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Sandro Roggio
Quando il cemento coprì il mare
20 Gennaio 2006
Sardegna
Che cosa succedeva prima che Renato Soru lanciasse la sua appassionata iniziativa per la difesa di un patrimonio comune. Da il manifesto del 10 luglio 2005

Quando Renato Soru ha annunciato il suo programma i più avvezzi ai linguaggi della politica hanno capito che la sua indignazione per il malgoverno dei territori costieri era autentica. E che faceva sul serio quando diceva di volere mettere un freno all’ aggressione a quei paesaggi. Con questo punto in evidenza il centrosinistra, sempre molto esitante al riguardo, ha vinto le elezioni.

Quelli più preoccupati hanno provato a consolarsi pensando che sarebbe andata a finire come sempre – tra un rinvio e una lite – facendo conto sul malcontento che nel frattempo si attizzava, sindaci di destra in prima linea, qualcuno di sinistra nelle retrovie.

Ma le cose vanno avanti e l’idea si rafforza. Alle ultime elezioni provinciali il centrosinistra vince ancora e anche in Gallura che non è, come ci volevano fare credere, tutta agli ordini dei palazzinari.

Oggi mentre il lavoro procede, forse troppo lentamente, uno sguardo retrospettivo dà la sensazione che le cose sono cambiate, seppure in ritardo, perché la politica non è mai puntuale su queste questioni. Le vicende degli ultimi 50 anni, che occorre tenere nello sfondo, spiegano che – pure con qualche eccezione – la classe dirigente locale, con il suo codazzo di sapienti, è responsabile almeno di omertà verso un processo che non ha fatto bene alla Sardegna. Al luccichio dei troppi villaggi turistici fa da controcanto lo spopolamento progressivo dei paesi dell’interno. Il più cupo degli squilibri, con prevedibili effetti a catena nel territorio e nel corpo sociale.

Gli esordi

In Sardegna, ancora nei primi decenni del Novecento, le strade che portano al mare sono quelle di sempre, poche e difficilmente percorribili. Non ci sono stati in realtà motivi che nel tempo abbiano convinto i sardi a spostarsi verso i litorali; anzi, com’è noto, sono state molte le ragioni che hanno nel corso dei secoli allontanato le popolazioni dalle linee di costa. Con relativi pregiudizi.

Poi, quando il mare non rappresenta più un pericolo ha prevalso un sentimento di indifferenza nei confronti di spiagge e scogliere. Dove per tanto tempo non succede nulla, e quasi nessuno pensa che un giorno quei luoghi selvaggi e disagiati possano essere trasformati secondo le regole mercato.

Sarà, Maurice Le Lannou, che visita la Sardegna negli anni Trenta, a constatare come le straordinarie risorse della isola non siano state sfruttate, nonostante gli esempi della Corsica e della Sicilia.

E prevede che i paesaggi della Sardegna resteranno ancora per molto preservati “dalle grandi costruzioni alberghiere, e le sue strade sconosciute alle lunghe file di pullman zeppi di gente“.

Dei pericoli, a cui accenna lo studioso, nessuno all’epoca coglie appieno il senso. Il turismo è un’eventualità considerata con distacco. I sardi che raccontano l’isola, per spiegarla ai turisti appena evocati, trascurano di informare sugli ambienti costieri, molti dei quali sono sconosciuti ai più.

Ma il turismo arriva a un certo punto nella povera Sardegna.

E coglie alla sprovvista la classe dirigente locale, che aperti gli occhi su questa prospettiva, si prodigherà per agevolarla acriticamente. La Sardegna deve muovere i suoi passi nella competizione per lo sviluppo del Mezzogiorno. Il sottosviluppo è la condizione sempre richiamata nei discorsi (e presupposto di utili patti, non sempre nell’interesse pubblico, da contrarre per combattere disoccupazione e miseria).

Intanto nei libri patrocinati dalla Regione foto e descrizioni dell’isola celano la precarietà degli abitati e le gravi carenze infrastrutturali, omettono i dati sull'emigrazione, offrono versioni pittoresche del banditismo che connota tragicamente la Sardegna dell'in­terno.

Costa Smeralda

A metà degli anni Sessanta sulla scia dell’impresa del principe Karim in Gallura, l’azione di promozione del paesaggio sardo s’intensifica ed è il mare in primo piano.

Le parti più pregiate del territorio sardo, sono ormai diventate materia prima, pronte per entrare nel circuito delle cose da vendere. E tutto si ascrive all’arrivo del principe benefattore.

Non si fa molto per fare crescere le iniziative a conduzione familiare, lo sviluppo locale diciamo oggi. Si preferisce fare conto sulla grande intrapresa turistica, per poli di sviluppo, (il gruppo di Rovelli – la Sir – sta già provvedendo alle prime assunzioni a Porto Torres).

Anita Ekberg si bagnava nella fontana di Trevi, e non nelle acque di Porto Cervo, quando “Costa Smeralda” comincia a prendere forma. Ma si annotava già nei rotocalchi la presenza di esponenti delle casate nobiliari, di attrici, atto­ri e nuovi ricchi.

Ai quali piacciono le case rustiche e leziose volute dal principe: un florilegio di linee curve, in pianta e nei prospetti, abbondanza di archi finti, a pieno centro e ribassati, l’intonaco grossolano che avvolge mollemente i muri con l’effetto dello zucchero filato.

Il clamore provocato da quel flusso di presenze impiega poco ad arrivare alle orecchie di specula­tori, palazzinari, faccendieri che comprendono di poter contare a lungo sulla reclame. Per contro è debolissima nell’isola la volontà di governare il territorio, come se la politica avesse deciso di stare a guardare compiaciuta la ressa attorno alla merce. Assicurando che ce n’è per tutti. Chiunque venga in Sardegna per fare affari, cioè case, ha buon gioco: i timbri per sancire la legittimità di progetti si ottengono in fretta.

Nei primi anni Settanta “Costa Smeralda” progetta la sua crescita (370.000 vani), mettendo in secondo piano l’attività ricettività alberghiera. E nessuno rileva questa circostanza diffusa; più in generale prende corpo corpo l’equazione secondo cui il flusso turistico è proporzionale alle case edificate, e mai viene evidenziata adeguatamente la grande, sostanziale differenza, tra costruttori e operatori turistici.

Inizia l’era delle ipotesi megalomani dei comuni. La previsione totale, pari a settanta milioni di metri cubi che si vorrebbero realizzare un po’ dappertutto, è una misura che comincia a scuotere qualche coscienza. I segni lasciati dalle attività edilizie di quegli anni in molti litorali sono vistosi. Si legge il procedere rapido (e negligente) di chi approfitta di una congiuntura favorevole (che si teme transitoria). “Fare in fretta” per costituire i presupposti di future urbanizzazioni, sembra la parola d’ordine. Come in un ‘altra epoca secondo i versi di Melchiorre Murenu che scrive nel primo Ottocento: Tàncas serràdas a muru/ fattas a s’afferr’affera/si su chelu fid in terra,/l’haiant serradu puru. ( Terre recintate con muri/ arraffando/ se il cielo fosse in terra/ lo avrebbero recintato).

Riforme e controriforme

La partita si fa stringente negli anni Ottanta. “Costa Smeralda” tratta separatamente con Comune e Regione, mentre si avvia il dibattito per l’approvazione della legge urbanistica regionale e dei piani paesistici secondo le disposizioni della legge Galasso. Un iter che si conclude nel 1993 con molte ambiguità: le norme fissano principi di tutela strutturali ma si mettono i presupposti per fare salvi i casi che contano. Tiene “Costa Smeralda” che ha condizionato fortemente il processo di formazione della legge regionale (che ridimensionerà le pretese . da sei a due milioni e mezzo di mc. !) insieme al progetto di “Costa Turchese” della famiglia Berlusconi, sempre in Gallura.

La finalità delle imprese è quella di sfondare le regole attraverso la concertazione con le parti pubbliche a cui si propone di pagare un magro pedaggio. La richieste, molte in deroga alle previsioni del piano, si dovrebbero accordare in forza di un famigerato codicillo della legge regionale. Un procedimento azzardato, tutto fondato sull’eccezione: impossibile da realizzare, per fortuna.

Ciò che risulta con chiarezza di questa fase è la linea di alcuni soggetti istituzionali, che confina con la subordinazione agli interessi privati.

L’obiettivo trasversale è la rivincita nei confronti di una stagione di riforme mal tollerate, e “Costa Smeralda” è la punta avanzata dell’offensiva. Si fa conto sull’imprenditore con maggiori credenziali per sondare la tenuta dell’impianto di salvaguardia – in primis il vincolo della fascia dei 300 metri dal mare – con il proposito di scardinarlo. Effetto domino assicurato.

La partita si trascina negli ultimi dieci anni con ricorrenti incursioni. Ma la strumentazione, pure con tanti difetti, è più resistente di quanto non appaia. E saranno i gravi difetti – denunciati da un’ associazione ambientalista – a convincere i giudici della necessità di invalidare i piani paesistici. Un atto che produce un vuoto clamorosamente dilazionato. Trascorrono quasi due legislature –maggioranza di centrosinistra prima, poi di centrodestra – senza che si avvii il processo per ripristinare la legalità. Un vantaggio di cui si giovano in molti com’ è ovvio che sia.

Qui interviene l’indignazione di Soru che inaugura un capitolo che ci fa sperare. Nonostante il clima sia assai favorevole agli immobiliaristi veri e falsi, gli unici che sembrano godere di buona salute, oltre che dei favori del Parlamento.

Qui una sintesi del pensiero di Renato Soru

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