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Michael Walzer
Perché talvolta la guerra è giusta
8 Novembre 2004
Recensioni e segnalazioni
Parte dell'introduzione del nuovo libro del sociologo, edito da Laterza Editori, da la Repubblica del 24 ottobre 2004

La celebre frase di Clausewitz, per cui la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, voleva probabilmente essere provocatoria, ma a me sembra un´ovvietà. E l´affermazione contraria è altrettanto ovvia: la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Tuttavia, il fatto che i mezzi siano differenti ha una grande importanza. La politica è una forma di contesa pacifica, mentre la guerra è violenza organizzata. Tutti i partecipanti, gli attivisti e i militanti sopravvivono ad una sconfitta politica (a meno che il vincitore sia un tiranno, e dunque in guerra contro il proprio stesso popolo), mentre molti partecipanti, tanto militari quanto civili, non sopravvivono ad una sconfitta militare - e nemmeno ad una vittoria. La guerra uccide, ed è per questo che le discussioni sulla guerra sono così intense.

La teoria della guerra giusta, che ho difeso in Guerre giuste e ingiuste (1977), e che è stata ulteriormente sviluppata ed applicata nei saggi che costituiscono questa raccolta, è, innanzitutto, una tesi sullo statuto morale della guerra in quanto attività umana. Si tratta di una tesi duplice: sostengo che la guerra a volte è giustificabile e anche che la condotta della guerra è sempre soggetta alla critica morale. La prima proposizione è negata dai pacifisti, per i quali la guerra è un atto criminale; e la seconda è negata dai realisti, per i quali «in amore e guerra tutto è lecito»: inter arma silent leges (in guerra, le leggi tacciono). Così i teorici della guerra giusta si pongono in opposizione ai pacifisti e ai realisti, che sono in gran numero, anche se alcuni pacifisti sono selettivi nella loro opposizione alla guerra e si sono sentiti alcuni realisti, nel pieno della battaglia, esprimere sentimenti morali. (?)

Voglio affrontare due critiche alla teoria della guerra giusta, perché le ho sentite spesso - specialmente in risposta ad alcuni dei saggi qui raccolti. Secondo la prima, quelli di noi che difendono e applicano la teoria della guerra giusta moralizzerebbero la guerra, rendendo in questo modo più facile il ricorso alla violenza. Rimuoveremmo lo stigma che dovrebbe essere sempre collegato all´uccidere, ossia a ciò che, sempre e necessariamente, è parte costitutiva del fare la guerra. Quando definiamo i criteri con cui possono essere giudicate le guerre e la loro condotta, apriamo la via a giudizi favorevoli. Molti di questi giudizi saranno ideologici, di parte, o di carattere ipocrita e, pertanto, soggetti alla critica, ma altri, secondo la teoria, saranno giusti: alcune guerre e alcuni atti di guerra si riveleranno «giusti». Come può essere, se la guerra è così terribile?

Ma «giusto», qui, è un termine di comodo: significa giustificabile, difendibile, persino moralmente necessario (date le alternative) - e non vuol dire altro. Tutti quelli tra noi che sono d´accordo su ciò che è giusto e sbagliato in guerra, concordano sul fatto che la giustizia in senso forte, nel senso che ha nella società civile e nella vita quotidiana, vada perduta non appena iniziano i combattimenti. La guerra è un´area di coercizione radicale, in cui la giustizia è sempre coperta dalle nubi. Comunque, a volte abbiamo il diritto di entrare in quest´area. Da persona cresciuta nella seconda guerra mondiale, questo mi sembra un altro punto ovvio. Ci sono atti di aggressione e di crudeltà a cui abbiamo il dovere di resistere, se necessario anche con la forza. Pensavo che la nostra esperienza con il nazismo avesse posto fine a questa tesi, ma essa continua a riproporsi - e qui nascono i disaccordi sull´intervento umanitario, che esamino in alcuni di questi saggi. L´uso della forza militare per fermare i massacri in Ruanda sarebbe stato, dal mio punto di vista, un esempio di guerra giusta. E se questo giudizio «moralizza» la forza militare e rende più facile utilizzarla - beh, vorrei che fosse stato più facile usare la forza in Africa, nel 1994.

La seconda critica alla teoria della guerra giusta sostiene che essa fornisce un quadro sbagliato delle guerre. Essa indirizzerebbe la nostra attenzione sulle questioni in gioco immediatamente prima che la guerra inizi - nel caso della recente guerra irachena, ad esempio, sulle ispezioni, sul disarmo, sulle armi nascoste, e così via - e in seguito sulla condotta della guerra, battaglia per battaglia: così eviterebbe le questioni più ampie, che riguardano le aspirazioni all´Impero e la lotta globale per accaparrarsi potere e risorse. È come se nell´antichità, riguardo al conflitto tra Roma e una qualche altra città-Stato, i cittadini si fossero limitati a considerare soltanto la violazione o meno di un trattato, sempre tirata in ballo dai Romani prima di dichiarare una guerra, senza prendere invece mai in considerazione tutta la storia complessiva dell´espansione romana. Ma se i critici possono distinguere tra le false scuse per una guerra e le sue vere ragioni, perché noialtri non possiamo fare altrettanto? La teoria della guerra giusta non ha limiti temperali prefissati: può servire per analizzare altrettanto bene una lunga catena di eventi o una breve. Anzi, come potrebbe essere criticata la guerra imperiale se non in termini di guerra giusta? Quale altro linguaggio, quale teoria, può essere utilizzata per una critica di questo tipo? Le guerre di aggressione, le guerre di conquista, le guerre fatte per estendere le sfere d´influenza e stabilire Stati satellite, le guerre per l´espansione economica: sono tutte guerre ingiuste.

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