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Gianni Belloni
Piano piano tutti i nodi vengono
2 Ottobre 2015
MoSE
Piano piano, tutti i nodi vengono al pettine. Per fortuna c'è la magistratura, ma peccato che i danni provocati dai decisori vengano rivelati

Piano piano, tutti i nodi vengono al pettine. Per fortuna c'è la magistratura, ma peccato che i danni provocati dai decisori vengano rivelati post factum, e che i danni li paghiamo noi e i nostri posteri. Il Fatto quotidiano, 1° ottobre 2015

Giuseppe Fiengo è uno dei tre amministratori scelti in accordo con Cantone dopo gli arresti: “In tutti gli incidenti che stanno capitando al Mose ci accorgiamo che chi doveva fare il lavoro non l’ha fatto”, dice a ilfattoquotidiano.it. Dalla rottura di un cassone all’avaria di una nave di supporto sui cui ora indaga la Procura di Venezia. Intanto, dopo la cura, i costi di gestione del consorzio tracollano. “Stiamo continuando i controlli sugli appalti”. E restano i dubbi sulla diga: le bocche di navigazione non sarebbero adatte all’accesso dei portacontainer. Corsa per rispettare la scadenza del 2018

Il mandato dei tre commissari – Giuseppe Fiengo, Luigi Magistroe Francesco Ossola – messi a capo del Consorzio Venezia Nuova, guidato fino all’arresto l’anno scorso da Giovanni Mazzacurati, è di quelli da far tremare le vene ai polsi: ultimare i lavori del Mose e fare pulizia del sistema che ha drenato in tangenti, secondo l’inchiesta della magistratura, una cifra intorno al miliardo di euro, uno dei più imponenti sistemi corruttivi della storia repubblicana. D’altronde il decreto di commissariamento del Consorzio dice espressamente come la “disciplina dei tempi, dei costi, delle modalità esecutive, della qualità delle opere del Mose è risultato costantemente condizionato dagli accordi corruttivi”.

Il “lavoro di pulizia” dei commissari sta già dando i suoi frutti: nel bilancio 2014 del Consorzio, gestito dai commissari di Cantone, risaltano vigorosi tagli come al funzionamento della macchina interna al Consorzio stesso dove da 45-50 milioni le spese sono state ridotte a 15. Nuove imprese, fuori dal giro dei “soliti noti”, come la croata Brodosplit, si sono aggiudicati lavori importanti. Gli appalti da gestire con nuove regole sono oltre duecento. Fiengo fa capire chiaramente che il lavoro è solo agli inizi: “La magistratura ha colto perfettamente i passaggi di soldi che costituiscono la corruzione”, racconta. “La domanda è: da dove arrivano i soldi? Con quale meccanismo gli appalti creano questi fondi con cui si basa la corruzione? Oggi stiamo cercando pian piano di metterlo in luce il meccanismo e correggerlo”.

Fiengo non vuole entrare nei dettagli: “Abbiamo avvertito l’Autorità anticorruzione, dobbiamo fare degli ulteriori controlli, stiamo lavorando a un rapporto”. Ma racconta di come funzioni il sistema funzioni anche dopo che l’Unione europea ha imposto al Consorzio di appaltare alcune gare: “Con gli appalti è ancora peggio”. E come questi meccanismi abbiano garantito le plusvalenze per la corruzione, “soprattutto al Consorzio Venezia Nuova più che alle imprese. E da qui si comprende la potenza di Mazzacurati”.

La legge speciale per la salvaguardia di Venezia del 1994, infatti, stabiliva che gran parte delle risorse, dovessero essere affidate a ununico concessionario, successivamente identificato nel Consorzio Venezia Nuova. Nei fatti veniva consegnato a un pool di imprese costituito ad hoc il monopolio di studi, progettazione e realizzazione delle opere. Solo nel 2002 la Commissione europea ottiene dall’Italia l’impegno a mettere a gara una parte delle forniture per le opere. Il Consorzio si troverà così a gestire, prima dell’arrivo dell’inchiesta della magistratura e dell’arrivo dei commissari, qualcosa come 9 miliardi di euro di cui solo 6 impiegati nella costruzione del Mose. Il Consorzio Venezia Nuova è oggi partecipato dalle maggiori ditte italiane di costruzione: laFincosit, Condotte, Mazzi, Impregilo, Mantovani e da una serie di consorzi e di cooperative. Tutti soggetti che nella vecchia gestione non avevano certo un ruolo di secondo piano e che sono stati coinvolti nell’inchiesta della magistratura. I lavori del Mose sono ad oggi completati al 90 per cento.

Oggi i commissari si trovano nella difficile situazione di dover far lavorare le imprese per concludere l’opera e nello stesso tempo cambiare le regole del gioco a cui le imprese stesse erano abituate. Di fronte al loro arrivo e all’avvio dell’operazione trasparenza, le aziende “hanno fatto resistenza passiva. Sono sconvolte da questa nuova impostazione”. Spiega ancora Fiengo: “Ci abbiamo messo mesi a studiare il sistema, un meccanismo borderline, asseverato dagli organi di controllo, dalla Corte dei conti, un meccanismo che fa perno sull’intermediazione. Noi speravamo fosse solo questo, ma cominciamo ora a vedere che questo meccanismo ha portato a delle falle, a delle criticità nella realizzazione delle opere”.

Una delle “criticità” citate dal commissario potrebbe avere delle conseguenze clamorose: ancora non è chiaro infatti quali tipi di navi possano effettivamente approdare al porto di Venezia con il Mose in funzione. Le conche di navigazione costruite appositamente non accoglierebbero i portacontainer che oggi abitualmente arrivano. “C’è stata incertezza nella fase di progettazione nel definire quale era la nave tipo che dovesse approdare. Incertezza significa esecuzione distorta dei lavori, poi si è pure rotta la porta di accesso” sottolinea Fiengo.

I commissari devono usare anche molta diplomazia: “Difficile dire se i problemi sono nati in fase di studio, di progettazione o di esecuzione e stabilire di chi è la responsabilità. Interloquiamo con soggetti molto attrezzati, con buoni avvocati” sottolinea ironico l’ex avvocato dello Stato. “Comunque siamo ben sostenuti dal prefetto di Roma, da Cantone e anche dal ministro – racconta Fiengo – le volte che le imprese hanno provato ad alzare la testa siamo stati supportati”.

Il commissario comunque conferma, con comprensibile prudenza, che “l’obiettivo è chiudere i lavori il 2018 e, per ora, non ci sono fatti che pregiudichino questo impegno. Ci sono tante criticità, ma tutte compatibili con quella data”. Anche sull’ipotesi di un non funzionamento dell’opera Fiengo si dimostra prudente: «Penso di no, il problema reale è un altro, l’opera è molto frammentata e metterla insieme non è facile. E’ stata frammentata sia per motivi tecnici che di ‘distribuzione di risorse‘, si poteva suddividere il lavoro per bocche di porto invece si è suddiviso per segmenti che adesso è complicato assemblare». Ora insomma viene la parte più difficile anche perché, nel cronoprogramma dell’opera, gestito dalla “cricca”, sono stati programmati all’inizio i lavori più lucrosi e, comunque, quelli che riguardavano l’utilizzo del cemento si cui avevano più professionalità interne, «lasciando alla fine gli impianti, gli appalti più ‘magri’, più difficili».

C’è poi chi pensa che si debba riflettere se completarla o meno: “Il problema è che l’input che hanno ricevuto i commissari è quello di portarla a termine – ragiona il senatore Felice Casson, ex sindaco della città – mentre non è mai stata fatta un’analisi tecnico-scientifica indipendente che valutasse la fattibilità dell’opera. Anzi, quando questa analisi è stata fatta dalla Commissione di Valutazione d’impatto ambientale ha dato esito negativo. Ora di fronte agli incidenti che stanno emergendo – prosegue Casson – sarebbe bene fare una seria valutazione se davvero l’opera dev’essere completata anche alla luce dei costi per la gestione e la manutenzione”.

“Il Mose era e rimane un’opera complessa e mai collaudata in nessuna delle sue parti e tanto meno mai sperimentata in funzione – racconta Andreina Zitelli che di quella commissione Via è stata membro – i malfunzionamenti e le deficienze costruttive saranno poi resi più evidenti dalla cattiva esecuzione delle singole parti che a quanto sta emergendo dall’inchiesta e dagli incidenti sono state oggetto anche di frode esecutiva a scopo di lucro”.

E poi, ammesso che l’opera funzioni, a chi andrà la gestione e la manutenzione dopo il 2018? “Tipico caso italiano: sono stati previsti i soldi per l’opera e non per la gestione”, conclude Fiengo. “Gestione che dovrà comprendere anche la laguna. Si tratta di un unico sistema complesso che non si può suddividere. Per adesso ci hanno chiesto di formulare delle ipotesi”.

Riferimenti

Al MoSE eddyburg ha dedicato molta attenzione e ha raccolto moltissimi documenti, soprattutto nella vecchia edizione del sito. Li potete trovare qui. Altri li trovate tra gli scritti di Luigi Scano, in questa cartella.
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