Un piano misconosciuto, ancora vigente e positivamente operante poiché costruito e gestito nei decenni in cui le scelte urbanistiche erano espressione di valori sociali e culturali altrove smarriti o contraddetti nei decenni successivi
Premessa
In questo sito, e inquello della Scuola di eddyburg, abbiamo spesso fatto riferimento al pianoregolatore generale di Napoli del 2004, ma non abbiamo mai inserito unanarrazione organica dei suoi contenuti e della sua vicenda. C'è invece, in "paginedi storia” una cartella dedicata al suo antenato, il "piano delleperiferie" del 1980). Abbiano chiesto a Vezio De Lucia di riparare aquesta omissione. Ci ha inviato il testo che pubblichiamo di seguito.
PICCOLA STORIA DEL PRG NAPOLI 2004
Colgo la richiesta eddyburg per raccontare le vicende chehanno portato all'attuale piano regolatore di Napoli approvato nel 2004. Unpiano le cui origini vanno cercate nelle scelte urbanistiche degli anniSettanta, espressione di quei valori sociali e culturali altrove smarriti ocontraddetti nei decenni successivi.
Perché oggi
Lo faccio oggi tanto più volentieri in quanto mi sonoconvinto che le cose dell’urbanistica napoletana sono sconosciute. Ancheautorevoli giornalisti noti per essere scrupolosamente documentatistabiliscono, per esempio, che Napoli è una delle città italiane dove continuasenza tregua il consumo del suolo. E non contribuiscono a fare chiarezza i datidell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale,espressione del ministero dell’Ambiente, che pubblica un deludente rapportoannuale sul consumo del suolo.
Eppure, il piano regolatore di Napoli approvato nel 2004 èl’unico piano di una grande città italiana che non prevede consumo di suolo.Non si tratta di un traguardo genericamente proclamato, ma di un risultatoeffettivamente raggiunto e salvaguardato negli anni. Nel piano non ci sono zoned’espansione. La città esistente è sottoposta, con modalità diverse, ainterventi di conservazione, di riqualificazione e di ristrutturazione. Ilgrande spazio non urbanizzato formato dal sistema collinare che avvolge lacittà da Capodichino a Pianura è destinato a parco agricolo regionale.
Lo stop al consumo del suolo non è il solo contenutoqualificante del piano. Altrettanto rilevanti sono la tutela del patrimoniostorico, la protezione attiva degli spazi naturali sopravvissuti al massacro e,ovviamente, il formidabile potenziamento della rete del trasporto pubblico suferro che – grazie anche ad alcune nuove stazioni della metro ormai note intutto il mondo – è probabilmente l’aspetto più conosciuto del rinnovamentourbanistico di Napoli.
Dal colera al sindacoValenzi
Il 1973 fu l’anno del colera, un’epidemia che determinòpanico e smarrimento. In effetti i ricoverati furono meno di mille, i morti unadozzina ma il colera va ricordato perché per anni ha agito come marchiod’infamia ai danni di Napoli (si pensi al mondo del calcio e alla Lega nord),poi perché in quell’occasione il Pci si mobilitò con straordinaria efficienza,quasi sostituendosi all’amministrazione comunale impegnando propri militantinelle vaccinazioni e nell’assistenza alla popolazione.
Fu anche per questo che due anni dopo, nelle elezioni del 15e 16 giugno del 1975, a Napoli trionfò il Pci e fu eletto sindaco MaurizioValenzi. In tutte le maggiori città italiane – Torino, Milano, Venezia, Genova,Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Cosenza – furono insediate, per la prima voltacontemporaneamente, amministrazioni di sinistra. Ma non c’è dubbio che ilrisultato più sorprendente fu quello di Valenzi. Una straordinaria novità inuna città che era sempre stata di destra. Al referendum per la repubblica del1946 avevano vinto i monarchici con circa l’80 per cento dei voti. E per lunghianni, dal 1952 al 1961 era stato sindaco di Napoli il monarchico Achille Lauro,ricchissimo armatore, che aveva massacrato il più bel paesaggio del mondo.
Il piano delleperiferie
È l’atto fondativo dell’urbanistica napoletana degli ultimidecenni che non risponde all’emergenza con interventi di espansione ma operandoall’interno dei tessuti da risanare. Con il piano delle periferie, approvatoall’unanimità dal consiglio comunale nell’aprile del 1980, sette mesi prima delterremoto, ha inizio la nostra storia. Il piano nasceva tra l’altro comerisposta alle richieste dei comitati di lotta per la casa che negli anniSettanta agivano attivamente in tutta la città e in particolare nelleperiferie. Ai comitati aderivano anche architetti e intellettuali che alladomanda di alloggi aggiungevano l’urgenza di risanare i quartieri degradatiprima di costruire nuovi insediamenti. In quel clima, un settore del movimentostudentesco di architettura aveva maturato il convincimento che la nuovaamministrazione di sinistra non dovesse essere solo una controparte ma anche uninterlocutore con il quale era possibile un qualificato rapporto di lavorosociale e professionale. La proposta di collaborazione fu accolta dagliamministratori comunali più sensibili a quelle motivazioni e fu quindiistituito l’Ufficio studi urbanistici formato da giovanissimi tecnici.
Al nuovo ufficio fu affidato il compito di individuare lezone degradate della città previste dalle leggi del 1978 per l’equo canone eper il recupero edilizio. Le indagini accuratamente condotte fecero emergerespaventose condizioni abitative in alcuni rioni del centro storico –Montecalvario, S. Lorenzo, Sanità – ma soprattutto nei quartieri dellaperiferia e cioè negli ex comuni autonomi – San Giovanni a Teduccio, Barra,Ponticelli, San Pietro a Patierno, Secondigliano, Piscinola, Pianura, Soccavo –che durante il fascismo erano stati aggregati al capoluogo per formare la GrandeNapoli e da allora abbandonati al degrado. Il primo atto importantedell’urbanistica di Valenzi fu perciò un programma del maggio 1979 cheprevedeva il recupero dei centri storici periferici in variante al Prg alloravigente, quello del 1972, che li includeva nella zona C di risanamento eristrutturazione urbanistica (cioè sventramenti e sostituzioni).
Al programma fece seguito il vero e proprio piano delleperiferie, una grandiosa idea di riqualificazione urbana che prevedevainterventi coordinati di recupero e di nuova edificazione. Per ciascuno degliambiti d’intervento individuati dal piano erano infatti previste, accanto allezone di recupero (legge 457/1978), le aree destinate alla costruzione dei nuovialloggi (legge 167/1962) necessari per sistemare adeguatamente le famigliepresenti riducendo gli altissimi indici di coabitazione e di affollamentorilevati dalle indagini.
Il terremoto del 1980 e la ricostruzione
Il pauroso terremoto del 23 novembre 1980 – il quarto perintensità nel XX secolo in Italia – rase al suolo una decina di comuni nelleprovince di Avellino, Potenza e Salerno con quasi tremila vittime. Se ilbaricentro sismico era nelle aree interne il baricentro dei problemi sociali edi ordine pubblico stava a Napoli. Decine di migliaia di alloggi inagibili,duecento e più strade transennate, s’impiegavano ore per attraversare la città.
A rendere tragica la situazione concorse la sordida alleanza fra la camorra ele Brigate rosse che volevano impedire “la deportazione dei napoletani”. Fu rapitol’assessore regionale all’urbanistica Ciro Cirillo e furono uccisi l’autista eun poliziotto. La risposta istituzionale fu un’aggiunta alla legge indiscussione a favore dei comuni terremotati, subito approvata, che dichiarò “dipreminente interesse nazionale” la realizzazione di 20 mila alloggi e dellerelative opere di urbanizzazione nel comune di Napoli, affidando tutti i poterial sindaco della città nominato “opelegis” commissario straordinario del governo e soggetto soltanto alrispetto della Costituzione e dei principi generali dell’ordinamento.
L’approvazione della legge provocò il panico nel comune. Per aiutare Valenzi,la direzione del Pci inviò a Napoli Guido Alborghetti, vice presidente dellacommissione Lavori pubblici della Camera. Ero allora dirigente del ministerodei Lavori Pubblici e nella qualità di commissario di governo Valenzi ottenneil mio comando presso i suoi uffici. Alborghetti condusse subito, mirabilmente,con assoluta trasparenza e puntualità, l’affidamento dei lavori a un centinaiodi imprese raccolte in 12 raggruppamenti, fra lo stupore del mondo dellecostruzioni e della stampa nazionale.
Per l’organizzazione delle strutturetecniche, superando l’ostilità degli apparati burocratici municipali, decidemmodi far capo all’Ufficio studi urbanistici del comune, formato dai giovanitecnici che avevano ideato e progettato il piano delle periferie. Da allorafurono chiamati “i ragazzi del piano”. Li avevo conosciuti a Roma prima delterremoto in incontri di lavoro per la messa a punto del piano delle periferiee con alcuni di loro – Elena Camerlingo, Rosanna Costagliola, Maria Franca deForgellinis, Giovanni Dispoto, Giancarlo Ferulano, Roberto Giannì, MarioMoraca, Giuseppe Pulli, Laura Travaglini – si stabilì un legame che non si èmai interrotto.
Il piano delle periferie, con alcune modifiche, formò ilnocciolo centrale del programma straordinario per la ricostruzione, insieme alcompletamento dei due grandi quartieri di edilizia pubblica di Ponticelli eSecondigliano (poi Scampia) e a circa 50 interventi puntuali diriqualificazione, disseminati sull’intero centro urbano, volti all’eliminazionedi situazioni di accentuato degrado, con caratteri dichiaratamentesperimentali. Il piano prevedeva anche una gran mole di attrezzature e servizi,in particolare spazi verdi per circa 100 ettari, fra i quali tre parchi (a S.Giovanni a Teduccio, a Ponticelli, a Scampia) grandi come la villa comunale diNapoli.
Ma nella primavera del 1983, mentre si completavano i primialloggi e veniva pubblicato il bando per le assegnazioni, anch’esso basato suprocedure ad hoc, cui parteciparono 85 mila famiglie, l’attività delcommissariato fu investita dalla crisi del comune di Napoli e quindi dalloscioglimento del consiglio. Usciti di scena Valenzi e il Pci, comincia unanuova storia.
Dal Regno del possibile aTangentopoli
Valenzi era stato sindaco per otto anni e dopo di lui, neitre anni successivi, lo seguirono in sei: un commissario ex prefetto, poiquattro sindaci a capo di inconsistenti giunte di pentapartito, poi ancora unprefetto, prima di un nuovo scioglimento anticipato del consiglio comunale.Furono le condizioni ideali per lo stravolgimento del programma diricostruzione. Strumenti legislativi approvati per dare una casa e adeguati serviziai terremotati furono utilizzati per un mastodontico piano diinfrastrutturazione, inutile e devastante. Alla fine, per la costruzione distrade, superstrade, bretelle, sopraelevate si spese il triplo di quanto sispese per le abitazioni. Fu la cosiddetta “svolta infrastrutturale” che resedifficile distinguere fra la parte originaria della ricostruzione di Napoli –quella uscita immacolata dalle indagini parlamentari e della magistratura – ela successiva degenerazione infrastrutturale poi travolta da Tangentopoli.
Stava per succedere anche di peggio. Il ricorso allaconcessione – obbligatorio per legge – aveva esaltato la capacità deicostruttori a intrattenere rapporti con gli ambienti politici che controllavanoi flussi finanziari, e quando fu evidente che l’emergenza terremoto e laricostruzione non potevano essere un affare senza fine si sentirono legittimatia svolgere in prima persona funzioni pubbliche, nella sostanziale inerzia delpotere istituzionale corrotto da quello che Isaia Sales definì il partito unicodella spesa pubblica.
Mi limito a citare i tre progetti più importantiampiamente discussi in quegli anni:" IlRegno del possibile", promosso da Confindustria, imprenditori privati edelle Partecipazioni statali, volto allo sventramento del centro storico; "Polis 2000", formato da Banco diNapoli, Iri – Italstat e costruttori interessati alla riorganizzazione dellazona orientale storicamente destinata alle attività industriali, ormai dismesseo in via di dismissione; infine "Neonapoli" – ambiziosa iniziativa patrocinata dal ministro del Bilancio PaoloCirino Pomicino e sottoscritta da altri sette ministri, riguardante l’interaarea metropolitana – assunta a simbolo della filosofia politica e affaristicache in quegli anni governava Napoli. L’unico esile legame con il potere localeera rappresentato dal “preliminare di piano”, una bozza di nuovo Prg che dovevasostituire quello del 1972, con il quale l’amministrazione comunale cercava ditornare in campo in materia urbanistica, al tempo stesso spianando la strada a.Neonapoli.
Tutto ciò fu travolto prima dalle cosiddette “Assise diPalazzo Marigliano” – una specie di assemblea permanente presieduta daGerardo Marotta e Antonio Iannello che raccoglieva intellettuali indipendentiinsieme a esponenti Pds, verdi,radicali, rifondazione, dissidenti socialisti e democristiani– poidall’intervento della magistratura e dall’esplosione della Tangentopolinapoletana. Devo solo aggiungere che è merito soprattutto ai ragazzi del pianoaver garantito, con correttezza e coerenza, anche in quello sventuratodecennio, il completamento della parte originaria della ricostruzione.
Antonio Bassolino
A dieci anni dalla sconfitta di Maurizio Valenzi, neldicembre del 1993 fu eletto sindaco Bassolino. Fu subito colta un’analogia frale circostanze che avevano favorito l’elezione dei due sindaci comunisti: ilcolera, al tempo di Valenzi, e Tangentopoli per Bassolino. Come se il ricorsoai comunisti fosse inevitabile al verificarsi di eventi drammatici per la vitacivile.
A pochi giorni dall’insediamento dovemmo (fino al 1997 fuiassessore all’urbanistica) respingere le pressanti richieste della presidenzadel Consiglio per sottoscrivere un accordo fra governo, regione, comune, Iri, perla riconversione industriale dell’area di Bagnoli, dove pochi mesi prima eranostati spenti gli altiforni e si era conclusa l’attività dell’Italsider.L’accordo doveva comprendere anche il progetto urbanistico affidato – mi pare –all’Italstat, che il consiglio comunale avrebbe dovuto ratificare.
Ma la nostraimpostazione era che le decisioni in materia urbanistica dovevano essereelaborate dagli uffici comunali, discusse e votate, non solo ratificate, inconsiglio comunale (e poi sottoposte alle osservazioni dei cittadini), senzascorciatoie. Per questo fu deciso di produrre al più presto un’appositavariante per Bagnoli, la prima di altre varianti che, nell’insieme, avrebberoformato il nuovo piano regolatore. In concordanza con un apposito documento di indirizzi approvato dalconsiglio comunale nel 1994 furono elaborate la variante disalvaguardia e quella per Bagnoli e l’area. occidentale. Quindi quella per il centrostorico e le zone orientale e nord occidentale. Tutte poi unificate, conun medesimoimpianto metodologico e normativo,nelnuovo Prg definitivamente approvato dalla regione Campanianel giugno del 2004.
Qui non è ora possibile dar conto adeguatamente di come si èsviluppato il rinnovamento dell’urbanistica napoletana, con gli ex ragazzi delpiano in posizioni di rilevante responsabilità. Mi limito perciò a riassumerein tre punti i contenuti più importanti del piano:
(1) salvaguardia di ogniresiduo spazio verde, cioè deglioltre 4.700 ha (su 11.700 della superficie comunale) sopravvissuti almassacro dei primi decenni del dopoguerra, con il conseguente azzeramento diogni previsione di crescita dell’edificato. Obiettivo raggiunto grazie ancheall’istituzione del Parco regionale delle colline di Napoli e al recupero ovepossibile dell’agricoltura urbana, come nel caso del reimpianto dei vignetisulla collina di S. Martino, sopra i Quartieri Spagnoli;
(2)rigorosa tutela dell’insediamento storicocoincidente con lo sviluppo della città (centro e periferie) fino a tutto ilfascismo, il che ha comportato uno sviluppo del perimetro vincolato dai 700 hadel Prg del 1972 ai 2.100 del 2004. I dispositivi di tutela e diriqualificazione sono fondati sulla classificazione di oltre 16 mila edifici espazi scoperti raggruppati in poco più di 50 tipologie. Gli interventiammissibili non richiedono il ricorso a strumenti attuativi, salvo i casi neiquali le soluzioni sono determinate dalla prevalenza dell’archeologia o daparticolari complessità;
(3) coordinamento della pianificazione urbanistica e dellamobilità alla scala urbana e territoriale con l’obiettivo primario di ridurreal minimo l’uso dell’automobile. L’integrazione delle linee su ferro esistenticon quelle di nuova realizzazione stanno trasformando alcuni caratteriessenziali della vita urbana: il quartiere di Scampia, prima irraggiungibile,grazie alla linea 1 della metro (quella anulare) è oggi direttamente connessocon il Vomero e con il resto della città. Ed è nota la qualità di alcune nuovestazioni anche formalmente caratterizzate per la riqualificazione dello spaziourbano.
Bagnoli
L’assetto urbanistico definitivo dell’area industrialedismessa di Bagnoli è ancora incerto ed è perciò indispensabile un maggioreapprofondimento Il nuovo Prg propone di utilizzare l’area per dotare la città,almeno in parte, degli spazi e delle funzioni che le erano stati negati dalterribile sviluppo edilizio del dopoguerra, in primo luogo una grande spiaggialiberata da ogni manufatto e un grande parco pubblico, circa 120 ettari. E poiattività ricettive, per il tempo libero e lo studio, e tre fermate di un nuovotracciato della ferrovia Cumana che avrebbero reso Bagnoli accessibile da ogniangolo della città e dell’hinterland.
Il nuovo assetto di Bagnoli – luogo di anticae mitica bellezza, sotto le falesie di Posillipo, affacciato su Nisida e sulleisole del Golfo – fu salutato molto favorevolmente dalla stampa nazionale e damolti giornali stranieri. Nel 1999 un circostanziato vincolo di tutela delministero dei Beni culturali (mirabilmente scritto da Antonio Iannello),confermò, consacrandole, se così posso dire, le previsioni urbanistichecomunali. Ma intanto si era messo mano a una confusa operazione di bonificacondotta dal ministero dell’Ambiente e cominciò ad appannarsi la speranza dellanuova Bagnoli. Fra ritardi nei finanziamenti, inettitudini e peggio, labonifica non è mai finita.
A far piazza pulita di una politica inconcludente, ma anchedel sogno napoletano di un grande spazio pubblico sul mare, ci ha pensatoMatteo Renzi con il decreto Sblocca Italia del 2014 il cui art. 33 riguarda labonifica ambientale e la rigenerazione urbana di Bagnoli. Gli interventi sonoaffidati a un commissario straordinario del governo e a un soggetto attuatoreal quale sono riconosciute funzioni proprie del comune. Niente di male, anzisarebbe stato apprezzabile l’intervento del governo se si fosse limitato alcompletamento della bonifica, indispensabile premessa agli interventi ditrasformazione.
Che il comune di Napoli disponga di un progetto urbanisticoregolarmente approvato e vigente il governo lo ignora, accredita anzi ilconvincimento che si sia all’anno zero e si debba cominciare daccapo,determinando così le condizioni per rimettere in campo gli energumeni delcemento armato E infatti le proposte del soggetto attuatore, per quanto sideduce dalle immagini dei soliti power point governativi, sono volte aconcentrare la polpa delle nuove funzioni sull’area Cementir di proprietà delgruppo Caltagirone. Ma a seguito di un ricorso del comune spetta adesso allaCorte costituzionale decidere in merito alla legittimità dello Sblocca Italiaper Bagnoli.
Conclusioni
Spero di essere riuscito a mettere in luce la straordinariacontinuità, nonostante indiscutibili errori, fra le scelte del sindaco Valenzidegli anni Settanta e primi anni Ottanta, e quelle di Antonio Bassolino –succeduto a Valenzi dopo un decennio di malgoverno – e non interrotte da RosaRusso Iervolino e da Luigi De Magistris che ha finora difeso con risolutezza ilprogetto Bagnoli.
Molti osservatori contestano la mancata modernizzazionedell’urbanistica napoletana. È difficile non cedere alla tentazione di chiamarein causa Pier Paolo Pasolini e la tribù dei napoletani che preferisceestinguersi per non arrendersi alla cosiddetta modernità. Napoli, il prezzoall’internazionalizzazione lo ha pagato una volta per tutte con il centrodirezionale dell’Italstat. Oggi, rispetto ai grattacieli nel centro storico diTorino, alla spietata deregolazione milanese, a Venezia e Firenze vendute alturismo e snaturate da scriteriati interventi pubblici, a Bologna che rinnegail recupero, a Roma disfatta, Napoli ha un’altra storia e, lo spero, anche unaltro futuro.