«Il cemento usato come gomma per cancellare il passato, l'alta percentuale di migranti, le arance che un tempo davano ricchezza, i dintorni desolati. Un luogo intenso come pochi altri che almeno una volta nella vita bisogna visitare». Il manifesto, 3 giugno 2016 (p.d.)
Non sapevo nulla di questo paese, non sapevo che fosse leggermente rialzato dal piano come una torta nuziale. Ci sono stato poco. Non conoscevo questo paese e non credo di averlo incontrato. Ho visto qualcosa, qualche scena. Una sensazione di un film un po’ mesto, vagamente polveroso. C’era un cielo grigio che attenuava l’urlo delle cose. Ho visto un paese che si muove in macchina anche per spostamenti millimetrici. Hanno pensato a consumare il suolo, ma hanno cura di non consumare le suola.
C’è una piazza dove i vecchi stanno in mezzo e guardano la strada che gira intorno. Mi hanno detto che è la piazza centrale del paese. A me quando ci sono arrivato è sembrata una piazza di periferia.
Sono stato due giorni in un senso di grigiore e la cosa è strana nella luminosa Calabria. Il grigio delle nuvole e il grigio delle case non dipinte. La differenza è tra quelle che hanno solo l’intonaco grigio e quelle che hanno solo i mattoni. Qualcuno prova ad aggiungere qualche fregio, ma il tentativo di bellezza qui è riservato all’interno. È davvero singolare la differenza tra le facciate spoglie e gli interni sospesi tra il barocco e il kitsch. Comunque non ha molto senso parlare di bellezza e di bruttezza. Qui c’è un’intensità, sia dentro che fuori. Rosarno è uno dei posti da conoscere assolutamente. Si può dire che ha una sua unicità. È anche il luogo d’Italia con la più alta percentuale di stranieri. Gli africani li vedi subito. Ed è abbastanza facile riconoscere anche le badanti polacche. Più difficile accorgersi che esiste una foltissima comunità di bulgari. Ci fanno perfino un mercato con la merce che viene dalla Bulgaria.
Non so dare un ordine a questo testo, mi piace procedere alla rinfusa. Penso alla cena a casa di Pasquale Reitano. Mi ha raccontato la sua vita. L’emigrazione in Germania, i lavori nei campi. In questo paese si è sempre lavorato tanto. Non è una comunità di accidiosi. I pilastri del non finito calabrese prima che di cemento sono composti di lacrime e sudore.
La voglia di parlare delle persone. La signora che al museo mi aspetta sulle scale, sorpresa della brevità della mia visita. Il museo è bellissimo. Non ci sono insegne per dire dove si trova. Se uno arriva a Rosarno non lo capisce che il paese di adesso viene da un luogo molto antico. Il cemento usato come gomma per cancellare il passato.
Quando si ha tanta bellissima natura intorno viene quasi voglia di intaccarla. E poi qui c’è l’azione congiunta dei cittadini e dello Stato. Verso il mare si vedono le gru del porto di Gioia Tauro. La visita al porto è stato il punto più basso del mio passaggio calabro. Mi sono disteso sulla spiaggia. Mi è piovuta addosso una grande tristezza. Gioia Tauro è uno dei più grandi fallimenti della politica italiana. Il pescatore davanti a me dice che non sta pescando niente. Io ho dato un poco del mio panino a un cane. Le case davanti alla spiaggia mi commuovono per la loro bruttezza. Ecco il pericolo di questa zona: la sindrome di Stendhal alla rovescia.
Ho parlato con poche persone. La conversazione più lunga l’ho avuta con un calzolaio. Una brava persona. Ho avuto l’impressione che le persone parlano volentieri con i forestieri. Vogliono raccontare dei bei tempi passati, i tempi in cui le arance davano ricchezza. Sono le arance ad aver partorito tutto questo cemento. Ora il paese se ti metti in ascolto non può che raccontarti il suo disagio.
Non so cosa mi avrebbero detto se avessi parlato con gli stranieri. Prendono venti euro al giorno, cinque se li prendono i caporali. Notizie attinte a cena. Non ho svolto ulteriori indagini. Non sono un giornalista e credo che il paese sia stato raccontato fin troppo dai giornalisti ai tempi dello scontro tra gli africani e le persone del posto.
Girare per il paese e invece di prendere appunti entrare in un negozio che vende prodotti per l’igiene. Comprato un dentifricio per denti sensibili, due confezioni di bagno doccia al profumo di mirra. Prima avevo comprato la bomba calabrese anche se so che a casa già ne abbiamo molta.
Non ho preso nessun appunto, ho visto molte donne in macchina. Ho visto alcuni africani in bicicletta alle cinque del mattino. Ho visto poco.
Uno dei ragazzi che mi ha invitato a Rosarno è marchigiano. Architetti giovani con buone idee, ma i progetti li fanno gli altri. Questi ragazzi arrivano quando tutta l’edilizia che si poteva fare è stata fatta. Ora si parla di cuciture, rigenerazione. Sono architetti di questo tipo che mi invitano alle loro iniziative, non quelli che fanno girare le betoniere, quelli che sanno come convincere i sindaci.
Per capire Rosarno mi sono mosso anche nei dintorni. Sono arrivato fino a Vibo Valentia. Ho cercato paesi desolati e li ho trovati. Non mi sono segnato il nome di questi paesi, non ho denunce da svolgere. E poi a chi dovrei indirizzarle? In uno di questi paesi c’era un signore non anziano fermo sul ciglio della strada. Seduto su una sedia a rotelle. Era solo, e l’ho ritrovato allo stesso posto anche un’ora dopo, fermo a guardare se passava qualcuno. I paesi ci sono, vedi qualche macchina parcheggiata, ma qui in Calabria il senso di vuoto si mischia col senso di disordine, desolazione e incuria.
Cerco consiglio a un ragazzo per il mio telefonino. Armeggia senza molta convinzione, alla fine ci riesco da solo a risolvere il problema. Lui è qui, ma ogni tanto parte, va a fare il cameriere al Nord. Non mi ricordo il suo nome. Paesologo svogliato.
Volevo andare al Comune e non ci sono andato. Quando la giovane giornalista mi ha accompagnato il primo giorno in giro per il paese io ero un poco perso nelle mie ansie. Più che ascoltare in certi giorni preferisco guardare le scene della vita. Ecco una donna che stira, il signore che telefona, due persone che parlano di malattia su una panchina, un piccolo branco di adolescenti. I gesti della vita quotidiani sono abbastanza simili in qualsiasi posto. Io devo parlare di questo paese, chi mi ha invitato immagina che io posso scrivere qualcosa di interessante. E invece mi pare di zampettare nell’ovvio, forse l’unica soluzione è che l’ovvio sia almeno lucente, non abbia aloni e offuscamenti.
A cena i figli di Pasquale mi sono sembrate brave persone e anche la madre, e anche il cibo. La sera prima avevamo cenato in uno di quei ristoranti in cui ci puoi passeggiare dentro. E ci hanno dato del vino in una bottiglia così brutta che ci è sembrato brutto anche il vino: potenza della confezione.
Non ho nulla da dire sulla criminalità. Girando per strada non si vede né quella piccola né quella grande. Io ho guardato i muri, i balconi, ho guardato gli angoli delle strade, le carte per terra, non riesco a costruire discorsi su come potrebbe essere questo luogo. Ho provato una sincera simpatia per i ragazzi che mi hanno invitato. Abbiamo avuto anche una bella conversazione appena sono arrivato, peccato che è durata poco.
Se fossi uno del posto proporrei di chiamare Rosarno col suo nome antico: Medma. Ripartire dai primi abitanti del luogo, arrivare di un soffio ai giorni nostri, ribaltare l’idea di essere un problema, Rosarno deve immaginare di essere una soluzione.
La cosa che mi ha colpito è stata scoprire che Salvatore Settis è di Rosarno. Non so che rapporto abbia col paese. Immagino non sia un rapporto facile. I suoi concittadini hanno fatto tutto il contrario di quanto lui vorrebbe. E comunque ho la sensazione che qui il problema non è economico. Se l’economia riparte è facile immaginare che riparte anche il cemento. Allora la faccenda è sistemare la Calabria, decementizzarla. Bisogna portare qui non tanto i soldi ma un gusto estetico più semplice e asciutto. Molta gente si dissangua per riempire le proprie case di oggetti orrendi.
Il paese non ha bisogno che siano nuovamente pavimentate le sue piazze. Bisogna togliere le buche dall’asfalto.
Non seguo un filo. Ora mi viene in mente che mi hanno accompagnato da un’anziana donna che vede se hai il malocchio. Rimanenze dell’arcaico. Ci sarebbe un lungo discorso da fare su come l’arcaico oggi è l’unico futuro che ci resta, ma ora ho un po’ paura di imbarcarmi in teorie e congetture. Ci sono dei luoghi che muovono la lingua e altri che la paralizzano. Posso dire che sono contento di aver visto Rosarno e ci tornerò volentieri. È sicuro che è uno dei posti che non si dimenticano. Consiglio a tutti di andare almeno una volta nella vita a Rosarno. In Italia ci sono pochi posti che hanno la stessa intensità.