«Il Consiglio dei ministri riduce i poteri di intervento dell'Anac, poi di fronte alle polemiche, soprattutto dei renziani, torna indietro. Gentiloni costretto da Washington a cercare al telefono il presidente dell'Anticorruzione: rimedieremo subito». il
manifesto, 21 aprile 2017
Un’ora di colloquio ieri tra Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, e l’ad Consip Luigi Marroni. L’Anac indaga sull’appalto da 2,7 miliardi finito nelle inchieste delle procure di Napoli e Roma, che hanno coinvolto il padre di Matteo Renzi, Luca Lotti e il cerchio magico renziano. Ma dall’ultimo Consiglio dei ministri l’Anac è uscito con le armi spuntate. Nella nuova versione del codice degli appalti, approvata in Cdm il 13 aprile, è previsto che «All’articolo 211 del decreto legislativo del 18 aprile 2016, n. 50, sono apportate le seguenti modificazioni: il comma 2 è abrogato». Il comma 2 consentiva all’Anac di intervenire in caso di gravi irregolarità con sanzioni e tempi certi, più brevi di quelli della giustizia ordinaria. L’intervento dell’esecutivo scavalca il parlamento, sollevando polemiche e dubbi sulla legittimità dell’atto.
L’iniziativa era del tutto inattesa dall’Anticorruzione. Un caso Anac è un brutto scivolone per il governo, con Renzi che sembra di nuovo aver fretta di votare così. Nel tardo pomeriggio di ieri è arrivata la marcia indietro: «Nessuna volontà politica di ridimensionare i poteri dell’Anac – sottolineano fonti di palazzo Chigi. Il presidente Gentiloni, in missione a Washington, è stato in contatto con Cantone. Sarà posto rimedio già in sede di conversione». I primi a prendere le distanze erano stati i relatori Pd in commissione lavori pubblici del senato, i renziani Esposito e Mariani: «È un atto grave e i responsabili devono assumersene la responsabilità». Esposito aveva poi aggiunto: «Ho sentito Gentiloni e mi ha assicurato che verrà tutto ripristinato con la manovrina». La legge delega sul codice degli appalti approvata un anno fa era il frutto della stagione dei grandi scandali Expo e Mafia capitale. Ieri pomeriggio un lancio di agenzia sottolineava che i poteri soppressi in Cdm non sono finora mai stati attivati dall’Anticorruzione. Ma le indagini Consip, che dall’imprenditore Alfredo Romeo si stanno allargando ai competitor Cofely e la coop rossa Manutencoop, avrebbero potuto sollecitare interventi urgenti.
Partono all’attacco i 5 Stelle, che all’Anac hanno presentato un esposto sul salvataggio dell’Unità: «Un partito coinvolto in Trivellopoli e Mafia Capitale – commenta Luigi Di Maio – non potrà mai fare regole anticorruzione certe». E Roberta Lombardi: «Il Cdm o non ha capito nulla o è complice. Chi ha scritto quella riga è sconosciuto al momento, in l’Italia non si sa neanche chi scrive o riscrive le leggi». Il ministro della giustizia e candidato a segretario Pd, Andrea Orlando, aveva sollecitato un’ulteriore riflessione. «Se prima delle primarie ci fa sapere di quale governo è ministro e in quale Cdm siede possiamo capire cosa pensa», lo attacca il renziano Ernesto Carbone.
Chi ha cancellato la norma mettendo in imbarazzo il governo? Nel preconsiglio dei ministri la norma c’era, poi nell’ultima riunione è stata abrogata sulla base di un parere del Consiglio di Stato: fonti ministeriali ricostruiscono così la decisione, presa per evitare di assegnare «eccessivi poteri» all’Anac cioè il potere di sanzionare imprese o sospendere atti senza passare dal giudice. I renziani non vogliono passare per i mandanti e contrattaccano: «Il Consiglio di Stato è impegnato a smantellare le riforme del governo Renzi». In serata arriva il commento dall’Anac: «Il potere della “raccomandazione vincolante” che è stato soppresso è un elemento qualificante del nuovo Codice per il suo effetto di deterrenza nei contratti pubblici». Filtra, inoltre, perplessità per il fatto che la norma non sia stata discussa né ci sia stato un confronto in sede parlamentare, considerato che con le commissioni e i relatori c’era stata «una proficua collaborazione» durante l’iter del provvedimento.