Un esemplare tentativo di "buongoverno dal basso", in una Laguna devastata dal Saccheggiatori, dai Demolitori e dagli Ignoranti, la cui mamma è sempre incinta. Inviato a eddyburg il 18 aprile 2014
Poveglia. Una storia fuori dal comune. Come andrà a finire non lo sanessuno, nemmeno i principali protagonisti che sono una decina di amici dellaGiudecca, l’isola più popolare e ancora autentica di Venezia, che hanno decisodi reagire all’ennesimo affronto che sta subendo la loro città: la messaall’asta di Poveglia, un antico insediamento composto da tre isole collegatetra loro in mezzo alla Laguna: un ottagono fortificato dalla RepubblicaSerenissima a guardia dell’antica bocca di porto di Malamocco, un lazzaretto trasformatonell’800 in stazione sanitaria marittima e successivamente in ospizio, unachiesa di cui sopravvive solo uno splendido campanile, antichi orti. In tutto 75.000mq di cui 5.000 edificati. Dopo decenni di abbandono e svariati tentativi di“trasformazione e sviluppo con finalità turistico-culturali” andati a cattivofine, l’Agenzia del demanio ha repentinamente deciso di svendere il complessoimmobiliare con un’asta telematica al miglior offerente. L’efficiente governoRenzi mette in televendita non solo auto blu, ma anche gioielli immobiliari. Tecnicamentesi tratta di una concessione per 99 anni. Scadenza delle offerte segrete il 6maggio ore 11. Nessun limite minimo, né massimo. Saranno selezionate le cinqueofferte economiche più vantaggiose per le casse dello stato. Una specie dipoker-teresina a carte coperte. Non serve presentare alcun progetto, nonservono piani tecnico-finanziari, non servono garanzie. Basta versare unacauzione di 20.000 euro. Poi, in un secondo momento, i selezioanti saranno chiamati ad una secondatrattativa con l’Agenzia del Demani
Ovviamente si è subito alzato in volo uno stormo di avvoltoi: un paio dibroker per conto di anonimi clienti, una società di ingegneria, un grandealbergo, la società Umana che per vocazione intermedia
forza lavoro ma che non disdegna trattare anche alte mercanzie, “investitori” vari. L’amministrazione comunale, come sempre impegnata a far quadrare i bilanci ordinari, sospira rassegnata alla perdita di un altro pezzo della città. Il Ministero ai beni culturali non muove ciglio per una delle tante “isole minori” della Laguna. Nemmeno le associazioni ambientaliste sembrano avere la forza di protestare più di tanto, impegnate su troppe vertenze, tra cui quella “madre” conto l’entrata in Laguna delle grandi navi da crociera.
Ma un paio di settimane fa l’inerzia è stata rotta da un accadimento inaspettato. Un gruppo di abitanti della Giudecca ha deciso spontaneamente di dover reagire in qualche modo direttamente in prima persona. Troppe volte i veneziani hanno visto prendere a morsi i beni pubblici della propria città. C’è un lungo elenco di “trasformazioni d’uso” avvenute negli ultimi anni: i magazzini della Dogana alla Salute trasformati in galleria privata della collezione di monsieur Pinout, il Fondaco dei Tedeschi a Rialto trasformato da sede delle Poste a store di Benetton, la Misericordia diventata un bazar, le isole ex ospedaliere di San Clemente, di Sacca Sessola e delle Grazie diventate dei resort internazionale. Ai nostri valorosi cittadini viene quindi l’idea pazza di lanciare una sottoscrizione popolare per partecipare all’asta e segnalare così ufficialmente l’esistenza di una cittadinanza attiva ostinatamente contraria alla privatizzazione turistica della città.
All’inizio l’obiettivo era semplice e modesto: raccogliere i 20.000 euro necessari alla partecipazione dell’asta, che sarebbero poi stati restituiti. Ma il tam-tam corre tra calli e social network e in pochi giorni centinaia e poi migliaia di persone sommergono la neonata Associazione Poveglia di richieste di veneziani entusiasti che si dichiarano disponibili anche ad avanzare una vera e propria offerta per ottenere davvero la concessione dell’isola dal demanio e riutilizzarla a scopi collettivi. Si sono così formati dei gruppi di progettazione partecipata. Architetti, avvocati, storici, capomastri, giardinieri, funzionari pubblici in pensione… che hanno rapidamente elaborato una proposta chiamata “Poveglia per tutti”. In pochi giorni più di tremila persone hanno versato 99 euro a testa: 19 a fondo perduto per le spese e 80 per partecipare all’asta, che, in caso di sconfitta, verranno restituiti. “Vogliamo che l’isola rimanga pubblica, aperta, ad uso di tutti”, scrivono. “La gestione dell’isola sarà no-profit ed eco-sostenibile”, quindi “la quota sottoscritta darà diritto a partecipare equamente alle decisioni sulle sorti di Poveglia”.
L’idea sembra piacere anche in giro nel mondo. Ne stanno scrivendo giornali tedeschi, inglesi, americani. Tra poco sarà possibile sottoscrivere on-line secondo le modalità crowfounding. Saranno accettati marchi, sterline e dollari, ma attenzione - precisano i promotori - non ci saranno utili da spartire, né dividendi, né azioni e ogni sottoscrittore conterà un voto nell’assemblea della Associazione a prescindere dall’entità della donazione. Profitti sono esclusi per statuto: gli utili che si riusciranno ad ottenere svolgendo attività economiche nell’isola andranno ad esclusivo beneficio del restauro e del mantenimento. Lorenzo Pesola, uno dei portavoce, precisa: “Siamo dei garanti, non dei proprietari”. Insomma, Poveglia bene comune.
Non sarebbe la prima volta che delle associazioni (Fai, Wwf) riescono ad acquisire dei beni e a gestirli a fini sociali, ma la novità di questa iniziativa veneziana è che si è messa in moto un’intera comunità cittadina che non chiede nulla né allo Stato, né al Comune se non di lasciarla gestire in autonomia e autogestione un bene pubblico. E’ la dimostrazione che esiste una terza via al fallimento dello stato (sommerso dai debiti) e del capitale privato (guidato dalla ricerca del massimo profitto). Per tutti e due questi “soggetti forti” rinunciare a speculare sui propri beni appare culturalmente e politicamente impossibile nell’attuale epoca dominata dal liberismo. Ma l’alternativa c’è e si chiama economia civile, sociale, solidale, etica… o del bene comune. Si sottrae alle logiche del mercato e per svilupparsi non ha bisogno delle società di capitale. Non ha mire competitive. Al contrario offre utilità da condividere. Non chiede né tasse, né lavoro coatto, ma la libera e volontaria messa in comune di competenze, di tempo-lavoro volontario, di risorse economiche necessarie alla realizzazione di un progetto comune.
Non sarà facile realizzare il sogno di “Poveglia per tutti”. Serviranno molte donazioni per riuscire a formalizzare una offerta non ignorabile dall’Agenzia del demanio. Servirà dissuadere gli speculari da presentare offerte ricordando loro che comunque saranno ben sorvegliati e non avranno mano libera. Serve che le autorità politiche locali e nazionali la smettano di comportarsi come liquidatori fallimentari del lascito di ricchezza, storia e memoria che dovrebbero invece preservare e amministrare con cura.
Speriamo che gli amici giudecchini ce la facciano.
Per info e adesioni: associazionepoveglia@gmail.com.