sel, hanno detto a ogni nostro singolo parlamentare, voterà come Berlusconi? È stato un assedio, sembrava fossimo nel '45, o nel '98. A fine serata tutti questi savonarola hanno votato come Berlusconi. Faremo un'opposizione ancora più determinata a questo governo. Non scimmiottiamo le pratiche teatrali e populiste sul modello dei 5 stelle. Ma questo non può significare deragliare dal binario dell'opposizione. Essere sinistra di governo è una grande sfida. Perché finora ha significato essere la sinistra delle compatibilità, qualche volta della resa. Partiamo dall'agenda della realtà, non dall'ideologia, ma la governabilità è un valore solo per un governo che che abbia l'obiettivo della stabilità delle famiglie e delle giovani generazioni. Se facciamo errori su questo siamo destinati a fallire».
Sarete in piazza il 12 ottobre con Landini, Rodotà e Don Ciotti?
«È molto di più di una manifestazione. È l'indicazione del cuore programmatico dell'alternativa che parte da quella Carta strattonata e oggetto di attenzioni moleste».
Letta le direbbe: conservatore.
«Nel degrado del lessico politico, conservatorismo e riformismo sono diventate parole pazze. Il conservatorismo era l'insieme dei dispositivi sociali e culturali che cercano di tutelare l'universo dei privilegi. Il riformismo era l'apertura di varchi in quel blocco conservatore. Se è così, la Costituzione è il più vibrante documento di critica radicale al conservatorismo».