Perché nel resto del mondo la rappresentanza femminile in politica è ben più nutrita di quanto non sia in questo mio paese infine così europeo? Perché non possiamo non dico pensare a un presidente della Repubblica donna, o a un presidente del Consiglio donna, ma anche a un capo di Confindustria, a un ministro delle Infrastrutture, dell'Interno, della Giustizia donna? Un direttore di grosso quotidiano? Di tg?
Questa l'avete già sentita. In forma di notizietta a una colonna, piccola piccola, eterna lamentazione di questa o quella donna in una pagina di politica interna occupata dai seri discorsi degli uomini. Pagine e pagine sulle quote rosa, per dire una cosa recente, un'impennata delle donne politiche sui giornali. Ma capita spesso che l'intervista alla donna politica occupi un boxino «da curiosità», «il caso», «spunti», i titolini sono da Settimana Enigmistica nel mare magnum del pensiero del leader, maschio. Si parte dalla politica perché sembra l'ambito più alto, più rappresentativo. Ma ci si accorge presto che lì si riproduce il pensiero unico corrente e imperante. Guerra di tailleur. Chi è la più bella del Parlamento. Come veste male quella lì.
Guarda come si è cotonata. Fino a elogi e insulti ad personam, purché donna. Fino alle offese palesi, da camionista, alla donna che non incarna l'ideale prestigiacomiano della bella politica. A Rosy Bindi, stanchi di dire che è brutta e grassa, usurati dalle battute sulla prestanza fisica, si è arrivati a dire che è lesbica, con il doppio carpiato di aggiungere alla cafoneria sessista anche un sessismo cafone. La politica, lasciamo perdere. Con un (ex, sia ringraziato il Signore) presidente del Consiglio che andava dicendo (all'estero! in pubblico!) agli imprenditori europei di investire in Italia «dove abbiamo bellissime segretarie». Facendo proprio la faccia che indovinate.
Quando i provvedimenti sulle quote rosa prendono il solenne colpo (dagli uomini), l'allora ministro per le Pari opportunità piange. Ovvio, è donna, piange. Cosa che i giornali non smettono di sottolineare.
E allora? Niente elogio delle donne, qui, per carità. Il discorso «di genere» è una porta pericolosa, che conduce direttamente al tutto-va-bene-purche-donna. Trovo che Condoleezza Rice, Oriana Fallaci e Letizia Moratti siano figure inquietanti; che la Pivetti era meglio non festeggiarla come più giovane presidente della Camera.
Un discorso «di genere» presenta notevoli trappole. Come dire che tra la Thatcher e i minatori inglesi si sarebbe scelta la Thatcher, in quanto donna. Mah!
Niente genere, insomma. Penso anche che non mi basta aver avuto una Montessori effigiata sulle mille lire, né mi interessa più di tanto che una Tamaro, una Melissa P. o una Mazzantini vendano milioni di copie dei loro libri. Non mi sento indennizzata, per dire, quando per contro non posso girare gli occhi senza ritrovarmi in qualche modo sbeffeggiata. Con buona pace di tutte le belle notizie propagandate con gran foga: crescita dell'imprenditoria femminile, pari opportunità, manager donne che emergono rampanti. Ma le cifre generali dicono un'altra cosa. Le eccezioni si sprecano, e l'emergenza è ormai così endemica che non se ne parla più: l'abbandono del lavoro, il ricatto, il mobbing alle donne causa maternità. E sono più che mai acuti i vecchi problemi: asili nido insufficienti, consultori in via di smantellamento, servizi scadenti, o nulli, essendo servizi che riguardano soprattutto le donne. A questo si aggiungono problemi nuovi nuovi come la precarizzazione del lavoro, che coinvolge tutti ma per le donne è peggio che mai.
Le problematiche del mondo del lavoro, già complicate in una situazione di bassa crescita (di crescita zero, finché governava il presidente delle belle segretarie di cui sopra), si fanno addirittura drammatiche per le donne, costose per i ceti medio-alti e insostenibili per i ceti medio-bassi.
Se si aggiungono aspetti variamente correlati al problema, come la situazione delle straniere, la violenza contro le donne che si è fatta, se possibile, più brutale e diffusa, o la mercificazione del corpo, si vedrà che nessun progresso reale è intervenuto nella situazione delle italiane negli ultimi vent' anni.
Se si aggiungono ancora (benzina sul fuoco) gli attacchi ai diritti acquisiti, aborto, inseminazione -quasi quasi pure le ecografie - e i balletti necrofili, integralisti, neo-con sulla pelle delle donne, si vedrà che abbiamo fatto un vero, innegabile, strabiliante passo indietro.
Un grande passo indietro delle donne con la grande complicità delle donne stesse. È così, non nascondiamocelo. Non di tutte, certo, ma di molte. E se fossimo un esercito, avremmo tra le nostre fila un po' troppi collaborazionisti.
Certi giorni mi sento accerchiata. Certi giorni le cose vengono avanti tutte assieme e allora è più facile verificare che quel sentimento di assedio non è una paturnia solo mia. Certi giorni le agenzie di stampa sputano fuori dati e statistiche, o le dichiarazioni di un politico particolarmente becero, o l'ultima di Ruini, o le intercettazioni d'un principe porcaccione, o l'ennesimo massacro in famiglia, e allora mi accorgo che tutto, in qualche modo, torna. Si ricombina. Ecco un segnale, mi dico. Ed ecco un altro segnale. E poi: ehi, ancora un altro segnale. Finché emerge la certezza che tutto si tiene. Un Ruini, a sorpresa, si incrocia perfettamente con la pubblicità osé, e allo stesso tempo si incastra come il pezzo di un puzzle sul guizzo maschilista, sulla battuta volgare. Tutto si tiene; è lo stesso disegno, tanti fiumi che vanno allo stesso mare: quello dell'ostentato disprezzo per la donna.
Va bene, a volte mi impunto su cose che sembrano assolutamente secondarie e che magari colpiscono solo me: una pubblicità particolarmente lasciva, un claim discriminatorio, il commento d'un vicino al ristorante quando appare la Turco al tg e lui, tutto unto e porroso col gambero mezzo succhiato ancora in pugno come un personaggio della Ghermandi, dice sarcastico: «Guardate quant'è bella! Una donna splendida...».
La stampa periodica costringe a un eterno interminabile slalom per evitare, ad averne l'accortezza, gli eccessi fascistelli d'un Pietrangdo Buttafuoco che non manca mai di apostrofare la Prestigiacomo con i bavosi e per nulla galanti «bedda» o «beddissima», da vero «galantuomo» del Sud (che palle!); oppure ecco le curve della nobil fanciulla signorina Ilaria Visconti di Modrone, gambe all'aria in un bel salotto, fotografata con tacchi a stiletto di dodici centimetri e autoreggenti nere a commento di una banalissima (anzi, alquanto loffia) intervista, che rappresenta la scusa per pubblicare qualche foto pornosoft.
Sfogliate, sfogliate, qualcosa resterà.
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