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Per l'acqua pubblica dobbiamo diventare 25 volte di più
20 Giugno 2010
Clima e risorse
Alcuni articoli del manifesto (20 giugno 2010) informano e commentano la campagna per l’acqua pubblica: A. Palladino, M. Bersani e C. Oddi, U. Mattei, F. Stroffolini

Andrea Palladino, Davide contro Golia

Marco Bersani e Corradio Oddi, Per l’acqua e la democrazia

Ugo Mattei, Da uno a venticinque milioni

Francesca Stroffolini, Il privato costa di più

DAVIDE CONTRO GOLIA

di Andrea Palladino

Un milione di firme in due mesi. Il movimento per l'acqua pubblica riparte da cittadini e associazioni. Senza partiti e lobbies, contro la gestione delle multinazionali dei servizi. A luglio le firme in Cassazione. In primavera il voto

Un milione tondo tondo di firme per l'acqua pubblica. Ovvero duecento cinquantamila in più del traguardo che inizialmente il Forum si era dato per questa campagna referendaria. Una gigantesca grande risposta a politiche di governo liberiste. Un movimento in tanti aspetti simile a quello nato all'epoca del G8 di Genova: i partiti sono ospiti, una rete diffusa, capillare e solida di movimenti e associazioni. E' impossibile nelle pagine di un giornale elencare le centinaia di sigle che hanno reso possibile un obiettivo così straordinario. Si possono indicare le aree, sapendo che si sta facendo il torto a qualcuno: i cattolici progressisti insieme ai centri sociali, interi pezzi di sindacato (soprattutto Cgil e Cobas) insieme alle associazioni di consumatori, il mondo ambientalista al gran completo, fino ai lavoratori delle società che gestiscono l'acqua. E poi cittadini comuni, quell'onda che progressivamente cresce attorno al popolo viola, le piazze per la difesa del diritto all'informazione, pezzi di quell'Italia che vuole capire perché siamo il paese più autoritario, più liberista e meno libero d'Europa.

Per capire conviene fermarsi in uno dei banchetti sparsi in Italia: «Acqua pubblica? Non c'è bisogno di spiegare nulla, firmo subito», è la frase più comune. Poi la seconda domanda riguarda il marchio doc: «Non siete per caso quelli dell'Idv, vero?», come chiedeva un'anziana signora a Roma. Domande a fiumi: come difendersi dalle società private, come ribellarsi all'aumento delle tariffe, come fare le analisi all'acqua che beviamo. In un clima che può ricordare le feste di paese. Come quando sulla cima dello Zoncolan, durante il giro d'Italia, sono apparsi i banchetti, scatenando gli applausi dei tifosi. O come a Nettuno, la settimana scorsa, quando le persone hanno lasciato la spiaggia per andare ad ascoltare Ascanio Celestini, e a firmare.

A ripercorrere a ritroso la strada che ha portato alla mobilitazione milionaria, si trovano episodi che raccontano bene quanto vale questo milione di firme. Due erano gli ostacoli solo apparentemente insormontabili, i partiti politici e l'informazione. Partiamo dall'ultimo, è una storia che ci riguarda da vicino. Fino a pochi mesi fa il tema acqua pubblica era sostanzialmente un tabù. E d'altra parte guardando le grandi imprese e i forti poteri finanziari che si nascondono dietro la privatizzazione delle risorse idriche si trovano nomi che pesano nei media mainstream. Grandi gruppi come Acea, ad esempio, hanno tra gli azionisti industriali di peso come Caltagirone, salito oggi al 13% della società romana, pronto a scalare il gruppo in vista dell'ulteriore privatizzazione già avviata da Alemanno. Il nuovo colosso multiutility del Nord, Iride, ha visto l'ingresso pesante di F2I, alla cui presidenza siede il nuovo banchiere di dio Ettore Gotti Tedeschi, a capo dello Ior, la banca del Vaticano. O le potentissime lobby delle acque minerali, budget destinati alla pubblicità in grado di interferire nelle scelte del mondo televisivo. Golia contro le voci che hanno accompagnato in questi anni la crescita del movimento per l'acqua pubblica, raccontando cosa significa privatizzare l'acqua, trovandosi davanti alla porta i tecnici delle multinazionali e i vigilantes pronti a tagliare i tubi se non riesci a pagare.

Il vero ostacolo, quello apparentemente più difficile, è venuto però dai partiti, anche dell'opposizione. Al momento della presentazione dei quesiti fu l'Italia dei Valori, con un Di Pietro particolarmente agguerrito, a cercare di allungare una gamba per lo sgambetto. Prima l'IdV chiese un posto in prima fila nel comitato organizzatore del referendum, dopo aver capito che quell'anomalo movimento poteva arrivare molto lontano; poi forzò la mano, presentando un quesito alternativo - che mantiene il modello privato come una delle scelte possibili di gestione - sul tema dell'acqua.

Segue la questione Pd. O meglio, di una parte del Pd. O, meglio ancora, probabilmente di una parte minoritaria del Pd. Una posizione ufficiale, come è noto, ancora non c'è. Ufficialmente si è espresso contro i referendum e contro la totale gestione pubblica dell'acqua il gruppo che si riconosce nella componente "ecodem". L'impressione è che nell'alta dirigenza conti probabilmente molto il Pd "di governo", quella parte del partito che è storicamente vicina alle gestioni miste pubblico private - vedi il modello Toscana, o il colosso Acea - oggi in forte difficoltà rispetto ad un referendum chiaro e radicale.

I partiti della sinistra hanno invece accolto l'invito del Forum a dare una mano senza protagonismi. Federazione della sinistra, Sel, Verdi, Sinistra critica e PCdL fanno parte del comitato di sostegno al referendum, dando un sostegno deciso ma autonomo.

Quel milione tondo tondo di firme è dunque stato possibile grazie alla mobilitazione nata e cresciuta dal basso, nelle piccole sedi improvvisate di centinaia di comitati locali, abituati ad aprire le porte a cittadini di ogni tipo, arrivati con bollette a tre zeri in mano e magari con l'acqua staccata. Sono comitati dove in prima fila trovi le donne che fanno i conti per prime con la crisi economica e con la scientifica capacità predatoria delle multinazionali dei servizi, o gli anziani, memoria storica della capacità di combattere al minimo odore di ingiustizia. E poi professionisti, operai, insegnanti, precari stufi di essere visti come la parte flessibile del lavoro, stranieri che scoprono come l'Italia non sia quel paradiso promesso e non mantenuto. Un'esperienza di lotte e vertenze accumulate in cinque anni, partite dopo le prime privatizzazioni vere, spacciate per gestione mista.

La macchina organizzativa per i referendum è partita a fine marzo, grazie a volontari e forme creative di autofinanziamento. C'è chi ha creato il gadget richiestissimo delle borracce con la scritta "l'acqua non si vende", chi ha preparato i manifesti che univano il 25 aprile con la liberazione dell'acqua, chi si è ingegnato a realizzare i sistemi informatici per il conteggio delle firme. Ma subito tutti hanno capito la potenzialità dirompente dei tre quesiti: chiedere una gestione pubblica senza se e senza ma, mettendo all'angolo le mediazioni, gli interessi e quel sistema gelatinoso che garantisce lobbies e affari era quello che questo paese aspettava. Non servivano manifesti, campagne pubblicitarie e informazione diffusa. I referendum dell'acqua pubblica vincono proprio perché sono radicali, perché toccano sulla carne viva un paese ferito. Un vero uovo di Colombo.

PER L'ACQUA E LA DEMOCRAZIA

di Marco Bersani (Attac Italia) e Corrado Oddi(FP-Cgil)

In soli 50 giorni un milione di donne e uomini hanno firmato i tre referendum per la ripubblicizzazione dell'acqua. Un risultato straordinario, ottenuto da una grande coalizione sociale promossa dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua e dal capillare e reticolare impegno di migliaia di comitati sorti in tutto il Paese. Senza padrini politici, senza grandi finanziatori, nel più completo silenzio dei più «importanti» mass media.

Qualcosa sta succedendo in questo paese. Una nuova narrazione sull'acqua e dei beni comuni, frutto di un decennio di sensibilizzazione e di mobilitazione sociale, è emersa, dimostrando come su questo tema abbiamo già vinto culturalmente. Basta vedere le scomposte reazioni dei fautori delle privatizzazioni - Governo, Confindustria e Federutility in primis - i quali, se solo pochi anni addietro potevano rivendicare apertamente il dogma del «privato è bello», sono oggi costretti a giocare in difesa, a negare di voler privatizzare, a diffondere cortine fumogene sul pericolo referendario. Consapevoli di aver perso il consenso, faticano tuttavia a rendersi conto di come dietro a questa straordinaria mobilitazione popolare ci sia molto di più.

Perché il milione di donne e uomini che hanno sottoscritto i referendum forse non hanno ancora interamente acquisito tutta la complessità del tema acqua e privatizzazioni, ma nel loro incedere a testa alta verso i banchetti hanno dimostrato una forte consapevolezza sulla posta in gioco : mettere uno «stop» all'ideologia del mercato come unico regolatore sociale e invertire la rotta, riappropriandosi dell'acqua e dei beni comuni, che solo una democrazia partecipata e condivisa può gestire a finalità sociali.

Quel milione di donne e uomini sono un nuovo anticorpo sociale che parla all'intero Paese e alla crisi economica, ambientale e di democrazia che lo attanaglia. Dice a chiare lettere che gli attacchi ai diritti sociali e del lavoro, la privatizzazione dell'acqua e dei beni comuni, la demolizione della Costituzione e della democrazia non sono uno scenario ineluttabile, bensì il frutto di scelte politiche ancora una volta dettate da questo governo e dagli interessi dei grandi poteri economici-finanziari.

Quel milione di donne e di uomini sta indicando un'altra direzione : dalla crisi si esce attraverso la redistribuzione del reddito verso il lavoro e i ceti più deboli e attraverso l'appropriazione sociale di ciò che ci appartiene, a partire dal bene più essenziale di tutti, l'acqua. Dalla crisi si esce attraverso un nuovo ruolo del pubblico e della democrazia, che devono essere fondati sulla partecipazione popolare.

In questi mesi, con quest'esperienza, si è costruito uno straordinario laboratorio sociale. Ma sappiamo che è solo il primo passo. Perché dalla vittoria culturale si passi alla vittoria politica, occorrerà, entro la prossima primavera, trasformare questo milione di firmatari in almeno 25 milioni di votanti. Sarà un percorso difficile ed entusiasmante; avrà bisogno di tutte le donne e gli uomini che vogliono liberare l'acqua, rifondare la democrazia, redistribuire la speranza. Oggi possiamo intraprenderlo con nuova fiducia, tutti insieme.

I due autori sono membri del Forum Italiano Movimenti per l'acqua

ACQUA BENE COMUNE-IL MANIFESTO

Da uno a venticinque milioni

di Ugo Mattei



Nessun giornale ha seguito negli anni la battaglia globale contro la privatizzazione dell' acqua tanto da vicino quanto il manifesto. In Italia la copertura mediatica fin qui ottenuta dall' imponente movimento politico che ci ha condotti al raggiungimento dello storico traguardo di un milione di firme per i Referendum promossi dal Forum (www.acquabenecomune.org) e dai giuristi del Comitato siacquapubblica (www.siacquapubblica.it) è stata pressoché inesistente.

Malgrado ciò, la consapevolezza dell' importanza della battaglia politica per i beni comuni che stiamo conducendo incominciando dall' acqua si sta diffondendo a tutti i livelli della società italiana con ritmo più che incoraggiante.

E all' esperienza di lotta italiana, la prima di queste dimensioni in un paese occidentale ricco, cominciano a guardare con interesse e speranza milioni di compagni di paesi lontani, soprattutto in America Latina. Sicché il Forum italiano in questi mesi interpreta l' avanguardia della lotta globale contro il più inquietante e pericoloso fra i saccheggi del bene comune che le multinazionali stanno perpetrando.

Il compito che ci attende di qui a circa un anno è molto impegnativo ma non impossibile. Sul piano giuridico occorre argomentare in modo stringente, per impedire alla Corte Costituzionale di scippare il movimento del suo diritto a far esprimere il popolo sovrano. Abbiamo preparato bene i quesiti, ma non di rado in passato, soprattutto in materia referendaria, la discrezionalità della Consulta si è trasformata in valutazione di opportunità politica. È anche per questo che abbiamo deciso di non fermarci dopo aver raggiunto la soglia di sicurezza (circa 650.000 firme) e che non ci fermeremo neppure ora che abbiam raggiunto la storica cifra a sei zeri!

Sul piano politico bisogna attivarsi fin da subito per portare alle urne circa 25 milioni di elettori per superare il quorum di validità (50% +1 degli aventi diritto) e far rivivere il nostro più importante strumento di democrazia diretta. Ciò rende indispensabile non abbassare la guardia dopo aver consegnato le firme e soprattutto inventare modi creativi per tenere alta l' attenzione e la mobilitazione sul nostro tema (perché Vasco o Ligabue non fanno una bella canzone?).

In ogni caso noi riteniamo che il successo di una battaglia come la nostra dipenda (come peraltro la salvezza ecologica del pianeta) più dalla moltiplicazione di microcomportamenti di attivismo politico che non dalla (improbabile) apertura di un grande dibattito sui media. È assai probabile che, come sempre , i nemici della democrazia diretta utilizzino la strategia di invitare gli elettori ad «andare al mare» per far fallire il referendum piuttosto che misurarsi democraticamente sul merito della questione che stiamo rivolgendo al corpo elettorale.

In pratica quindi ogni firmatario ha un anno di tempo per convincere 25 elettori che non hanno firmato ad andare a votare (anche no!) al referendum sull'acqua entrando così democraticamente nel merito dei nostri argomenti nostri e di quelli dei nostri antagonisti. Un anno per parlare di un tema reale mentre si prende il caffè o sul tram, facendo rivivere la democrazia della partecipazione respingendo quella delle rassegnazione e dell' astensionismo. Basterà che tutti convincano due non firmatari al mese, uno ogni due settimane! E per raggiungere anche qui una soglia di sicurezza, proviamo a convincerne uno a testa alla settimana. Non è impossibile.

Anche ai tempi del referendum elettorale contro la partitocrazia che produsse il crollo della prima repubblica Craxi e gli altri invitarono gli elettori ad andare al mare... Forse fra un anno, con la crisi che morde, matureranno finalmente le condizioni per spazzare questa oscena seconda repubblica fatta non solo di berlusconismo pacchiano ma anche di conformismo privo di speranza.

Il manifesto, pubblica tutti insieme sul suo sito una ricca selezione di scritti apparsi durante questa campagna perché vuole offrire uno strumento in più da utilizzare nel nostro mini-compito personale di persuasione... ricordiamo: due amici alla settimana da subito! Se avessimo avuto i soldi lo avremmo distribuito ai nostri lettori in edicola...ma questa è un' altra storia di beni comuni a rischio di cui purtroppo ci sentirete ancora parlare fra poco.



Il privato costa di più

di Francesca Stroffolini

Nel dibattito originato dai referendum per la gestione pubblica del servizio idrico integrato sembrano fronteggiarsi due posizioni: da un lato quella dei promotori che giustificano la necessità di mantenerne pubblica la fornitura con la natura di «bene comune» e socialmente rilevante dell'acqua, che non può dunque sottostare alle logiche di profitto; dall'altra la posizione di coloro che sostengono la convenienza di affidare al privato la gestione del servizio con la convinzione che questo di per sé garantisca minori costi, maggiori investimenti per il miglioramento della rete di distribuzione e quindi anche maggiore vantaggi per i consumatori in termini di minori tariffe e maggiore qualità. E' proprio questa convinzione che qui si intende brevemente mettere in discussione.

L'osservazione da cui partire è che nei settori regolamentati, come quello idrico, l'Autorità Pubblica non ha le stesse informazioni dell'impresa regolamentata riguardo alle caratteristiche del settore (tecnologia, domanda) e quindi ai costi efficienti di fornitura del servizio. Ne consegue che l'unico modo che ha per indurre l'impresa privata a ridurre i costi è consentirle di appropriarsi dei maggiori profitti che ne derivano. E' questo il meccanismo di regolamentazione del Price Cap, utilizzato nel settore idrico, che fissa un prezzo massimo che non varia, per un certo intervallo di tempo, al variare dei costi. In tal caso qualsiasi riduzione di costo, non modificando il prezzo, si traduce esclusivamente in profitto dell'impresa privata senza alcun beneficio per i cittadini.

Ma se il prezzo è indipendente dai costi, il profitto dell'impresa aumenta anche nel caso in cui la riduzione di costo derivi da fattori esterni non dipendenti dal comportamento dell'impresa: in tal modo il profitto si converte in pura rendita. Inoltre, proprio l'obiettivo del profitto fa sì che l'impresa privata non tenga conto degli effetti negativi che la riduzione dei costi può avere sulla qualità dei servizi né avrà incentivo a realizzare investimenti costosi quali quelli richiesti da manutenzione e miglioramenti della rete di distribuzione dell'acqua che generano benefici sociali di lungo periodo.

L'Autorità Pubblica non ha modo di ovviare a questi problemi, punendo l'impresa nel caso di cattiva qualità del servizio e di perdite nella rete idrica. Uno dei motivi è che la rete idrica è nel sottosuolo e la sua qualità non è accertabile, quando il contratto di concessione è affidato all'impresa privata. Inoltre, soprattutto nel caso di contratti di lunga durata, si possono verificare eventi esterni, non prevedibili al momento del contratto e non verificabili dalle parti, che influenzano i costi degli investimenti e della gestione dell'infrastruttura. Ne consegue la non dimostrabilità delle cause ultime di un'eventuale perdita o interruzione del servizio: comportamento non adeguato dell'impresa, eventi sopravvenuti o iniziali cattive condizioni della rete idrica. Il risultato è che l'Autorità Pubblica non può richiedere l'intervento di un terzo esterno (giudice) per punire l'impresa.

Infine, è opportuno rilevare che, a causa delle elevate economie di scala che caratterizzano il settore idrico, le imprese private sono spesso multinazionali operanti in diversi settori. Tale aspetto, unitamente alla necessità di garantire la fornitura del servizio, pone l'Ente locale in una posizione contrattuale di debolezza rispetto all'impresa privata, in caso di rinegoziazione del contratto per eventi imprevisti (es. aumenti dei costi), comportando inevitabilmente una modifica dei termini contrattuali a favore dell'impresa privata.

Alla luce di queste considerazioni ritengo che il «governo» del servizio idrico dovrebbe articolarsi sui seguenti punti:

a) proprietà pubblica della rete e gestione pubblica dell'infrastruttura e della fornitura del servizio idrico, sottratta alle logiche del profitto;

b) partecipazione e controllo diretto da parte dei cittadini e dei lavoratori alla gestione del servizio;

c) trasferimenti centrali agli Enti Locali per finanziare investimenti infrastrutturali.

Ciò richiama la necessità di rimettere in discussione il processo d'attuazione di un federalismo fiscale che - così come va delineandosi - inevitabilmente comporta la privatizzazione forzata dei servizi locali.

E' un compito irrealistico? Può darsi, ma forse la sinistra ha perso anche per aver scambiato per «realismo» la mancanza di coraggio nell'avanzare proposte davvero alternative rispetto a quelle che sono presentate come direzioni ineluttabili del mutamento nella organizzazione della cosa pubblica.

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