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Robert Lane
Proprio nel mio giardino
19 Febbraio 2012
Dalla stampa
Se vogliamo che la gente torni ad apprezzare le città, ci vuole una rinnovata cultura del quartiere, e delle regole. Spotlight on the Region, febbraio 2012 (f.b.)

Titolo originale: Right in my backyard: communities wrestle with growth - Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Se pensiamo al cosiddetto buon senso urbanistico, c’è quel modo di dire: non provare mai a toccare uno di quei quartieri consolidati di case unifamiliari. E certo con tante altre possibilità – dai centri commerciali abbandonati o quasi, agli ex nuclei di servizi semivuoti, alle zone produttive o ferroviarie dismesse – perché mai bisognerebbe provarci proprio lì? Però qualcuno lo fa, e ci riesce, anche. A Surrey, vivace sobborgo di prima cintura dell’area di Vancouver, Columbia Britannica, in un recente laboratorio partecipato cittadini e urbanisti hanno finito per concordare una mole notevole di nuove cubature nei quartieri. E si tratta di una tendenza coerente a quanto già accade in materia di trasformazioni urbane nel Canada nord-occidentale.

Il laboratorio di pianificazione partecipata, Surrey Sustainable Urban Infill Design Charrette, ha portato i cittadini a porsi una domanda cruciale: come è possibile rispondere a una spinta allo sviluppo che potrebbe potenzialmente raddoppiare la superficie della città nei prossimi vent’anni? Nel corso di una serie di simulazioni, i partecipanti al laboratorio hanno collocato case e attività economiche lungo corridoi serviti dalle attuali linee di trasporto collettivo, o da quelle già previste. Ma al contrario di quanto avviene in occasioni simili negli Stati Uniti, ben un terzo della crescita è stata però inserita nei quartieri esistenti di case unifamiliari. Nel laboratorio la si è definita “densificazione invisibile”.

Perché “invisibile”? Perché è tanto graduale, tanto adattata al contesto, che è possibile distinguerla dal resto studiando molto nei particolari ciascun aggregato residenziale. Le aggiunte prendono forma di appartamenti sopra i garage (a volte si chiamano “alloggio della nonna”), riorganizzazione di edifici molto grandi o molto piccoli di solito al centro degli isolati sulle vie minori. I partecipanti ci sono riusciti senza dubbio anche sulla base degli esempi già esistenti di quartieri nella regione di Vancouver dove la densificazione si sta verificando. Aree dove si è trovato il modo di accogliere la forte domanda di nuovi abitanti, rispettando al tempo stesso il desiderio dei residenti di vecchia data di mantenerne aspetto e caratteri.

Alcuni dei più bei quartieri della città, Kitsilano ad esempio, si compongono di case tradizionali di mattoni a vista, che al proprio interno ospitano, in modo invisibile, tre, quattro, cinque famiglie, dove un tempo ce ne stava solo una. Cambiamenti avvenuti talvolta in modo spontaneo, ma senza troppe discussioni. “La regione di Vancouver è più avanti di vent’anni rispetto al resto del Nord America, nell’accettare la presenza di questi spazi semiabusivi” spiega Patrick Condon, fra gli organizzatori del laboratorio. “Solo nella circoscrizione della città di Vancouver vera e propria sono oltre 50.000. Se non fosse per quelli alle famiglie dei lavoratori mancherebbero quasi del tutto alloggi accessibili”. Ma l’altro motivo per cui i partecipanti erano così disponibili, è che la cosa spontaneamente sta già avvenendo. L’iniziativa non era pubblica, anzi la pubblica amministrazione sembra un po’ inseguire le cose. Ad esempio la Città di Vancouver ha legalizzato gli spazi aggiunti solo nel 2010, così come altre amministrazioni locali dell’area. Osserva Condon come adesso si stia iniziando a farlo anche con gli edifici aggiunti nei vicoli di servizio dei quartieri, quelli che a Vancouver si chiamano anche “corsie”.

L’impulso del laboratorio di Surrey viene anche dall’impegno in tutta le regione a ridurre i gas serra, che provocano il riscaldamento globale, dell’80% entro il 2050: obiettivo non diverso da quello di altre città e cittadine. Alla fine della sessione, esaminando le varie proposte emerse si è rilevata una riduzione notevole di emissioni, soprattutto attraverso le minori distanze da percorrere quotidianamente in auto. Tutti potremmo imparare molto da questo metodo. Gli abitanti dei quartieri spesso si oppongono alle modifiche delle norme urbanistiche quando consentono maggiori densità residenziali. Quando invece è possibilissimo operare in modo più sottile migliorando la qualità dell’abitare. Più densità significa più case e scelte, per chi non ha figli, per i giovani senza famiglia, spazi da cedere in affitto che possono dare un reddito aggiuntivo, più possibilità per i mezzi pubblici, più vitalità dei quartieri e delle zone commerciali con gente nuova. Certo la cosa non vale ovunque, ma in moltissimi casi la si potrebbe scegliere in modo consensuale, presentando le esperienze riuscite altrove.

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