In Toscana vive e si diffonde a tutti i livelli una cultura che conserva, propone e si mobilita per la difesa del paesaggio e del territorio inteso come eccellente bene comune. Al professor Salvatore Settis che contro l’alienazione selvaggia dei cosiddetti "gioielli di famiglia" si è sempre coraggiosamente battuto, avanzando proposte innovative sia sul piano istituzionale che su quello più propriamente culturale, poniamo alcune domande su temi che hanno animato e acceso aspre polemiche su come dovrebbe essere gestito il patrimonio culturale toscano. Una battaglia che non ha mai risparmiato nessuno, ma, senza cadere in facili banalizzazioni, le scaramucce tra destra e sinistra nelle varie sedi istituzionali, nulla hanno a che fare con ciò che anima il lavoro di Settis: la difesa del patrimonio culturale è una battaglia di quotidiana civiltà.
La politica di vendita del nostro patrimonio culturale è sostanzialmente fallita. Ma non i tentativi di depredare il nostro più prezioso bene comune da parte di spregiudicati immobiliaristi. Come impedire che tali scempi possano accadere?
Occorre agire su due fronti: il rigore nelle regole e la diffusione della consapevolezza di questo problema tra i cittadini. Solo un'efficace azione educativa (a cominciare dalle scuole) può far sperare che gli egoismi dei singoli vengano bilanciati e frenati dalla preoccupazione del bene pubblico.
Eppure anche in Toscana basta un trucchetto come quello del "cambio di destinazione d'uso" o qualche autorizzazione azzardata e la si dà vinta ad una visione d'insieme speculativa. Il ruolo dell'intellettuale in questa battaglia qual è?
Non assuefarsi, non accettare il compromesso, richiamare ai principi, argomentare con rigore, non piegarsi alle regole della politica spicciola, ma intendere la politica nel suo significato originario: il governo della cosa pubblica nell'interesse generale, e non il piccolo cabotaggio delle micro-pattuizioni elettoralistiche.
Nuovi poteri alle soprintendenze: è la via maestra per salvaguardare il nostro patrimonio culturale?
Bisogna mettere le Soprintendenze in grado di rispettare le norme esistenti, attraverso il rinnovamento e rinvigorimento degli organici. Da troppo tempo non si fanno più assunzioni, e quando si ricomincerà devono esser fatte puntando sulla competenza e sul merito, e su nient'altro.
Creare dei centri di eccellenza che siano in grado di esaltare quanto di specifico il territorio per poi affidarli a chi ha appena conseguito una laurea triennale. Non le sembra un contradditorio?
È contraddittorio, per temi tanto delicati la laurea triennale non basta, occorre non solo un percorso quinquennale ma anche qualcosa di più, la specializzazione o il dottorato di ricerca su questi temi.
A ciascuno il suo compito: al Ministero la "tutela" e alle regioni la "gestione" del bene culturale e paesaggistico. Va bene così o si tratta di un modello superato e da trasformare?
Tutela, valorizzazione e gestione sono un continuum inseparabile. Chiunque gestisca i vari segmenti, è bene che intorno vi sia uno stretto coordinamento per evitare duplicazioni, dispersioni di energie, conflittualità diffusa.
Possiamo ancora sperare di veder tronare nel nostro paese almeno una parte delle opere d'arte illegittimamente esposte nei principali musei del mondo?
È un processo bene avviato, che sta dando i suoi frutti, e spero che continui positivamente nei prossimi anni: fermo restando che possiamo legittimamente richiedere indietro solo ciò che è stato illecitamente esportato dopo le convenzioni Unesco in materia di patrimonio culturale, e non prima.
E sulla stesura del Nuovo Codice dei beni culturali può darci qualche anticipazione?
Abbiamo presentato al Ministro Francesco Rutelli una bozza, e per la fine di luglio speriamo di avere la proposta definitiva della Commissione che se ne occupa. Poi la cosa andrà naturalmente nelle mani del Ministro per la sua definitiva approvazione.