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Salvatore Settis
Patrimonio culturale: la svendita di Tremonti
24 Marzo 2004
Beni culturali
Un nuovo articolo di Salvatore Settis su Repubblica del 5 marzo 2003. “Aste, svendite e partite di giro lo Stato dice addio ai suoi tesori - Vincoli aggirati, pareri soppressi, dismissioni in blocco: gli effetti della legge Tremonti sul patrimonio culturale”.

CHE STA succedendo sul fronte della dismissione del patrimonio artistico di proprietà pubblica? Dopo le polemiche sulla legge Tremonti dello scorso 15 giugno, uno strano silenzio circonda il destino dei nostri monumenti. Nessuno contesta che lo Stato possa vendere una parte dei propri beni (cosa che infatti si è sempre fatta), ma quella parte del patrimonio pubblico che è di riconosciuto valore storico-artistico era sempre stata inalienabile.

Quella legge, al contrario, per la prima volta nella storia italiana abbatteva a cannonate la barriera fra demanio pubblico e demanio artistico rendendo tutti i beni dello Stato disponibili ai meccanismi della cartolarizzazione e della vendita, in un gioco di bussolotti fra la "Patrimonio dello Stato s.p.a." e la "Infrastrutture s.p.a.", come questo giornale ha chiaramente spiegato. La debole garanzia di una preventiva intesa con il ministro dei Beni culturali, peraltro limitata ai soli monumenti "di particolare valore artistico e storico" non è bastata a tranquillizzare le coscienze di chi ha a cuore il futuro di questo Paese, tanto più che di quelle preoccupazioni si fece subito interprete il capo dello Stato, con una lettera al presidente del Consiglio.

Se quelle preoccupazioni sembrano ora meno pressanti a una parte dell’opinione pubblica, non è certo per la vaga e fumosa risposta di Berlusconi (che anzi peggiorava la situazione negando l’evidenza), ma per una direttiva emanata dal Cipe il 19 dicembre, che fissava precisi paletti "etici" alla dismissione dei beni artistici, e soprattutto per le dichiarazioni del ministro dei Beni culturali.

Da alcuni mesi, infatti, Giuliano Urbani non solo ha spesso affermato che avrebbe presidiato il patrimonio artistico scongiurandone la dismissione, ma ha anche detto nel modo più esplicito che la nuova codificazione delle norme di tutela, in preparazione a cura di una commissione presieduta da Gaetano Trotta, avrebbe messo al primissimo posto l’inalienabilità del patrimonio artistico e avrebbe accresciuto, non diminuito, le garanzie di tutela, in conformità con l’articolo 9 della nostra Costituzione. Il livello dei giuristi della commissione Trotta e la creazione, in parallelo, di un Consiglio scientifico per la tutela hanno dato credibilità alla nuova strategia del ministro.

È dunque giunta l’ora di mettere le nostre preoccupazioni nel cassetto? Sarà vero, come ha scritto recentemente il Giornale, che chi protestava a gran voce deve ora ammettere che c’era cascato come un ingenuo? Ahimè, no. Non c’è ragione di dubitare delle dichiarazioni di Urbani, ma intanto il suo collega di governo Tremonti percorre, ignorandole bellamente, una strada diametralmente opposta, e ha già cominciato a svendere il nostro patrimonio culturale. Veniamo ai fatti, incontestabili. Il primo fatto si nasconde sotto una sigla evocativa, Scip, che sta per "Società per la Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici", creata, si badi bene, prima della "Patrimonio spa", con la legge 410 del 23 novembre 2001. Passata allora inosservata, questa legge introduceva in realtà una norma dirompente: essa infatti, come hanno scritto Giacomo Vaciago e Salvatore Parlato, si fondava «sull’idea di dismissione in blocco unico del patrimonio immobiliare dello Stato mediante il conferimento a una o più società veicolo appositamente costituite»; non solo, ma «allo scopo d’addivenire a soluzioni di first best» veniva «eliminata la procedura di richieste di pareri e limitata la possibilità di apporre vincoli». In altri termini, la norma è concepita in modo da evitare lo scomodo passaggio attraverso il parere del ministero dei Beni culturali, al punto che la stessa inclusione di un determinato immobile nelle liste pubblicate dal ministero dell’Economia, secondo la legge «produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile» (art. 3, c. 1), sottraendoli al demanio artistico (per sua natura inalienabile), e rendendone in tal modo agevole la vendita. Come si vede, non siamo solo nell’anticamera della "Patrimonio spa", ma in un meccanismo ancor più radicale, «la manifestazione di una chiara volontà da parte del governo di voler procedere a una massiccia dismissione del patrimonio immobiliare» (Vaciago).

Questa norma non è rimasta lettera morta: come ha rivelato sul Giornale dell’arte di febbraio Gaetano Palumbo (del World Monuments Fund), si è già proceduto attraverso la Scip a una prima asta di 35 beni di proprietà pubblica, da Milano a Palermo, da Genova a Trieste. Si badi bene: la legge prevede esplicitamente che gli immobili da porsi in vendita con questa procedura «non sono soggetti alle autorizzazioni di cui al d.l. 490/1999», cioè al Testo Unico sui Beni culturali, ed esclude ogni diritto di prelazione nell’acquisto da parte di tutti gli enti pubblici, centrali e locali (art. 3, c. 17). Viene in tal modo elusa anche la procedura per «l’alienazione di beni immobili del demanio storico e artistico» fissata dal governo precedente con Dpr 283/2000, e più volte richiamata dal ministro Urbani come garanzia contro le dismissioni troppo facili.

Non è tutto. Un nuovo d.l. (n. 282), datato 24 dicembre 2002, e cioè in clima non di Natale ma di Finanziaria, e convertito in legge n. 27 il 21 febbraio scorso, ha introdotto con un colpo di mano il concetto di «dismissione urgente», mettendo in vendita «a trattativa privata, anche in blocco» in una trentina di città italiane svariati immobili, di cui 27 appartenenti all’Ente Tabacchi. «La vendita fa venire meno l’uso governativo, le concessioni in essere e l’eventuale diritto di prelazione spettante a terzi», continua la legge. Fra gli altri immobili velocissimamente posti in vendita figura la Manifattura di Firenze, edificio monumentale già vincolato dal ministero (che non è stato nemmeno consultato), ma dismesso da Tremonti in dispregio delle leggi e delle dichiarazioni del suo collega Urbani, per quanto già destinato a "Cittadella della Cultura". Un altro esempio è la Manifattura di Milano, già destinata alla Scuola Nazionale del Cinema (che dipende dal ministero dei Beni culturali), e letteralmente "scippata" da un ministro all’altro. In molti casi, l’acquirente risulta essere la Fintecna, e cioè una società privata (ex Iri), ma controllata dallo stesso ministero dell’Economia: così per esempio l’edificio di Tor Pagnotta a Roma, dove hanno sede uffici del ministero delle Finanze, non sarà più proprietà dello stesso ministero, ma di Fintecna, che tuttavia è da esso controllata, e a essa dovrà pagare l’affitto, con un’operazione, suppongo, di finanza "creativa", o meglio fittizia. Il vulnus inferto da questa legge alle norme di tutela, ma anche alla credibilità delle dichiarazioni governative, getta un’ombra sinistra sul futuro del nostro patrimonio monumentale e ambientale. Dovremo assistere impotenti a nuovi scippi come questi?

Senza accumulare altri esempi (sarebbe facile), preferisco finire con una domanda. Quale è, su questo fronte, la politica del governo, dov’è la verità? Nelle dichiarazioni di Urbani, o nelle dismissioni di Tremonti? O dovremo pensare che il presidente Berlusconi, pur così poco incline ad apprezzare la cultura islamica, si è convertito alla dottrina della doppia verità professata dai seguaci dell’arabo Averroè?

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