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Jim Yardley
Pechino: almeno vivibile, per il 2008
5 Dicembre 2007
Clima e risorse
La (impossibile?) sfida urbanistica e ambientale della capitale cinese. The New York Times, 28 agosto 2005 (f.b.)

Titolo originale: Beijing’s Quest for 2008: To Become Simply Livable – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

PECHINO, 27 agosto – C’è uno schermo vicno a Piazza Tiananmen che conta i giorni che mancano ai Giochi Olimpici dell’estate 2008, e ogni giorno appare prezioso: Pechino deve realizzare o rinnovare 72 impianti sportivi e strutture di allenamento, asfaltare 59 nuove strade e completare tre nuovi ponti entro la cerimonia di inaugurazione.

Un compito che travolgerebbe la maggior parte delle città, ma Pechino è tanto efficiente nel versare cemento che il Comitato Olimpico Internazionale ha chiesto di rallentare, anziché terminare le realizzazioni troppo presto. Molto più difficile per Pechino sarà, invece, mantenere la promessa di ospitare un’Olimpiade “verde”, oltre all’obiettivo della nuova variante del piano regolatore generale: diventare “una città sostenibile per abitare”.

”È un concetto nuovo per noi” ha dichiarato Huang Yan, vice direttrice della commissione urbanistica, presentando il piano regolatore in aprile. “Non ci avevamo mai pensato prima”.

Per i 15,2 milioni di abitanti di Pechino, quel commento non rivela niente di nuovo. La città è intasata da ingorghi di traffico, col numero delle automobili che è più che raddoppiano in soli sei anni. La qualità dell’aria, dopo anni di continuo miglioramento, di recente si è assestata per alcuni indici, e ha iniziato a peggiorare per altri, mentre Pechino si colloca sempre fra le peggiori città del mondo per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico. La fornitura idrica è tanto al limite, che molti esperti hanno chiesto il razionamento.

Anche con l’incombente obiettivo delle realizzazioni olimpiche in corso nei settori settentrionali della città, il sindaco aggiustatutto Wang Qishan ha dichiarato che i suoi pensieri sono rivolti spesso a questioni non-olimpiche. In un discorso all’inizio dell’anno, Wang diceva di essere assediato dalle proteste pubbliche, e “le questioni calde sono sempre spazzatura, fogne, gabinetti pubblici e traffico”. La città è piena di migliaia di vecchie e puzzolenti latrine pubbliche, che sta velocemente cercando di sostituire.

”Ovunque guardo” ha riportato l’organo ufficiale governativo in lingua inglese China Daily, “sembra che ci siano problemi”. L’unica persona che non si lamenta, secondo il sindaco, è sua moglie.

Non è sicuro, che Pechino riesca a tradurre il suo teorico abbraccio alla “vivibilità” in veri miglioramenti nella qualità della vita, in una città che spesso appare come un immenso cantiere (ce ne sono, più o meno, 8.000 aperti).

Gli osservatori sono scettici. Attribuiscono le attuali intenzioni dichiarate di Pechino al fallimento delle precedenti politiche di piano, e incolpano il governo per uno sviluppo rampante, che ha distrutto molta parte della città storica, producendo il guazzabuglio di quella nuova emergente.

”La cattiva urbanistica degli scorsi decenni è diventata motivo di imbarazzo per l’amministrazione” dice Wang Jun, il cui libro best-seller, “Storia di una città”, documenta la demolizione di molti quartieri storici “ hutong”, le vecchie e densamente popolate énclaves di vicoli stretti e tortuosi con le cadenti case a corte.

Wang afferma che Pechino non si è mai ripresa dagli anni ‘50, quando il principale storico dell’architettura nazionale Liang Sicheng ammoniva che distruggere gli hutongs avrebbe portato a traffico e inquinamento, e chiedeva urgentemente a Mao di conservare le antiche mura Pechino. Invece, Mao le demolì in quanto simbolo del feudalesimo cinese.

Più di recente, gli hutongs sono stati demoliti spostando un imprecisato numero di migliaia di persone, per far spazio alle migliaia di nuovi intervento che si sono ingoiati la città.

”Ora le vecchie previsioni sono realtà” dice Wang dell’inquinamento e del traffico.

La costante pressione, su Pechino e le altre città cinesi, è quella dell’immigrazione. La Cina è nel mezzo di uno dei momenti di urbanizzazione più rapidi della storia, con 300 milioni di persone che si prevede migreranno verso le città nei prossimi 15 anni.

La popolazione della sola Pechino potrebbe superare i 21 milioni entro il 2020, se la crescita continua al ritmo di oggi.

La signora Huang dice che gli urbanisti sono stati obbligati e rivedere le priorità. Pechino ora comprende una vasta area geografica, per la maggior parte montagnosa e punteggiata da villaggi rurali.

Il nuovo piano generale vuole creare centri satellite suburbani per allentare le pressione demografica sul centro. L’industria manifatturiera, per esempio, sarà concentrata a est, l’alta tecnologia a ovest. La signora dice che l’accesso limitato all’acqua e le carenze energetiche nazionali hanno reso essenziale una pianificazione più attenta.

”Nel passato, non pensavamo alla questione delle risorse” dice. “Ci concentravamo esclusivamente sullo sviluppo”.

Il Partito Comunita al potere considera le Olimpiadi come il comitato di benvenuto della Cina verso il resto del mondo, e tutta Pechino sta aspettando il 2008. Il governo ha deliberato che i principali progetti vengano completati diversi mesi prima della cerimonia di apertura. Le strutture olimpiche saranno terminate entro la fine del 2007.

Ma non è ancora chiaro se Pechino sarà in grado di rispettare gli obiettivi della propria promessa olimpica “verde”. I funzionari si sono impegnati a spostare alcune fabbriche, a chiuderne altre. Migliaia di camion e taxi pesantemente inquinanti sono stati sostituiti da veicoli con rigidi limiti per quanto riguarda le emissioni.

Lo scorso anno, i funzionari municipali hanno festeggiato quando Pechino, anche se solo per un pelo, ha rispettato l’obiettivo di 227 giornate cosiddette “Cielo Azzurro”, basato sui livelli di tre principali sostanze inquinanti nell’atmosfera.

Ma alcuni abitanti erano tanto scettici da accusare il municipio di manipolazione dei dati. Un recente rapporto dell’ufficio ambientale dell’ambasciata USA a Pechino ha riconosciuto l’incremento delle giornate “Cielo Azzurro”, ma sottolinea che gli standards utilizzati sono meno rigidi di quelli americani. Il rapporto rivela che il numero dei giorni con “livelli di inquinamento estremamente nocivi” è caduto da 17 a 5, e che l’indice generale è invece risalito sull’arco annuale.

Lo studio ha anche rilevato che i livelli di alcuni particolati nell’aria erano di parecchie volte più alti che nelle principali città americane, e che Pechino potrebbe non raggiungere l’obiettivo dell’adeguamento ai criteri di qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2008.

L’impennata nell’auto privata – il cui numero sta raggiungendo i tre milioni – diminuisce i vantaggi ottenuti dalle azioni su camion e taxi inquinanti. Le auto private sembrano sempre più incombenti sulla città, e il comune risponde con una frenetica costruzione di strade, anche se si espandono metropolitane e ferrovie leggere. “Essenzialmente, è come usare il modello Los Angeles per risolvere il problema di New York” commenta lo studioso Wang Jun.

Los Angeles, naturalmente, potrebbe anche fornire un po’ di ispirazione a Pechino, avendo ridotto drasticamente i propri livelli di inquinamento.

Anche ora, ci sono momenti in cui l’inquinamento cade, e Pechino si rivela per quello che potrebbe essere. In agosto, dopo una serie di forti piogge, il cielo era oltremodo azzurro e si vedeva chiaramente il cerchio di montagne irregolari attorno alla città.

Ma sono giornate rare. Non lontano dalla Piazza Tiananmen, l’ufficio urbanistica municipale offre qualche immagine di come si spera apparirà Pechino entro il 2008, con un impressionante modello in scala: il quartiere degli affari snello gruppo di torri avveniristiche; il complesso olimpico che si eleva elegante a nord, circondato da spazi verdi; l’antica Città Proibita al centro.

Appare tutto ordinato, persino possibile, ma forse è solo perché manca qualcosa di importante: in quel modello non ci sono quasi persone, o automobili.

Nota: il testo originale al sito del New York Times (f.b.)

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