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Lodo Meneghetti
Primo maggio 2015 a Milano
2 Maggio 2015
Lodovico (Lodo) Meneghetti
Me l'aspettavo, non per questo ho provato meno rabbia. Guardo ora i giornali su internet. Tutti ignorano il successo della manifestazione dei diversi movimenti... (leggi tutto)

Me l'aspettavo, non per questo ho provato meno rabbia. Guardo ora i giornali su internet. Tutti ignorano il successo della manifestazione dei diversi movimenti... (leggi tutto)

Me lo aspettavo, non per questo ho provato meno rabbia. Sfoglio i giornali su internet. Ignorano il successo della manifestazione dei diversi movimenti compatti con i loro slogan contro le grandi opere inutili e costose, contro le scelte neoliberiste del governo. Invece raccontano, fotografano le azioni del “blocco nero”. Nessun giornalista dice chiaro che i blocchisti hanno potuto fare tutto quello che volevano, completamente liberi, senza il minimo ostacolo. La polizia assisteva agli incendi delle auto, alla rottura delle vetrine, agli imbrattamenti e non so a che altro come fosse davanti a una recita teatrale, a una finzione. Più violenza, più convenienza, non è difficile capire per chi. Mai visto scene paradossali come quelle in cui i blocchisti, prima vestiti come tutti, indossavano la divisa tutta nera dal cappuccio alle scarpe tenuta nei loro sacchi e, indisturbati, procedevano come programmato; poi si spogliavano del nerume, riponevano o gettavano, si rivestivano da bravi ragazzi e se ne andavano.

Non voglio apparire dietrologo, ma come non pensare che, quantomeno, i capi della polizia se la godessero. Qualcuno chiede le dimissioni di Alfano. Il sindaco Pisapia gli ha attribuito la responsabilità del mancato intervento. Fortunatamente i poliziotti, che a Genova avevano massacrato gli inermi innocenti, non hanno avuto bisogno di ripetersi. Bastava l'esito della perfetta strategia del laisser faire, laisser passer: come nei processi economici, per i quali questa locuzione di un economista settecentesco rappresenta oggi la necessaria mancanza di qualsiasi vincolo. Ognuno faccia il cavolo che vuole, ogni dirigente nell’economia, nella politica, nella società sia singolo blocchista incappucciato ma riconosciuto nel gruppo. Come il Klu Klux Clan.

Pochi giorni prima il settantennio della Liberazione aveva superato certa stanchezza celebrativa degli anni scorsi. Grande partecipazione di giovani, anziani e vecchi, un corteo lunghissimo, pieno di simboli e di suoni; 150.000 persone per testimoniare la vitalità di un retaggio storico che i rigurgiti di fascismo anche in una città medaglia d’oro della Resistenza non potranno mai spegnere. Saranno questi osceni rigurgiti a essere ricacciati in gola ai vomitanti. Magnifici, antiretorici gli interventi in Piazza Duomo, specialmente quelli di un’insegnante di 33 anni e del presidente dell'Anpi Smuraglia (92!), entrambi incalzante denuncia della condizione gravissima del paese nell’economia, nella politica, negli assetti sociali, nella cultura.

Ricordavamo la manifestazione del 1994, l’enorme corteo sotto la pioggia rispecchiamento dell’opposizione radicale al governo Berlusconi: che dopo pochi mesi cadrà. Ieri nessuno poteva credere che il governo attuale fosse davvero in pericolo, tuttavia nasceva la speranza che un’opposizione sociale di sinistra degna del nome diventasse viva opposizione politica e agitasse la “morta gora” delle alte istituzioni, in verità miranti, vuoi rumorose vuoi quatte quatte, a demolire la Costituzione un pezzetto dopo l’altro.

Intanto si inaugurava l’Esposizione universale. Ne ho scritto l’11 aprile insieme a un po’ di storia sociale milanese (Com’era Milano e com’è al tempo dell’Expo) e lì rimando. Ho visto le immagini dei padiglioni, e dintorni, in una rassegna fotografica: un trionfo inconcepibile del Kitsch. Del resto il Kitsch, ormai, è considerato un movimento d'arte. Un’infestante festa rutilante di forme liberamente scriteriate del tutto prive di un qualche legame con la ricerca architettonica (non basta la scusa della provvisorietà). Ho già segnalato in altra occasione che per simboleggiare la mostra si potrebbe scegliere il padiglione della Thailandia, la cui coerenza al tema agrario (“Nutrire il pianeta…”) consisterebbe nell'averlo costruito in forma di cappello delle contadine.

Dalle prime interviste sembra che i visitatori siano entusiasti dell'”architettura” dei padiglioni. E dell’inverosimile ”albero della vita”? (mi auguro che cada in testa al progettista e agli organizzatori, se si riuniranno lì sotto per adorarlo).

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