«Per tenere insieme i suoi valori, uguaglianza e fraternità, la socialdemocrazia ha sempre avuto bisogno di molti soldi, di crescita economica e forte tassazione, per pagare un sistema di welfare che è diventato il vanto del Vecchio Continente, ma oggi ne è anche la soma».
Corriere della Sera, 20 giugno 2015, con postilla
Come i dinosauri, anche il gigante della socialdemocrazia rischia l’estinzione? Le dimissioni presentate ieri alla regina di Danimarca da Helle Thorning-Schmidt, la più glamour dei leader della sinistra europea (Renzi escluso), sembrano l’ultimo segno di un destino crudele, e forse irreversibile, che si sta abbattendo sulla storia centenaria del riformismo. La vicenda danese è altamente simbolica. La giovane premier, sposata col figlio di Neil Kinnock, storico capo del laburismo britannico, non esce infatti di scena per una delle solite oscillazioni del pendolo elettorale; ma è stata travolta dal boom di quella destra anti-immigrati che dal circolo polare in Norvegia fino alla linea gotica in Italia sta rubando voti alla sinistra in nome di un «sacro egoismo» nazionale.
È il male oscuro che divora le radici di una storia ispirata all’uguaglianza e alla fraternità. Per tenere insieme i suoi valori la socialdemocrazia ha sempre avuto bisogno di molti soldi, di crescita economica e forte tassazione, per pagare un sistema di welfare che è diventato il vanto del Vecchio Continente, ma oggi ne è anche la soma. La spesa pubblica non può più essere la misura della giustizia sociale, e la sinistra riformista non ha ancora trovato un altro modo di finanziarla. A soffrirne di più sono proprio gli elettori del tradizionale blocco sociale progressista. Nei quartieri dove sono nati il sindacato e il movimento cooperativo ora si aggirano disoccupati, giovani maschi arrabbiati, ceti medi impoveriti ed esposti alla concorrenza dei nuovi arrivati per la casa, per il lavoro, per l’assistenza.
Nelle società senza poveri, in Svizzera o negli Emirati, i lavoratori stranieri fanno meno paura, anzi, sono accettati come i nuovi servi. Ma non è così a Rotterdam, ad Anversa, o a Dresda. La sinistra riformista ha finora trovato una sola risposta: l’appello alla tolleranza e al cosmopolitismo. Ripete l’antico mantra di Roosevelt, non dobbiamo aver paura che delle nostre paure. Ma la gente ha paura lo stesso. Anche quando non va a destra, è attratta da un nuovo populismo non meno nazionalista, come Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, e Grillo in Italia. La socialdemocrazia sta perdendo la battaglia delle idee. E se un movimento politico smette di saper parlare al presente può anche estinguersi, come successe ai liberali inglesi in pochi anni dopo la Grande guerra, o come profetizza Houellebecq accadrà tra breve ai socialisti francesi. Per quanto Renzi non faccia parte, né per cultura né per stile, della storia della sinistra socialdemocratica, neanche il suo Pd può ritenersi immune da questo sommovimento continentale. Neanche la ripresa economica, di per sé, mette oggi al riparo dalla rabbia e dalla paura. Alla danese Helle, di certo, non è bastata.
postilla
Il vicedirettore del Corriere della sera ha evidentemente dimenticato le sue letturegiovanili. Altrimenti ricorderebbe cosa accadde quando i “padroni delvapore” furono costretti a ridurre i loro profitti riducendo così lo sfruttamento in patria ed “esportarono lecontraddizioni” del sistema capitalistico, allargando l’area dello sfruttamentoad altri popoli e ad altri gruppi sociali. E’ certamente noto anche a lui che questomodo del sistema capitalistico di “salvarsi” ha prodotto, saccheggi, attizzato fuochi e disperazioni in ogni partedel globo, generato ribellioni e guerre. Sa certamente che guerresono utili al sistema capitalistico perché le spese militari contribuiscono acreare una domanda di merci che tiene in piedi quel sistema. Ci rendiamo contoche via Solferino è lontana dal Vaticano, e che nelle stanze del Corsera èdifficile formulare l’idea che ridurre drasticamante le spese militari, e lagigantesca lievitazione delle rendite finanziarie, potrebbe contribuire a garantirela sopravvivenza del welfare dove c’è, e magari a estenderlo dove ancora nonc’è. Ce ne dispiace un po', perchè Poilito è un bravo giornalista e il Corriere un giornale spesso interessante.