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Giorgio Leandro
Perché non va il progetto Fontego dei Tedeschi
4 Febbraio 2012
Vivere a Venezia
Nessun rigore nel modo in cui alcune archistar, e i oro committenti, affrontano l’intervento sul’edilizia veneziana. La Nuova Venezia, 4 febbraio 2012

Il progetto che Benetton intende realizzare al Fontego dei Tedeschi è improntato -e non poteva essere diversamente- all’ideologia di mercato. Come è noto questa ideologia ha come fine massimizzare il profitto e come strumenti un vasto armamentario, nel quale spiccano l’appeal o lo share, o l’audience, o come cavolo volete chiamarlo e, in sinergia con esso, la corruzione economica ma soprattutto morale. Quest’ultima, la più pericolosa, si attua insinuando surrettiziamente consumi smodati quanto non necessari, assecondando la moda o, come si usa dire, i trend del gusto comune che, si sa bene, non è mai buon gusto ma è il più appagante sul piano economico. Ne sono valida conferma i programmi trash della televisione, i più seguiti, o i fenomeni della moda, come i blue-jeans lisi e strappati.

Quando si entra nel terreno dell’architettura risulta molto appagante rivolgersi ad un archistar. Archistar non vuol dire buon architetto: significa solamente “architetto alla moda”, con tutto ciò che di buono e di cattivo può contenere questa definizione. Nel caso del Fontego l’archistar avrà sicuramente fatto ampie ricerche storiche, approfondendo la conoscenza delle sue strutture, della sua conformazione, delle sue trasformazioni e delle sue utilizzazioni nel tempo, scoprendo così che all’origine aveva destinazione commerciale e che tale riavrà con l’attuazione del suo progetto. Bene: fin qui lo seguiamo. Dopo di che elabora un progetto che non solo non tiene conto delle “regole” (ahimè!, non è forse questo il vero dramma del nostro tempo?) ma che non si esprime con congruità nei confronti dell’oggetto che tende a modificare. E questo è il nodo architettonico. Già l’arch. Vittorio Gregotti, sulle pagine della Nuova Venezia, spiegava la posizione culturale dell’arch. Koolhaas, progettista d’avanguardia non amante della tradizione e, quindi, non rispettoso del contesto storico e architettonico che si trovava tra le mani, rilevando molto opportunamente anche le responsabilità della scelta da parte del committente, che di questo aspetto non ha tenuto conto. Ma, si sa, Benetton non è Olivetti e Koolhaas non è Carlo Scarpa. Il risultato è un progetto che stravolge uno dei più begli edifici della città, fregandosene di storia e di regole, disarmonico e totalmente incongruo. In una parola: brutto! Ora la parola è alle istituzioni, perché l’opinione pubblica, le associazioni che tutelano la città e la sua conservazione, gli esponenti della cultura si sono già espressi con una netta condanna. Alle istituzioni tocca far rispettare le regole valide per tutti, senza introdurre valutazioni estranee al merito del progetto. In caso contrario dovremmo amaramente prendere atto che quella corruzione morale della quale abbiamo parlato non solo è arrivata a lambire le istituzioni ma è persino riuscita a intaccarle e corroderle, marcando ancora una volta, e in modo grave, la loro separatezza rispetto al sentire della comunità civile.

L’autore è un architetto veneziano

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