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Prodi: il Mose va completato
10 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Non so se da qui alle elezioni si riuscirà a far comprendere alcune cose essenziali a quelli che saranno (lo speriamo vivamente) i nostri futuri governanti; ci vorrà molta pazienza anche dopo. L’intervista è da la Nuova Venezia del 18 febbraio 2006

PADOVA. «E’ buonissima. E’ meno grassa di una normale mortadella». Romano Prodi si libera dalla «morsa» del telefonino e addenta di gusto una fetta di ocadella, la mortadella d’oca, subito bagnata da un buon bicchiere di prosecco. Sarà anche impegnato in una campagna elettorale estenuante, ma il professore non rinuncia ai piccoli piaceri della vita. Insieme alla moglie Flavia, che lo segue nei weekend, il candidato premier dell’Unione arriva al mattino , a piedi, dalla Fiera, dove ha ammirato orchidee. Al padiglione 7 c’è il tempo di un simpatico botta e risposta con il titolare di una ditta di Montichiari (Brescia). «Abbiamo 25 persone - puntualizza l’imprenditore - che mangiano e dormono in albergo». «Beh», ribatte Prodi, «non vorrà mica farli dormire all’aperto...». Prima di uscire fissa il manifesto del concerto di Joan Baez, in calendario il primo aprile: «Peccato, avrò altro da fare», dice.

Attorno al tavolo della redazione si accomodano anche il sindaco Flavio Zanonato, il vicesindaco Claudio Sinigaglia, il segretario regionale dei Ds Cesare De Piccoli, il segretario provinciale della Quercia Alessandro Naccarato e il segretario cittadino della Margherita Simone Dalla Libera. Un pezzettino di caciotta, due acini d’uva, un bicchier d’acqua e poi si parte con il forum: «Bene», afferma il Prof, «lavoriamo».

Economia, grandi opere, Tav e Mose, ricerca scientifica e innovazione. E poi federalismo e referendum: sono questi i temi del «Forum» nella nostra redazione.

Professor Prodi, partiamo da un tema spinoso: le grandi opere. Lei ha detto che la Tav va realizzata. E per il Mose di Venezia, che pensa di fare. A proposito, lo sa che il governatore Galan si è candidato per sostituire il ministro alle Infrastrutture Lunardi?

«Non lo sapevo. Ma non è faticoso fare meglio di Lunardi. Ci vuole poco, così avremo meno tunnel, meno gallerie. Ma non servirà, perderanno le elezioni...»

Presidente le Grandi Opere: cosa farete?

«Ricordate quella frase di Flaiano: quando si apre una parentesi va chiusa. Bene, lo stesso metodo ci vuole per le grandi opere. Cominciamo dall’alta velocità. Il corridoio Est-Ovest da Barcellona e Budapest-Kiev attraverserà tutta la pianura padana, dal Piemonte al Veneto. E’ un’opera assolutamente indispensabile, per due ragioni: trasportare più merci e liberare i binari attuali per potenziare i treni dei pendolari. Non è possibile che tutta l’area metropolitana veneta e lombarda sia bloccata da eterni disagi: chi si sposta in treno resta bloccato nelle stazioni con ritardi scandalosi. Va trovato un rimedio e senza l’alta velocità non è possibile far partire i treni delle metropolitane leggere. Lo stesso discorso vale anche per l’Emilia, siamo in forte ritardo. Quindi la Tav va realizzata, dopo aver costruito il consenso delle popolazioni coinvolte dal progetto».

Presidente, a Venezia c’è polemica per i lavori del Mose, che drenano tutte le risorse della legge speciale: lei ritiene che le opere vadano completate oppure bisogna cambiare progetto?

«Il Mose mi pare la proposta più forte per salvare Venezia dall’incubo dell’acqua alta. Ma bisogna evitare che la laguna sia abbandonata a se stessa: accanto al Mose vanno finanziati tutti gli interventi necessari a garantire la salvaguardia del complesso sistema lagunare. Il centrosinistra non è contro le grandi opere, ma pretendiamo che i lavori siano fatti come Dio comanda. Purtroppo abbiamo esempi pochi edificanti: la pianura padana è devastata dal cemento e la nostra economia vive non solo sui mega appalti, ma sulle manuntenzioni con cui si salva l’efficienza del Paese. C’è molto da fare: le periferie stanno diventando bombe ad orologeria».

Veniamo da un periodo di grande espansione, seguito poi da una grande depressione. In questi anni, in Veneto, abbiamo perso molto sul piano della competitività. Professore, cosa c’è nel suo programma per rilanciare l’economia?

«Il mio obiettivo principale è la ripresa della crescita. Questo è un Paese che si è fermato. Se non riprendiamo a crescere, non ce la fanno le famiglie e non ce la fa nemmeno lo Stato. La mia proposta concreta riguarda il costo del lavoro e il cuneo fiscale. Ma comprende anche un deciso intervento su ricerca, sviluppo e innovazione. Che non vuol dire, però, Archimede Pitagorico...».

Cosa avete pensato per le imprese?

«In passato abbiamo certamente vantato che piccolo è bello. Ora non è più sufficiente. Spesso le nostre imprese non hanno una dimensione adeguata. Bisogna prevedere incentivi alle fusioni, alle concentrazioni. E poi bisogna riporre una grande attenzione alle esportazioni e ai nuovi mercati».

Professore, la Cina è sempre più vicina...

«Beh, la Cina in casa ti arriva. Il problema è arrivare noi in Cina. Quando, da presidente della Commissione europea, sono andato in Cina, con Chirac e Schroeder, dietro a loro c’era tutto il Paese. Il nostro governo, invece, in cinque anni, non ha fatto una missione in Cina. Sì, è vero, ci è andato il presidente della Repubblica, ma non è la stessa cosa. Si è inaugurato, in questi giorni, l’anno dell’Italia in Cina: ci è andato solo Buttiglione, il teatro era mezzo vuoto. Io sono invece sono convinto che il rapporto con la Cina lo dobbiamo gestire noi. Dobbiamo essere severissimi con chi copia, con chi sfrutta il lavoro minorile. Dobbiamo chiedere controlli alla Pubblica amministrazione, che non ha sorvegliato sugli ingressi di macchinari non sicuri. Non avendo richiesto controlli e sicurezza, ci siamo autocastrati».

E l’immigrazione come la controlliamo?

«Noi dobbiamo avere un’immigrazione di alto livello, che non ha bisogno di essere controllata».

E per l’Università qual è la sua ricetta?

«Sia chiaro, ho tutto il rispetto per chi frequenta Scienze della comunicazione. Ma se gli iscritti a questa facoltà sono il triplo di tutti gli iscritti a Matematica, Fisica e Chimica, hai voglia a costruire lo sviluppo... Se vogliamo davvero rinnovare la nostra industria, servono più periti. Ma io voglio i periti del ventunesimo secolo che, dopo il diploma studiano altri tre anni».

Presidente, ci sono un sacco di giovani preparati che faticano a trovare un lavoro stabile...

«Come si diceva una volta, dobbiamo metterci una mano sul cuore. E’ vero, c’è gente che fa per anni l’apprendista. Ho visto laureati che fanno i fattorini. Se uno dice: “Studio, faccio un grande sacrificio”, poi dovrebbe avere un impiego adeguato a quello che ha studiato. Io credo sia necessario operare una scrostatura delle professioni. Se n’è parlato tanto, ma di vere riforme degli ordini non ce ne sono state. Invece bisogna aprire le porte. A questo proposito, ho avuto un’esperienza con alcuni miei colleghi, professori universitari, arrivati dagli Stati Uniti per una ricerca sul personale degli ospedali. Sono entrati in una struttura e hanno subito accertato che otto primari su undici sono figli di primari. “Qui, è tutto chiaro”, mi hanno detto, “non c’è proprio niente da ricercare”.

Parliamo di devolution ? L’impressione è che il popolo del Nord abbia investito sul federalismo. E’ proprio tutta da buttare la riforma costituzionale del centrodestra?

«Ci sono delle incongruenze che vanno assolutamente sistemate al più presto. Di sicuro ridiscuteremo le competenze regionali. Ad esempio, per quanto riguarda la politica estera delle Regioni, è sotto gli occhi di tutti che siamo di fronte a uno spreco enorme di risorse. E occorre intervenire anche nella politica del turismo. Se voi andate all’aeroporto di Abu Dhabi o Dakar, vedete la pubblicità di una regione italiana, non vi dirò quale, che è grande così (l’onorevole Prodi avvicina pollice e indice). Una propaganda del genere non serve proprio a niente. Ma, tornando alla domanda, andiamo verso una legge elettorale per ogni regionale. Questa sarebbe la fine del mondo...».

Intanto il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, accusa il collega del Friuli-Venezia Giulia di alimentare uno smottamento istituzionale. Ci sono già tre-quattro Comuni di confine pronti a passare con il Friuli. Senza dimenticare che un altro Comune ha chiesto di passare con il Trentino-Alto Adige...

«Sul caso specifico non mi pronuncio. Non entro nella controversia perché non la conosco. Certo è che si rischia che prima passino quattro Comuni. E poi altri quattro... Va ribadito un concetto: le Regioni a statuto speciale non sono le Regioni più povere, ma quelle che sono diventate per alcune caratteristiche particolari: la Sicilia, la Valle d’Aosta, e via elencando. Ma quelle sono e quelle restano. Punto».

Lei parla spesso d’incentivi. In particolare, a quali sta pensando?

«Penso ai temi che sto affrontando in questi giorni: il cuneo fiscale e la detrazione per gli affitti. Per queste due proposte le risorse ci sono. D’altra parte, credo di essere credibile nell’uso delle cifre. Io ho fatto il più grande aggiustamento dei conti della storia d’Italia. Ho lasciato il governo (ottobre 1998, ndr) con il 6,5 di avanzo primario. Adesso siamo a zero. Credo ci sia una bella differenza tra 6,5 e zero. Allora, ogni mese, ci arrivava un introito fiscale superiore alle previsioni. La gente aveva capito che il ministro Visco le tasse le faceva pagare. E allora le pagava subito. Adesso, invece, è tutto un condono. Mettiamo che il “nero” sia il 30%. Se mettiamo in bianco, la metà del 30% di nero, il risanamento è già fatto. La prima riforma del governo Berlusconi è stata la rimozione del direttore del Dipartimento delle Entrate (Massimo Romano, ndr). Una sorta di messaggio ai commercialisti: “Ragazzi, alè”».

Torniamo ai temi della formazione e della ricerca. Padova ha un’università antica e prestigiosa, ma il Parco scientifico non riesce a decollare.

«Certo, questo non può avvenire se non c’è un rapporto stretto tra università e ricerca. La ricerca privata è addirittura nulla rispetto all’altra. Io credo sia necessario affrontare il problema della sburocratizzazione dell’università. Bisogna mettere in rete la ricerca con il mondo produttivo. Certo, se si fa archeologia o storia, non è facile fare fatturato. Ma non si può prendere in giro la gente: io m’impegno ad aumentare le risorse per l’università. Voglio anche dare un incentivo agli addetti alla ricerca».

Nel suo libro “Tempo scaduto” Luca Ricolfi ha analizzato il livello di realizzazione del programma elettorale di Berlusconi. Ora però si trova in difficoltà a misurare le 281 pagine del suo programma...

«Io lo sto presentando, giorno per giorno: prima il cuneo fiscale, poi gli affitti. Penso che Ricolfi potrà scrivere un altro libro, che potrà intitolare: “Che bel tempo”».

Allora Presidente, il «faccia a faccia» in tv con Berlusconi si farà sì o no o lei vuole sempre sfidare il tridente?

«Ma certo che si farà. Ho di fronte tre candidati al governo. Nella Casa della libertà non si sa chi sarà il primo ministro, loro dicono che lo farà chi ha più voti. Non a caso sui simboli dei partiti hanno messo i loro nomi: Fini, Casini, Berlusconi. Sia chiaro non mi interessa un confronto in cui si raccontano sogni, si fanno promesse o si parla di astrattezze.

Invece bisogna discutere di ciò che è stato fatto in questi cinque anni. Berlusconi, Fini e Casini non hanno mai governato insieme. Non voglio che Berlusconi possa dire agli italiani: sono stati gli altri che mi hanno impedito di governare. Se nel confronto tv ci saranno tutti e tre, non potranno sfuggire alle loro responsabilità».

A cura di CLAUDIO BACCARIN e ALBINO SALMASO

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