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Pianificazione territoriale e demanio pubblico nelle coste della Sardegna
15 Settembre 2006
Sardegna
Rilanciato un decisivo strumento d’attuazione del Piano paesaggistico regionale. Due articoli del 15 settembre 2006 di Alberto Pinna (Corriere della sera) e Piero Mannironi (la Nuova Sardegna)

Corriere della sera

Soru compra le coste sarde: a Berlusconi le chiedo gratis

di Alberto Pinna

CAGLIARI — A Tom Barrack, proprietario della Costa Smeralda, lo ha già chiesto, con garbo: «Saremmo felici di accettare in donazione i terreni fra Cala di Volpe e Portisco». Renato Soru sentirà anche Silvio Berlusconi; spera di convincerlo a regalare Costa Turchese alla Regione. Di argomenti ne ha soprattutto uno; sui 2600 ettari a Razza di Juncu in Costa Smeralda e sui 450 della famiglia Berlusconi a sud di Olbia, dopo l'approvazione del piano paesaggistico regionale, non si può più costruire nulla. «Con i terreni dei privati e con quelli regionali e comunali — spiega il governatore della Sardegna — vorremmo far nascere un grande parco costiero pubblico, disponibile per sempre ad usi civici».

La Sardegna ha 1800 chilometri di litorali, la Regione possiede più di 20 mila ettari, direttamente o attraverso società controllate, oltre all'isola dell'Asinara. I Comuni ne hanno più di 60 mila, il solo Baunei (costa est, cala Luna, Sisine, Mariolu, Goloritzè) 20 mila. Barrack e Berlusconi sono gli imprenditori più noti, ma Soru si appella a tutti i proprietari e li invita a cedere gratuitamente i terreni alla Conservatoria delle coste, istituita nel 2005 per acquisire i siti di maggior pregio naturalistico, sull'esempio di quanto in Gran Bretagna fa il National Trust e in Francia il Conservatoire du Littoral.

E se Barrack, Berlusconi e gli altri proprietari rispondessero no alla donazione? Soru ha una proposta: la Regione è pronta ad acquistare pagando 2 euro e 22 centesimi al metro quadro, cioè al prezzo previsto per i terreni agricoli. E per i siti di particolare pregio anche a far scattare l'esproprio motivato — e sarebbe un caso con nessuno o pochissimi precedenti — da pubblica utilità per tutela ambientale. C'è chi ha già fatto i conti: i Berlusconi incasserebbero quasi 10 milioni di euro, Barrack e i suoi soci più di 55 milioni. Briciole in rapporto a quanto a suo tempo hanno speso per acquisto dei terreni, progettazioni e, soprattutto, alle attese di ricavi e utili. Fra gli altri imprenditori a rischio "donazione", acquisto o esproprio ci sono anche operatori sardi: Sergio Zuncheddu (costa sud est), le famiglie Molinas (Porto Rotondo e Marinella), Tamponi (Golfo Aranci e isola di Molara) e gruppi internazionali come la Palau Golf spa che avrebbe dovuto realizzare su 300 ettari di fronte all'isola di Caprera un grande campo di golf, alberghi e residenze.

Il centrodestra innalza barricate: i terreni costieri sui quali non si può costruire saranno facile preda di speculatori internazionali; potranno acquistarli per pochi euro e, passata la "tempesta Soru", aspettare che si modifichi il piano paesaggistico. «Inaudito, si vuole fare della Regione un'agenzia immobiliare — protesta Pier Giorgio Massidda, coordinatore di Forza Italia — e si torna agli espropri proletari». Settimo Nizzi, sindaco di Olbia, medico e amico di Berlusconi rincara: «È pura follia. E poi, dia l'esempio: perché non regala la sua villa sul mare e i suoi terreni alla Conservatoria delle coste?».

Renato Soru non si scompone: «Se i terreni sono quelli di Scivu (Sardegna sud ovest,

ndr), li ho acquistati ben prima di entrare in politica e comunque sono pronto a donarli alla Conservatoria. Quanto alle risorse, i soldi verranno dalla tassa su seconde case, imbarcazioni e aerei. Sì, la cosiddetta e tanto contestata tassa sul lusso: incasseremo più di 200 milioni di euro l'anno; e ne bastano 300 per comprare tutte le coste scampate al cemento».

La Nuova Sardegna

Il custode dei gioielli costieri. Troppi nemici, la Conservatoria non è ancora decollata

di Piero Mannironi

CAGLIARI. La filosofia che la ispira è simile a quella del Conservatoire du littoral francese e del National Trust inglese. E cioé, in estrema sintesi, un intelligente equilibrio nella gestione delle coste tra tutela e sfruttamento dolce dell’ambiente. La Conservatoria del litorale della Sardegna è uscita dal limbo delle buone intenzioni e ha cominciato a muovere i primi, incerti, passi. Ma la sua gestazione è stata finora lunga e difficile, anche perché sono state molte le resistenze politiche, anche in senso alla maggioranza, che hanno rallentato il cammino verso un’agenzia pensata soprattutto sul modello francese.

Nata ufficialmente il 9 marzo 2005 con una delibera della giunta regionale, la Conservatoria ha come obiettivo la gestione dei “gioielli” delle coste sarde. Attualmente vive in una sorta di animazione sospesa, tra due delibere della giunta (una che la istituisce e l’altra che definisce la fase di studio e organizzazione) e una legge per farla camminare che non è ancora nata. Insomma, per ora è come una costola amministrativa della giunta regionale, senza un’anima giuridica autonoma.

E che la Conservatoria abbia molti nemici lo si è visto la scorsa primavera, durante la discussione sul maxicollegato alla legge finanziaria. L’agenzia è stata infatti prima anemizzata in Commissione come disponibilità di risorse, approdando così in Consiglio solo come un’entità che ha a disposizione appena 500 mila euro per «studi e ricerche sulla valorizzazione delle coste».

Non è difficile intuire che dietro scetticismi e ostacoli politici si muovano ambienti imprenditoriali e finanziari che temono un ulteriore indebolimento di progetti speculativi fondati sul mattone. Una volta diventata adulta e messa a regime, infatti, la Conservatoria delle coste non solo avrà il compito di gestire i siti costieri di maggiore pregio ambientale che entreranno nel patrimonio regionale, ma anche il potere di acquisire terreni e immobili considerati degni di tutela.

Eppure l’esperienza francese, alla quale la giunta Soru si è ispirata, ha dimostrato che il modello può funzionare. Non solo, ma che il modello può essere perfino condiviso e difeso dalla gente e dalle amministrazioni locali. L’esempio più clamoroso è quello della vicina Corsica, dove il Conservatoire du littoral controlla ormai direttamente il 20% delle coste e, al termine di un programma di interventi in corso, arriverà addirittura a gestire il 40% dei litorali dell’Isola di Bellezza. Alla radice di questo consenso diffuso dei comuni, c’è il coinvolgimento diretto nella gestione del patrimonio. Forniscono infatti personale, ma anche progetti di sviluppo turistico sostenibile.

Il Conservatoire du littoral francese è un istituto pubblico sotto la tutela del ministro dell’Ecologia. Creato nel 1975, ha il compito statutario di garantire la «protezione definitiva di spazi naturali e paesaggisticamente rilevanti sulle coste marittime e lacustri», sulle foci dei fiumi e sui rioni periferici delle aree metropolitane rivierasche.

Al primo gennaio, il Conservatoire du littoral assicurava in Francia la protezione di 70.100 ettari di terreno, divisi su trecento siti. Il tutto per uno sviluppo costiero di oltre 800 chilometri. Alla fine del 2005 il ministro dell’Ecologia francese ha concesso un aumento del budget annuale dell’istituto, passato così da 30 a 38 milioni di euro. Il 75% di queste risorse è destinata all’acquisizione di aree e alla loro sistemazione.

Colpisce l’eseguità del personale del Conservatoire du littoral, ma, di contro colpisce anche la sua spaventosa efficienza. In tutto, tra la sede centrale di Parigi e le delegazioni regionali, si arriva a malappena a un centinaio di funzionari. Ma questa piccola équipe è, come dicono i francesi, «particulièrement performante». Solo alcune cifre per capire meglio: ogni anno questo minuscolo gruppo riesce a portare nel patrimonio del Conservatoire dai 2mila ai 3mila ettari, riuscendo a negoziare e a sottoscrivere un atto di acquisizione al giorno. Esiste poi un sistema di monitoraggio continuo, che viene affidato a 150 “guardie del litorale”, assunte tra le comunità locali. Ci sono infine circa 300 impiegati che curano l’amministrazione e i contratti.

Il sistema di tutela ambientale del Conservatoire si integra perfettamente con la Loi littoral. Una legge che, negli ultimi anni, alcuni autorevoli esponenti della maggioranza di destra stanno cercando di modificare (senza riuscirci) per allargare le maglie dei divieti. I cardini di questa norma sono: il divieto assoluto e inderogabile di costruire, in una fascia di rispetto di cento metri dalla battigia e la continuità urbanistica. Che cos’è questa continuità? Semplicemente questo: è possibile costruire sulla costa solo in aree contigue ai centri abitati esistenti.

Mentre la Conservatoria in Sardegna stenta a compiere i primi passi, l’idea della giunta Soru è invece guardata con grande attenzione da organismi internazionali come l’Unep (il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite). Tanto che, insieme al piano paesistico, il modello della Conservatoria è stato inserito nel Blue Plan, il dossier del Map (Piano d’azione per il Mediterraneo) dell’Unep.

Per il maltese Paul Mifsud, coordinatore del dossier, la Sardegna sta insomma diventando un modello da imitare in tutta l’area mediterranea, considerata ad altissimo rischio ambientale. Se infatti il trend non sarà invertito, entro il 2025 oltre il 50% dell coste mediterranee sarà cementificato.

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