Gli spazi dei centri commerciali sono da considerarsi pubblici, o privati? È una questione ad esempio aperta da tempo anche in alcuni insediamenti britannici del tipo new town, dove le scelte della progettazione architettonica hanno mescolato spazi civici collettivi e spazi commerciali, privilegiando però forme a galleria chiuse e semichiuse che prima o poi hanno posto o tuttora pongono il problema.
Il caso forse più curioso è quello del Maine Mall a South Portland, Maine, dove la polemica, con alcuni strascichi anche legali, ha interessato da un lato il management di gestione del complesso di immobili, dall’altro nientemeno che l’Esercito della Salvezza. I volontari suonavano le loro campanelle per raccogliere offerte vicino agli ingressi principali del mall, ma sono stati invitati ad allontanarsi perchè il rumore “disturbava alcuni negozianti e clienti”. Alla fine di proteste varie (pare anche da parte di altri “negozianti e clienti”), i miti raccoglitori di offerte hanno potuto tornare al loro ragguardevole introito di circa 50.000 caritatevoli dollari l’anno, ad una condizione: sostituire le campane d’ordinanza con cinture e bretelle a campanellini, graditi alla direzione.
E naturalmente il problema si pone e si porrà, probabilmente in modo meno clamoroso ma più grave, quando di fronte all’onnipotente Simon Property Group (manager del Maine Mall e di altri trecento circa negli USA) dovessero porsi non le campanelle dei temperanti, ma i banchetti di una raccolta firme sgradita, o un volantinaggio sindacale, uno spettacolo di strada ... insomma tutto quanto fa parte integrante della corrente vita urbana, in qualunque strada o piazza.
Ma per quanto ancora, questo tipo di vita urbana sarà “corrente”? E fino a che punto gli spazi a vario grado di formalizzata privatizzazione del centro commerciale si sono già sostituiti a quelli della città?
Ad un punto preoccupante per quanto riguarda il caso americano, di cui ancora il Maine Mall offre un intero campionario. Basta scorrere i dati sull’argomento nel comprehensive plan di South Portland, la circoscrizione municipale di 25.000 abitanti che “ospita” fisicamente questa articolata struttura commercial-terziaria di scala regionale, che è la principale fonte di occupazione locale. E poi le lamentele degli espliciti oppositori alla sua continua crescita.
Enormi investimenti pubblici per migliorare le infrastrutture di accesso metropolitano e di comunicazione interna, congestione da traffico, difficoltà per la pianificazione locale ad impostare una politica di mixed use che spezzi il blocco monofunzionale di un enorme settore urbano. E parallelamente, la crisi verticale del distretto commerciale metropolitano tradizionale esistente, Greater Portland Downtown, con la crescita dei vuoti, degli edifici sfitti, e dell’insicurezza, della criminalità ... C’è anche chi invita addirittura a “fare libero shopping in città, anziché farsi spiare dal Grande Fratello”, riferendosi alle telecamere della sicurezza, che discutibilmente spiano i clienti in ogni anfratto del mall, e con la scusa della sicurezza invadono la privacy.
E come sempre accade (Esercito della Salvezza a parte) le truppe che si fronteggiano in campo sono come al solito alcuni cittadini, una parte dell’amministrazione locale, e sull’altro fronte la grande impresa proprietaria e/o di gestione del distretto commerciale. A South Portland c’è il gigante Simon.
Simon Property Group, Inc., è una compagnia con quartier generale a Indianapolis, Indiana, con investimenti orientati principalmente alla acquisizione e/o gestione di spazi commerciali, in primo luogo malls di scala metropolitana e regionale, o shopping centers di dimensioni urbane. Attraverso proprie articolazioni o in forma associata, possiede o ha interessi in poco meno di 300 proprietà, per una superficie commerciale lorda di circa 20 milioni di metri quadrati in 37 stati USA, oltre ad altri interessi vari di tipo immobiliare.
Recitava con licenza poetica John Donne nel suo brano più famoso: “ Every man is a peece of the Continent, a part of the maine”. E qui la sua licenza poetica casca a fagiolo, perché aver usato “ maine” anziché “ main” per dire “il tutto”, ci può far tradurre con altrettanta licenza “Ogni essere umano è parte del Maine”. Anche noialtri, che so, di Merate (LC), o di San Rocco al Porto (LO), tanto per citare a memoria, siamo parte del Maine, e soprattutto delle sue rogne con Simon Property Group. Perché come ci informava discretamente il bollettino di Wall Street dello scorso 17 novembre 2003, si era finalmente trovato “ An American Partner for Rinascente for the Ownership and Development of Shopping Malls”.
I gruppi Rinascente e Simon annunciavano di aver firmato l’accordo per una joint venture riguardante la proprietà, gestione, realizzazione di shopping malls in Italia, attraverso una società denominata Gallerie Commerciali. Si parte da 38 centri commerciali già esistenti ed operanti, su circa 250.000 metri quadrati, e da parecchi progetti in vari stadi di realizzazione o progettazione, per altri circa 450.000. Letteralmente: “La società ha lo scopo di consolidare una posizione di leadership sul mercato nazionale, attraverso il contributo in risorse e in know-how da parte del nuovo socio americano”.
Simon Says: Ciao Italia!Così titola, un paio di giorni dopo l’annuncio, la rivista specializzata Retail Traffic, specificando che il maggior gruppo americano ha intenzione di “svilupparsi lungo tutto lo stivale”, nel quadro dell’espansione europea e globale di tutti i grandi operatori.
E agli italiani al momento non resta nemmeno la possibilità di dire, che so “Ciao Simon”, o qualcosa del genere, perché nella migliore strategia di accostamento a nuovi mercati, il consumatore continuerà a vedere i marchi familiari, rappresentati in questo caso soprattutto da Auchan, il principale anchor delle gallerie commerciali targate Rinascente.
Per capire se e quando è cambiato qualcosa, basterà forse andare con una campana davanti all’ingresso principale di Merate, o San Rocco al Porto o chissà dove altro, e vedere cosa succede, e vedere se siamo diventati tutti “parte del Maine”.
Perché la nota citazione di John Donne, è – quasi ovviamente - quella che si conclude con “E dunque non mandare a chiedere per chi suona la campana: suona per te”.