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Giorgio Airaudo
Per un’Europa che non sia delle multinazionali
25 Aprile 2014
Articoli del 2014
La vicenda della Thyssen di Torino rimane aperta sul piano giudiziario, ma è chiarissima sul piano della politicase è a questa che spetta trasformare la domanda di equità in regole di giustizia. «I mana­ger devono tener conto della sicu­rezza nei luo­ghi di lavoro in qua­lun­que delle loro deci­sioni, com­prese le chiu­sure degli impianti, per­ché la vita umana non è meno impor­tante dei fat­tu­rati e dei bilanci».

La vicenda della Thyssen di Torino rimane aperta sul piano giudiziario, ma è chiarissima sul piano della politicase è a questa che spetta trasformare la domanda di equità in regole di giustizia. «I mana­ger devono tener conto della sicu­rezza nei luo­ghi di lavoro in qua­lun­que delle loro deci­sioni, com­prese le chiu­sure degli impianti, per­ché la vita umana non è meno impor­tante dei fat­tu­rati e dei bilanci». Ilmanifesto, 25 aprile 2014

Se i giu­dici della Cas­sa­zione accet­te­ranno la richie­sta del pg, la strage di lavo­ra­tori della Thys­sen di Torino sarà giunta a giu­di­zio defi­ni­tivo con la con­ferma delle con­danne e l’individuazione delle respon­sa­bi­lità già accla­rate nei gradi di giu­di­zio pre­ce­denti e pur­troppo deru­bri­cata in appello dall’omicidio volon­ta­rio all’omicidio col­poso con colpa grave. Il giu­di­zio defi­ni­tivo non può lenire il dolore delle fami­glie o col­mare il vuoto per la per­dita dei loro cari e dei com­pa­gni di lavoro. E non rimuove quell’onda di emo­zione che si pro­pagò nell’intero paese per quelle morti ope­raie sul lavoro, di quasi l’intera squa­dra addetta alla linea di deca­pag­gio N 5, unico super­stite l’operaio Anto­nio Boc­cuzzi, in una fab­brica che stava chiu­dendo per le scelte di posi­zio­na­mento inter­na­zio­nale della mul­ti­na­zio­nale tede­sca.

Resta il ram­ma­rico per il ten­ta­tivo di Raf­faele Gua­ri­niello, ardito per il diritto vigente, ma di grande con­tem­po­ra­neità per come le imprese mul­ti­na­zio­nali glo­ba­liz­zate costrui­scono oggi le loro deci­sioni di ter­ri­to­ria­liz­za­zione dei pro­dotti e i loro bud­get di spesa. Attra­verso l’accusa di omi­ci­dio volon­ta­rio il pro­cu­ra­tore di Torino ha cer­cato di respon­sa­bi­liz­zare i mana­ger, che devono tener conto della sicu­rezza nei luo­ghi di lavoro in qua­lun­que delle loro deci­sioni, com­prese le chiu­sure degli impianti, per­ché la vita umana non è meno impor­tante dei fat­tu­rati e dei bilanci. Non diciamo que­sto per spi­rito ven­di­ca­tivo, ma per­ché nelle pie­ghe di quella inchie­sta si evi­den­zia come la scelta della dismis­sione avesse com­por­tato anche la mas­si­miz­za­zione dei risparmi e lo sfrut­ta­mento di que­gli impianti fino all’ultima uti­lità dell’impresa, sca­ri­cando sulla dispo­ni­bi­lità dei lavo­ra­tori, ricat­ta­bili con gli ultimi salari dispo­ni­bili prima della ces­sa­zione dell’attività, rischi inac­cet­ta­bili.
Infine, que­sta vicenda segnala come serva un’altra Europa che metta al cen­tro le per­sone oltre e prima della finanza e dei pro­fitti, anche con leggi e diritti nei luo­ghi di lavoro che impe­di­scano alle mul­ti­na­zio­nali di acqui­sire van­taggi com­pe­ti­tivi rispar­miando sulla sicu­rezza: se a Torino ci fos­sero stati gli impianti antin­cen­dio che erano in fun­zione in Ger­ma­nia, sette ope­rai sareb­bero ancora vivi.
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