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Raimondo Beltrini
“Perdoniamo i due marò ma per i nostri morti nessuno ha chiesto scusa”
15 Febbraio 2015
Italiani brava gente
Una volta tanto su un giornale italiano si riconosce che i due "eroici marò" hanno ucciso due giovani e inoffensivi pescatori.
Una volta tanto su un giornale italiano si riconosce che i due "eroici marò" hanno ucciso due giovani e inoffensivi pescatori.

«In visita alla famiglia di uno dei pescatori uccisi tre anni fa ». La Repubblica, 15 febbraio 2015

NELLA casa linda e spoglia della famiglia di Celestine Galestine, ucciso esattamente tre anni fa dai militari di una petroliera italiana, una volta tanto si ride di gusto. Dora, la vedova di Celestine, ha una voce argentea in un corpo massiccio, e sorridono con gli occhi bassi anche i figli Derrick, 21 anni, al terzo anno di ingegneria, e Jwen, 13 anni.
È il racconto di un sacerdote del Kerala di ritorno da un anno in Italia a riportare un po’ di buon umore nel terzo anniversario di una vicenda dolorosa che coinvolge diverse famiglie: anche quella di Ajesh Binki, il giovane tamil ucciso il 15 febbraio 2012 insieme a Celestine su una barca da pesca scambiata per una goletta di pirati, così come le famiglie dei due marò italiani sospettati di aver sparato.
Padre Tommy era stato parroco in Abruzzo e ricorda a Dora di quando lo scorso anno si recò a visitare i suoi ex parrocchiani. «Una signora mia amica era molto arrabbiata con l’India perché secondo lei teneva in ostaggio ingiustamente Massimiliano La Torre e Salvatore Girone. Allora propose a un gruppo di persone che era con lei di sequestrarmi per uno scambio...».
Anche Dora è una kadel puram kaar, il popolo della spiaggia, uomini e donne che conoscono il mare e odiano le grandi navi che da tutto il mondo vengono a pescare con enormi reti nelle acque internazionali lasciando senza cibo i pescatori locali. Per questo - ci dice il loro leader - «gente come me e Celestine deve andare sempre più al largo con delle barchette e il rischio che comporta, come si è visto ».
Tutti nel villaggio di Muthakkara conoscono bene le ultime vicende: le dure prese di posizioni dell’Ue rivolte all’India, l’operazione al cuore di La Torre e l’autorizzazione dei giudici al rinvio del suo rientro per il processo, che non si è ancora celebrato né sembra destinato a iniziare presto. Ma per Dora è un capitolo chiuso. «Ho già detto di non serbare alcun rancore - ci spiega - e per me i due marò possono tornare per sempre dalle loro famiglie, perché so bene cosa significa l’assenza di chi è caro». Seduto col fratello e la madre sotto al ritratto del padre morto, il figlio maggiore Derrick ci tiene però a dire che - a parte aver ricevuto i soldi per gli studi di ingegneria - «nessuno ci ha mai chiesto scusa».

Anche su questo l’ambasciata italiana di Delhi preferisce mantenere il silenzio, per timore che ogni azione o parola possa essere male interpretata. Lo stesso riserbo hanno quasi sempre seguito La Torre e Girone, mentre una speciale agenzia investigativa nazionale, la Nia, prepara i documenti dell’indagine per i magistrati di una Corte altrettanto speciale. Neanche sul fronte del governo indiano c’è disponibilità a parlare per confermare un’eventuale trattativa in corso. «È tutto in mano alla magistratura », è la posizione ufficiale.

A due passi da casa Galestine incontriamo A. Andrews, il leader dell’associazione dei pescatori del distretto, secondo il quale «spetterebbe a noi il diritto di processare e condannare i responsabili ». «Se le famiglie hanno perdonato - dice Andrews sotto a un colorato crocifisso di Cristo che pende su una parete - noi non lo faremo mai. È nella nostra tradizione punire chi uccide degli innocenti».

In un paese dove migliaia di processi aspettano molto più di tre anni per rendere giustizia, la vicenda dei marò resta un caso a sé, per il clamore internazionale e i troppi dettagli ancora avvolti nel mistero. La fantomatica nave greca, le presunte segnalazioni dei militari alla barca “pirata” in rotta di collisione, le raffiche di mitra sparate da 20 metri di altezza e destinate in teoria a finire in acqua, la decisione del capitano di entrare in porto e consegnare i due marò.

La rabbia delle comunità locali - come ci racconta un testimone di quei giorni a Kochi - montò a maggio quando ai due marò consegnati dal capitano alla polizia del Kerala fu concesso di stare in un albergo da 10mila rupie a notte, 180 dollari, con pasti di uno chef italiano, e ospitalità per 20.30 persone in occasione degli arrivi dei familiari. Al loro seguito c’erano sempre anche tre ufficiali di Marina, un colonnello dei carabinieri e una psicologa, con un cambio trimestrale del team, tanto che per tagliare le spese ormai stratosferiche si pensò di affittargli una casa.
La fine delle costose missioni è arrivata con la decisione di ospitare Girone e La Torre nell’ambasciata di Delhi. Da allora nessun rappresentante dell’Italia è tornato in Kerala, né ha mai pensato di mandare un segno a lungo atteso da Dora e dai suoi figli che non credono più alla giustizia degli uomini: «Almeno una corona di fiori o una preghiera» - dicono - in occasione delle tre messe celebrate ogni vigilia del 15 febbraio nella chiesetta del Bambin Gesù, dov’è sepolto un onesto pescatore scambiato per pirata.
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