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Paolo Costa
Per non finire come New Orleans Cacciari non deve bloccare il Mose
18 Settembre 2005
MoSE
Che New Orleans fosse da strumentalizzare per sorreggere il declinante MoSE c’era da aspettarselo. Può sorprendere un po’ che la sponsorship dell’impresa del Consorzio Venezia Nuova sia assunta dall’ex sindaco di Venezia e da il Riformista, dove l’intervista è apparsa il 17 settembre 2005

Le cronache della New Orleans devastata dall'uragano Katrina narrano di Ray Nagin, il sindaco della città distrutta, che continua a urlare e strepitare lanciando insulti e male parole contro il presidente Bush, contro la governatrice Bianco, contro la Fema, l'impacciata protezione civile federale del defenestrato Mike Brown, e contro chiunque altro gli capiti a tiro. E' da capirlo. La disgrazia che gli è capitata addosso, personale e politica, è di dimensioni tali da far perdere le staffe a chiunque; soprattutto al sindaco il cui nome resterà associato per sempre alla tragedia della città e che si gioca tutto sulla sua ricostruzione. Al momento il gioco inesorabile del cerino delle responsabilità fa delle urla di Nagin la sua arringa difensiva per le accuse specifiche a lui rivolte: dal ritardo nell'ordine di evacuazione all'inadeguatezza del Superdome come rifugio. Poca cosa rispetto alle responsabilità statali e federali. Il tardo agitarsi di Bush ne è la conferma più lampante. Il fatto è che pur di fronte alla incontenibile forza distruttrice di Katrina nessun potere pubblico locale, statale o federale competente su New Orleans può dirsi esente da colpe.

Nessun personaggio pubblico anche marginalmente coinvolto può dire di aver fatto tutto il possibile, di avere la coscienza a posto. Con, forse, una eccezione, piccola ma signifi-

cativa: Marc H. Morial che di New Orleans è stato sindaco fino al 2002. Il sindaco Morial era consapevole dei pericolo che incombeva sulla sua città «per l'innalzamento del livello del mare, ma anche per l'intensificarsi di fenomeni climatici estremi» ed era anche per questo impegnato nel sensibilizzare il presidente Bush e l'amministrazione federale degli Usa sui temi dei cambiamenti climatici e dell'effetto serra. Tanto consapevole e impegnato da accettare subito di firmare (il 24 agosto. 2001) con pochi altri sindaci americani, ma con un centinaio di altri sindaci di città costiere del mondo (da Rio de Janeiro a Oslo, da Città del Capo a Fukuoka, da Dakar a Dubai, da Honolulu a Na-di—Fiji, da Tallinn a Dhaka—Bangladesh), la lettera da me proposta, quale sindaco di Venezia del tempo, e diretta al presidente Bush, che «esprimeva la più profonda preoccupazione riguardo alla posizione che l'amministrazione Usa ha di recente assunto nei riguardi del Protocollo di Kyoto». Morial si univa a me e agli altri sindaci nel testimoniare con forza a Bush «la convinzione che il protocollo di Kyoto non debba essere messo da parte». Morial aveva accettato che la lettera facesse cenno solo al caso di Venezia e alla contraddizione "americana" tra l'amministrazione Usa che non firmava il protocollo di Kyoto e i molti cittadini che fin dal 1966 si preoccupavano - e finanziavano - i comitati per la salvaguardia di Venezia e per la conservazione del suo patrimonio culturale. La lettera venne spedita a Bush e presentata pubblicamente al Senato di Washington. Non fece cambiare idea a Bush; ma dimostrò che esistevano americani come Morial che "facevano tutto il possibile": non per evitare l'inevitabile Katrina, ma per rafforzare le difese di New Orleans e per organizzare

soccorsi più efficienti.

Viene spontaneo domandarsi - e molti in questi giorni lo hanno fatto - fino a dove arrivino le analogie con Venezia. Per fortuna un Katrina non potrebbe verificarsi in Adriatico: mancano le condizioni di riscaldamento di grandi masse d'acqua e del trasferimento di energia capace di produrre i venti degli uragani. Ma è anche vero: che a Venezia basterebbero burrasche con onde di due metri per mettere a repentaglio la città storica; che il fenomeno già prodottosi nel 1966 ha un periodo di ritorno stimato in 150 anni; e che lo stesso non si è ripetuto il 6 novembre 2000 solo perché la marea astronomica era bassa. Se la burrasca si fosse prodotta quattro giorni dopo ci saremmo trovati di nuovo di fronte a una Venezia sommersa da più di 190 centimetri d'acqua.

Al contrario di New Orleans la consapevolezza del pericolo che Venezia corre e l'impegno a risolverlo da parte del governo nazionale esistono da tempo. Dico governo, come istituzione, non solo governo Berlusconi, che ha cercato di attribuirsi l'intero merito dell'avvio dei lavori per la realizzazione del sistema di paratie mobili - il Mose - assieme agli altri interventi locali e ai possibili restringimenti alle bocche di porto. Se oggi possiamo prevedere che entro sei anni Venezia verrà definitivamente protetta dalle grandi inondazioni, ma anche dal fastidio di molte acque alte, lo dobbiamo prima di tutto ai governi Prodi, D'Alema e Amato che hanno gestito con scrupolo la fase di messa a punto e di autorizzazione conclusiva del progetto. In un esempio, positivo come pochi, di "leale collaborazione" tra i livelli di governo, quello regionale e quelli locali hanno collaborato per migliorare la decisione, ma senza sottrarsi alle proprie responsabilità.

Da sindaco mi sono trovato a gestire il raccordo tra i governi di centro-sinistra, che avevano dato via libera a un progetto complesso di salvaguardia "non solo Mose", e il governo Berlusconi interessato solo ad avviare la grande opera. Berlusconi è stato tenuto sulla linea tracciata da Prodi-D'Alema-Amato da un Comune di Venezia che ha coinvolto al meglio anche quelle forze politiche, Verdi e Rifondazione, tradizionalmente poco favorevoli alla soluzione Mose. Oggi dal lato locale - Comune di Venezia - e da qualche forza politica in cerca di visibilità differenziale si sentono nuove, pericolose, voglie di tornare all'antico, di usare il miraggio di ipotesi alternative per riprendere l'andazzo di non decidere per non perdere consensi da nessuna parte, anche a costo di continuare a tenere Venezia a rischio. Il sindaco Costa-Morial ha la coscienza a posto: sa di aver fatto tutto il possibile. Non auguro a Cacciari né a nessuno sindaco dopo di lui di trovarsi nella condizione di poter solo gridare come Nagin.

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