Oggi tutti inneggiano a Stefano Rodotà. Ieri, invece. Ricordiamo anche questo.
Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2017 (c.m.c.)
«Renzismi - Da “non ho giurato su Rodotà e Zagrebelsky” a “il capo del partito dei parrucconi” fino alle contumelie di Eugenio Scalfari”»
«Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o Zagrebelsky». Dal livello di illogicità della frase si capisce che l’autore è Matteo Renzi. Era il 2014, e con l’aforisma consegnato al Corriere della Sera l’allora capo del governo voleva dare ad intendere che la Costituzione “chiamasse” la sua stessa riforma ad opera del gruppetto di ambiziosi toscani, e che questa chiamata fosse incompatibile con la battaglia dei professori contro lo scasso della Costituzione.
Dopo aver insultato chiunque gli si opponeva (“gufi”, “rosiconi”, “rancorosi”, “sabotatori”, “frenatori”), lo screanzato continuava: “Non è che una cosa è sbagliata se non la dice Rodotà. Si può essere in disaccordo con i professoroni o presunti tali, con i professionisti dell’appello (Rodotà aveva appena firmato l’appello di Libertà e Giustizia contro la svolta autoritaria, ndr), senza diventare anticostituzionali”.
Fu il “via libera” per bastonare i due giuristi, colpevoli di disturbare il manovratore con le loro “chiacchiere” (“sanno solo criticare”, disse il mai eletto a Porta a Porta). Per la Boschi, «i professori bloccano le riforme da 30 anni». Per i furbi del Foglio, Rodotà era “il capo del partito dei parrucconi”, e il suo nome fu messo in burletta a riprodurre l’invocazione del 2013 (“Rodotà-tà-tà”). Il "costituzionalista del Pd" Stefano Ceccanti tirò fuori su Twitter una proposta di legge del 1985 firmata anche da Rodotà (allora indipendente del Pci) per «sostituire il bicameralismo paritario con il monocameralismo puro»: la trovata, retwittatissima, doveva servire a screditare il Professore prendendolo in castagna.
La Boschi fu mandata a Agorà: «Trovo legittimo che Rodotà abbia profondamente cambiato idea, perché ricordo che nell’85 fu il secondo firmatario di una proposta di legge che voleva abolire il Senato». Inutile far ragionare una legione di stupidi: se gli si faceva notare che Rodotà non era a favore del bicameralismo ma contro la loro riforma anti-democratica, passavano al nuovo pseudo-argomento.
Intanto Renzi sfornava i suoi famigerati insulti: “radical chic”, “accozzaglia”, “professionisti della tartina al salmone”, “archeologi travestiti da costituzionalisti”, e dietro i pappagalli di Twitter, questi bulli con wi-fi autoproclamatisi classe dirigente, per i quali “Professore” è un titolo di demerito.
Pensare che prima della rielezione di Giorgio Napolitano, Renzi sentenziava: «Marini è un dispetto all’Italia, meglio Rodotà». Ma il giorno dopo, nella pioggia di rose tributata al redivivo Re, si sprecarono i rimbrotti a Rodotà, colpevole di essere il candidato alle Quirinarie del M5S. Per il Corriere (Cazzullo e Macaluso), «poteva attendersi un suo gesto di cortesia – il ritiro della candidatura – che però non c’è stato». Su Repubblica, Eugenio Scalfari sibilò: «Rodotà si è pubblicamente rammaricato perché il Pd e i vecchi amici non l’hanno contattato»; beh, «neanche lui ha contattato me». Chissà cosa avrebbe dovuto chiedergli: forse il permesso di pensarsi Presidente con Napolitano ancora vivo, considerato che se Scalfari deve scegliere «tra Gramsci e Togliatti, scelgo Gramsci» e «tra Andreotti e Moro scelgo Moro. Tra Togliatti e Berlinguer scelgo Berlinguer». E tra Rodotà e Napolitano? «Scelgo Napolitano… Il nome Rodotà in questo caso non mi è venuto in mente».
Un ricordo personale. Era la fine del 2010, Wikileaks aveva appena reso noti i cablogrammi dell’ambasciatore Usa: «Berlusconi vuole censurare Internet» per “favorire le proprie imprese” e silenziare “il dissenso”. Il riferimento era alla “legge Romani” e al disegno di legge dell’onorevole Gabriella Carlucci (ogni epoca ha la sua Boschi) per “la tutela della legalità (sic) nella rete Internet”.
Per l’agenzia che produceva il sito di YouDem, la tv della corrente veltroniana del Pd, mi proposi di intervistare Rodotà. I responsabili del sito ne furono entusiasti: a quel tempo il nome di Rodotà gli faceva comodo; ma mi raccomandarono di contingentare le dichiarazioni del Professore in modo da ricavarne “pillole” di pochi minuti, per un videoclip veloce, smart (il renzismo pre-esiste a Renzi). Telefonai a Rodotà. Mi disse che non avrebbe sottoposto la sua riflessione ad alcuna pillolizzazione, e mi invitò, se volevo, a fargli un’intervista degna di questo nome.
Contro il volere del management, mi presentai a casa sua, tra via Arenula e il Ghetto, dove mi accolse con la sua amabilità asciutta e il suo sorriso gentile. Alla fine dell’intervista, durata quasi due ore, disse: «Ci sarà sempre qualcuno che tenterà di limitare i diritti fondamentali coi pretesti più vari. Bisogna saperlo riconoscere».