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Sergio Lironi
Perchè Legambiente e Italia nostra criticano il PTCP di Padova
11 Febbraio 2007
In giro per l'Italia
Le ragioni della critica degli ambientalisti padovani al Piano territoriale di coordinamento della loro provincia, dal sito web Ecopolis, febbraio 2007

Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale adottato dalla Provincia di Padova, dovrebbe costituire uno strumento fondamentale della pianificazione e della gestione del territorio. Italia Nostra e Legambiente hanno in questi giorni presentato un organico documento di “Osservazioni al PTCP”

E’ da tutti riconosciuto che una delle cause principali della distruzione del paesaggio e del territorio della nostra regione è senza dubbio costituita dalla frammentazione degli strumenti di piano ed al prevalere degli interessi localistici, i quali fanno sì che ogni Comune – assecondando le pressioni della speculazione fondiaria e dei costruttori e per incrementare le proprie entrate fiscali – si senta in dovere di prevedere nel proprio piano regolatore e attraverso specifiche Varianti di piano sempre nuove espansioni residenziali, commerciali e produttive, spesso senza alcuna correlazione con il fabbisogno effettivo ed al di fuori di ogni più ampia e razionale visione dell’organizzazione del territorio e delle attività economiche a scala comprensoriale e regionale.

Tra i compiti essenziali del PTCP vi dovrebbe dunque essere quello di una realistica quantificazione dei fabbisogni insediativi e delle definizione di precisi indirizzi per una concentrazione delle localizzazioni, finalizzata ad evitare la crescita a macchia d’olio degli aggregati urbani, al riequilibrio delle funzioni e dei servizi in una visione multipolare della realtà territoriale e quindi anche alla salvaguardia delle risorse naturalistiche e dei residui spazi aperti. Erano questi gli indirizzi di fondo caratterizzanti il primo PTCP presentato nel 1994 dall’architetto Camillo Nucci, anche se la violenta reazione di molti comuni – che rifiutavano l’imposizione di qualsivoglia limite esterno al proprio potere gestionale – fece sì che all’atto dell’adozione del piano, nel 1995, la normativa, che avrebbe dovuto conferire reale operatività al piano, assumesse un carattere più orientativo che prescrittivo.

L’iter di approvazione di quel PTCP non giunse comunque mai a conclusione. Anzi, la nuova Giunta Provinciale, nel 2000, decise incredibilmente di buttare a mare tutto il lavoro fatto e di conferire un nuovo incarico esterno per la redazione di un nuovo piano, quello adottato la scorsa estate. Un decennio di non governo del territorio a scala provinciale che ovviamente ha favorito un’ulteriore, inarrestabile proliferazione di urbanizzazioni ed insediamenti di ogni tipo, al di fuori di qualsiasi disegno organico, con conseguenze micidiali in termini di consumo di territorio, spreco di risorse energetiche ed economiche, pendolarismo, incremento del traffico veicolare privato, inquinamento.

Ma arriviamo al merito dei contenuti del nuovo PTCP. Va innanzitutto osservato che le metodologie e le procedure seguite per la sua elaborazione sono non solo profondamente carenti ed inadeguate, ma anche clamorosamente illegittime. Nel giugno 2001 il Parlamento Europeo ha approvato una specifica Direttiva, la 42/2001, che rende obbligatoria nella redazione dei piani urbanistici la cosiddetta VAS – Valutazione Ambientale Strategica. L’articolo 3 di detta Direttiva (divenuta efficace a tutti gli effetti dal 21 luglio 2004 per tutti i paesi della Comunità, indipendentemente dal suo formale recepimento con apposita legge nazionale) stabilisce con chiarezza che detta valutazione ambientale «deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano ed anteriormente alla sua adozione» e che detta valutazione, nonché tutti gli studi e la documentazione relativa al piano devono essere messi in tempo utile a disposizione del “pubblico” (e tra il “pubblico” sono espressamente indicate anche le associazioni ambientaliste e le organizzazioni portatrici di interessi collettivi) al fine di consentir loro di esprimersi nel merito prima dell’adozione del piano. Tutto ciò nel caso specifico del PTCP di Padova non è avvenuto. Solo dopo la loro formale adozione da parte del Consiglio Provinciale i documenti di piano ed il Rapporto Ambientale (avente anche valore di VAS) sono stati resi pubblici.

Già questo aspetto procedurale invalida totalmente i contenuti del Rapporto Ambientale e dello stesso piano; ma anche nel merito il Rapporto Ambientale, per numerosi aspetti (mancata elaborazione di scenari alternativi, mancata valutazione dei possibili effetti negativi sull’ambiente e la salute umana delle scelte operate, interrelazioni tra i diversi fattori, monitoraggio,…), non risponde affatto ai criteri fissati dalla Direttiva comunitaria: il che ci fa affermare che di fatto non è stata attivata alcuna reale procedura di Valutazione Ambientale Strategica.

Più nello specifico dei contenuti di piano, si può osservare:

In generale le indicazioni di piano hanno irrilevanti o carenti contenuti progettuali. Quasi sempre ci si limita alla fotografia dell’esistente ed alla descrizione delle tendenze in atto, rinviando ogni decisione agli strumenti della pianificazione comunale. L’unico elemento di novità (derivato dalla nuova legge urbanistica regionale) è costituito dall’invito rivolto ai Comuni per l’elaborazione – nei diversi comprensori provinciali – dei PATI – Piani di Assetto Territoriale Intercomunali, ma l’articolo 7 della Norme tecniche significativamente non inserisce tra i temi di carattere generale da affrontare nell’ambito di detto strumento urbanistico quello fondamentale relativo al sistema insediativo residenziale: esclusione che, non vi è dubbio, favorirà – come già è avvenuto nel passato – il sovradimensionamento del fabbisogno abitativo di ogni singolo comune e quindi, ancora una volta, la frammentazione e dispersione insediativa.

Molto concrete ed “operative” sono invece le indicazioni relative alla grande viabilità (GRA – Grande Raccordo Anulare, camionabile lungo l’Idrovia, “Bovolentana”, nuova strada provinciale complanare tra la statale 16 e l’autostrada A13, ecc. ecc.). Ma in realtà su questo fronte il PTCP ha semplicemente recepito – senza alcun confronto critico – il Piano della viabilità precedentemente predisposto, in separata sede, dall’Assessorato provinciale alla mobilità: un piano la cui unica finalità sembra essere quella di bypassare con nuove strade e superstrade i “punti critici” della viabilità attuale. In questo modo il PTCP abdica rispetto ad uno dei suoi compiti fondamentali, che dovrebbe appunto essere quello di far dialogare il disegno di una nuova più equilibrata organizzazione degli insediamenti nel territorio con il sistema dei trasporti (di quelli collettivi in primo luogo) e non banalmente di recepire la richiesta di nuove infrastrutture stradali come una variabile indipendente. Tra l’altro le nuove strade previste, oltre a generare un inevitabile disastroso impatto sull’ambiente e sul paesaggio, comportando costi astronomici (oltre 1 miliardo e 200 milioni di euro nelle previsioni ufficiali) vanificano di fatto ogni reale prospettiva di potenziamento del trasporto collettivo su ferro a scala metropolitana.

Tema specifico del PTCP dovrebbe essere, in primo luogo, quello della salvaguardia della biodiversità e della formazione di una rete ecologica estesa a scala provinciale, atta a favorire i processi naturali e condizioni generali di equilibrio ecologico (dinamico e non statico). In realtà gli studi sulla rete ecologica effettuati dal piano non si rifanno affatto – come dovrebbero – alle metodologie scientifiche dell’ecologia del paesaggio, limitandosi al puro e semplice rilievo cartografico degli spazi inedificati lungo i principali corsi d’acqua. Non solo. Per non rimettere in discussione le scelte urbanistiche o le richieste dei singoli comuni (come pure il PTCP potrebbe e dovrebbe fare), si arriva al punto di considerare come già di fatto edificate aree che risulterebbero strategicamente fondamentali per il sistema del verde – quali, a Padova, quelle del Basso Isonzo e dei cunei verdi periurbani – che pure sono a tutt’oggi ancora prevalentemente utilizzate a fini agricoli o comunque non urbanizzate. Anche in questo caso un bel salto all’indietro rispetto al PTCP del 1995 che forniva precise indicazioni sulla localizzazione di nuovi potenziali parchi urbani e territoriali (Basso Isonzo-Bacchiglione, Terranegra-Roncajette, Brenta, … per limitarci a Padova), salvaguardava con apposita grafia i “cunei verdi” periurbani e promuoveva la formazione di una “Green Belt” metropolitana estesa per 8.900 ettari e di una grande fascia di salvaguardia ambientale tutt’attorno al Parco dei Colli Euganei.

Gravissimo è infine quanto previsto dall’art. 8 delle Norme di piano, che tende ad interpretare (in stridente contrasto con le norme di legge vigenti e con la giurisprudenza) lo strumento della “compensazione urbanistica” come un implicito riconoscimento di un diritto all’edificazione (jus aedificandi) connesso alla proprietà dei suoli… una forma di risarcimento per le aree soggette a vincoli di tipo ricognitivo quali quelle «… interessate da problematiche legate alla morfologia del territorio, o alla presenza di rischi naturali maggiori quali ad esempio fenomeni di esondazioni e/o ristagno d’acqua, di vulnerabilità del territorio sotto il profilo ecologico, igienico-sanitario e paesaggistico-ambientale».

Sergio Lironi è Presidente di Legambiente Padova

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