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Paolo Baldeschi
Quando l’urbanista era anche servitore dello Stato
4 Luglio 2010
Paolo Baldeschi
La manovra correttiva annunciata dal governo ha un unico caposaldo ...

La manovra correttiva annunciata dal governo ha un unico caposaldo indiscutibile, il taglio generalizzato degli stipendi ai dipendenti pubblici, siano essi poliziotti, insegnanti, infermieri, magistrati o nullafacenti nei tanti posti clientelari creati dagli enti locali, dove primeggia la Sicilia, peraltro feudo della destra. D’altra parte Berlusconi è coerente nel penalizzare ancora una volta quella parte dell’elettorato a lui meno favorevole e allo stesso tempo a premiare le partite Iva e i piccoli imprenditori, l’area dove si annida l’evasione e il lavoro nero. Ridicolo, infatti, l’annuncio dell’inasprimento della lotta all’evasione fiscale, dopo anni di provvedimenti di senso opposto e di ammiccamenti collusivi. Tutte questi aspetti della manovra sono stati ampiamente discussi dalla stampa e occultati dalle televisioni di regime. Vi è, tuttavia, un'altra componente dell’attacco al pubblico impiego che vorrei sottolineare, la sua demonizzazione. Già iniziata con Brunetta con il messaggio sui fannulloni della pubblica amministrazione ampiamente ripreso dai mass media, l’opinione pubblica è stata alimentata dall’immagine dello statale svogliato o assente dietro lo sportello, del ministeriale che va a fare la spesa nelle ore di ufficio. Questa visione arcaica dell’impiego pubblico ha una facile presa, ma non fa i conti (o li fa maliziosamente) col fatto che al capitalismo di mercato dovrebbe essere complementare uno stato moderno e efficiente. L’idea berlusconiana è invece, di delegare ai privati le funzioni pubbliche, fonti, peraltro di arricchimenti facili quando non illeciti. L’umiliazione sistematica del pubblico impiego, la sua demoralizzazione avrà conseguenze non piccole e, per quanto riguarda il territorio, aumenterà le sofferenze di tecnici delle soprintendenze e degli enti locali, già poco pagati e poco considerati. Si crea così il terreno favorevole alla corruzione alimentata dagli esempi che vengono dall’alto e tollerata se non incoraggiata.

Queste considerazioni mi venivano in mente leggendo il bel libro, a tratti addirittura commovente, di Vezio De Lucia, “Le mie città”. La storia di un urbanista che abbandona un lucroso incarico privato per farsi ‘servitore dello stato’. Che combatte innumerevoli battaglie per il bene collettivo. Chi potrebbe in questo clima essere sorretto dalla stessa passione e intraprendere una carriera preliminarmente additata al pubblico ludibrio? Domanda retorica, perché sono proprio i De Lucia di cui questo governo vuole liberarsi. Ammesso che ne nascano ancora.

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