Dal fiume carsico delle cricche romane emerge l'ultima inchiesta sulla pubblica amministrazione. Questa volta riguarda la Soprintendenza ai Beni architettonici e paesaggistici della capitale. La prima denuncia, ad opera di un alto funzionario interno a Palazzo San Michele, è arrivata sulla scrivania del sostituto procuratore Sergio Colaiocco lo scorso aprile. Quindi, altre quattro lettere hanno confermato una tesi pesante: gli uffici a tutela della bellezza della capitale non tutelano quasi nulla, usano poco l'istituto del vincolo, lo fanno con timore nei confronti dei costruttori potenti. È il caso del piano di edilizia intensiva di Tor Pagnotta che ha visto distruggere lungo la Laurentina uno sviluppo unico di architettura rurale. In alcuni casi, gli uffici della Soprintendenza si sarebbero resi complici di falsi amministrativi. Il denunciante, uno dei trenta coordinatori romani, nei cinque anni di esperienza nella capitale ha avuto un centinaio di pratiche sotto mano. Ottanta, ricorda, gli sono state sottratte e i suoi ponderosi lavori "a tutela" sono diventati inefficaci. «C'è un asservimento della Soprintendenza ad interessi privatistici», ha messo in calce l'architetto chiamando in causa gli ultimi cinque sovrintendenti romani, in particolare Luciano Marchetti e Federica Galloni. Tra i casi di autorizzazioni facili: la piscina "mondiale" Gav di Trigoria, l'edificio Telecom di via Abruzzi 25, lavori al rettorato della Sapienza, al teatro di Villa Torlonia, il palazzo trasformato in albergo dai russi dietro Villa Aurora.