Il manifesto, 20 marzo 2015
Lupi non è indagato. Non fosse per il solito malloppo di intercettazioni sarebbe rimasto al suo posto, perfetta eccellenza italiana pronta per la prima fila dell’Expo. Non è sul rottamatore, è chiaro, che si poteva fare affidamento per ristabilire un minimo di correttezza e trasparenza. Del resto Grandi opere e leggi obiettivo non se ne vanno con Lupi. E a giudicare dai profondissimi silenzi prima delle dimissioni, e dagli eccessivi complimenti dopo, le abitudini dell’ex ministro non sono sconosciute alla compagnia che resta a reggere il governo.
Non se n’è andata la ministra Boschi, azionista di una banca in cui suo padre era vicepresidente e suo fratello dirigente, commissariata da Bankitalia che ha ragione di temere per i depositi dei correntisti. Non ha fatto una piega Renzi, quando si è saputo che il suo grande finanziatore Serra ha speculato sulle banche popolari, valorizzate da un decreto del governo. E ha tirato dritto quando è venuto fuori che alla sua cena elettorale da mille euro a testa c’era Buzzi, che i magistrati considerano il regista di Mafia Capitale. Anzi, si è rifiutato di fornire l’elenco di tutti i commensali per ragioni di privacy. E quanto a moralità, da presidente del Consiglio si trova adesso a dover sostenere la candidatura del condannato De Luca in Campania.
Tutto questo resta, oggi che Lupi se ne va. E se ne va da ministro, non da indispensabile alleato. Consegnate le dimissioni, discuterà con Alfano e Renzi quale altra poltrona assegnare a Ncd. Poi, informa un comunicato, parlerà ai giovani del suo partito di «idee e valori per il futuro dell’Italia». C’è attesa per i valori.