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Tomaso Montanari
Patrimonio senza soldi
6 Ottobre 2012
Beni culturali
Ironia amarissima sul disastroso stato delle risorse pubbliche per il nostro patrimonio culturale. Corriere del Mezzogiorno, 5 ottobre 2012 (m.p.g.)

In ogni discussione sulla sorte del patrimonio storico e artistico della Nazione, e specie di quello meridionale, arriva sempre il momento in cui uno degli interlocutori tira fuori un argomento in apparenza definitivo: «Non ci sono soldi».

Da questa premessa si fanno discendere una serie di conseguenze, tra loro assai diverse ma unite da una caratteristica precisa: sono tutte contrarie alla funzione costituzionale del patrimonio stesso, che è quella di produrre conoscenza e cultura, e attraverso di esse, eguaglianza e cittadinanza.

Questi ‘rimedi’ alla mancanza di denaro pubblico sono: grandi mostre di cassetta (anzi Grandi Eventi), prestiti forsennati di opere delicatissime, iperrestauri a rotta di collo, cessioni di sovranità pubblica a sponsor privati che ‘marchiano’ i monumenti e molto altro ancora. L’opzione alternativa è spesso quella peggiore: non ci sono soldi, dunque che il patrimonio vada pure in rovina.

Il mantra del «non ci sono soldi» era già difficile da sostenere prima, visto che nel Paese con l’evasione fiscale più grande dell’Occidente è un po’ dura pensare davvero che ‘non ci siano soldi’: il problema, semmai, è il fatto che preferiamo lasciare quei soldi nella disponibilità dei privati. Gli stessi privati a cui, poi, chiediamo l’elemosina della beneficenza al patrimonio.

Ma ora – dopo le feste in costume romano della Regione Lazio, dopo la notizia che il Ponte sullo Stretto ci è costato 300 milioni di euro solo per non esistere, dopo che si apprende che agli incliti consiglieri regionali campani viene distribuito un milione l’anno –, beh, ora è un po difficile pensare che il problema sia davvero che i soldi non ci siano. Semmai, il punto è cosa vogliamo farne, di questi benedetti soldi pubblici.

Ma niente paura: quando avremo definitivamente perduto Pompei, potremo sempre nascondere la nostra vergogna calzando una maschera. Naturalmente, una maschera da maiale.

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