Abolire il "porcellum è necessario, ma tornare al "mattarellum non basta per avere un istituzioni nazionali democratiche capaci di legiferare e governare.
Corriere della Sera, 11 agosto 2013
Caro Direttore, nella attuale fase politica di accresciuta incertezza, che potrebbe preludere ad una crisi del governo di «larghe intese», c'è un punto su cui è difficile dissentire, almeno per chi non metta i propri immediati interessi di parte al di sopra di ogni altra considerazione: è più che mai urgente approvare una nuova legge elettorale, prima che si vada al voto. Che l'attuale legge sia la più inadatta alle circostanze dipende non solo dai suoi difetti principali tante volte denunciati (premio di maggioranza spropositato e liste bloccate), ma anche dalla particolarità del sistema politico che in questo momento caratterizza il Paese. Se si andasse a votare oggi, con un Paese diviso non già fra due grandi partiti concorrenti per la maggioranza, ma fra almeno quattro o cinque (o come minimo tre) schieramenti apparentemente incompatibili fra loro, l'unica cosa che conterebbe sarebbe come conquistare un voto in più degli altri.
In un quadro almeno tripolare (centrodestra, centrosinistra, Movimento 5 Stelle, senza contare il centro e la sinistra «radicale»), se uno di questi tre «poli» conquistasse la maggioranza dei seggi, in quanto minoranza più forte (anche per un voto), avremmo un Parlamento assai poco rappresentativo, quindi poco adatto a mantenere un minimo di unità del Paese. Nel caso di vittoria del centrodestra o del centrosinistra, avremmo inoltre la prosecuzione a oltranza di una situazione (che ben conosciamo) di scontro frontale e di reciproca delegittimazione; nel caso (meno probabile) di vittoria dei Cinque Stelle, che esprimerebbe una sorta di definitiva affermazione dell'antipolitica, si aprirebbe una enorme incognita sugli indirizzi politici del paese. Se poi nessuno dei tre schieramenti prevalesse in entrambe le Camere, saremmo da capo con la situazione di oggi. Ancora, questo tipo di competizione porterebbe le forze maggiori a includere e valorizzare, per avere «un voto in più», le forze «estreme» che svolgono un ruolo tendenzialmente divaricante e foriero di rigide contrapposizioni: gli atteggiamenti delle forze maggiori sarebbero fatalmente condizionati e influenzati dalla spinta «estremizzante» delle forze minori forzatamente reclutate. Anche una eventuale evoluzione del sistema in senso tendenzialmente bipolare avverrebbe nella direzione di un bipolarismo «estremizzante» e iper-conflittuale.
Dunque, occorre una nuova legge elettorale. Ma quale? Il semplice ripristino del «Mattarellum» che pure farebbe superare alcuni dei difetti dell'attuale legge, non risponderebbe alle esigenze della situazione descritta. Si riprodurrebbe, solo spostata nei singoli collegi, la gara per «un voto in più», con la quasi certezza che a «vincere» sarebbe sempre una minoranza in ogni collegio, e una minoranza, oppure nessuno, sul piano nazionale. Diverso sarebbe se si passasse ad un sistema a doppio turno (con ballottaggio a due nel secondo): in ogni collegio si formerebbe una maggioranza, e sarebbero gli elettori a determinare, nel secondo turno, le affinità e le «alleanze» capaci di produrre tale maggioranza. Conseguentemente a livello nazionale potrebbe prodursi, anche se non necessariamente si produrrebbe, una «vera» maggioranza. Una limitata quota proporzionale (già presente nel «Mattarellum») potrebbe ridurre il rischio della totale scomparsa delle «terze forze» e in generale delle forze minori in Parlamento.
Non è vero che in tal modo si sarebbe destinati necessariamente allo stallo permanente: al contrario, alleanze e coalizioni (larghe o meno larghe, ma sempre maggioritarie) potrebbero formarsi sulla base di reali affinità di intenti e di programmi, e non su quella precaria dell'interesse elettorale immediato e della necessità di «contrapporsi». Le forze minori che non vogliano o non possano convergere, comprese quelle «estreme», potrebbero avere la loro voce in Parlamento, ma non impedire che maggioranze, larghe o meno larghe, si formino per governare il Paese sulla base di indirizzi sufficientemente coerenti. I sistemi elettorali, si sa, non sono buoni o cattivi in sé, ma in relazione alla configurazione esistente del sistema politico. In un momento storico in cui tutto nel nostro Paese appare precario, in cui i partiti esistenti sono, per diverse ragioni, tutti in crisi, in cui non ci sono solo inevitabili contrasti ma sfide «mortali», e quindi emerge un bisogno di ricomposizione e di ricollocazione delle forze politiche e dello stesso elettorato, chiamato a fare le sue scelte su basi più razionali e meno immediatamente emotive, tutto fa pensare che questa potrebbe essere la linea giusta. Magari rinviando ad un Parlamento così eletto anche il compito di mettere mano alle possibili riformecostituzionali.