«Il titolo della legge, attesa in aula al Senato, promette di tutelare le aree protette cambiando governance e regole. Insorgono 17 associazioni ambientaliste sostenendo che i partiti e gli interessi locali si spartiranno poltrone e non sapranno arginare le brame di industriali, petrolieri e cacciatori.». Il Fatto Quotidiano online, 24 ottobre 2016 (c.m.c.)
Le mani della politica sui parchi, sempre più ostaggio di spartizioni e interessi locali, con un presidente e un direttore che possono non saperne niente di ambiente e si ritrovano esposti alle pressioni dei privati che pagano royalty per inquinare, costretti poi – al momento del rinnovo delle concessioni – a scegliere tra la conservazione della natura senza compromessi e la possibilità di intascare qualche euro per far fronte alle croniche ristrettezze economiche.
È questo, secondo gli ambientalisti, il destino dei parchi nazionali d’Italia se il testo della riforma della legge sulle aree protette, approvata lo scorso 20 ottobre dalla commissione Ambiente del Senato e atteso in aula, non verrà modificato. «Questa riforma non fa altro che accentuare il politicismo dei parchi indebolendo il loro ruolo principale che è la tutela della natura», denuncia il direttore del Wwf Gaetano Benedetto, sintetizzando la posizione di 17 associazioni ambientaliste che hanno diffuso un documento con tutte le modifiche necessarie perché la legge non tradisca nei fatti i buoni propositi enunciati dal relatore Massimo Caleo, vicepresidente Pd della commissione ambiente. «Il Parlamento ha saputo mettere a punto un provvedimento che finalmente aggiorna la legge sui parchi alle nuove esigenze degli enti, rafforzando le finalità di conservazione dell’ambiente e aprendo nuove opportunità di sviluppo sostenibile», ha annunciato il senatore in pompa magna subito dopo il voto, lasciando sconcertate le associazioni.
In balia degli interessi locali
A mettere in allarme gli ambientalisti è la modifica delle regole sulla composizione dei consigli direttivi dei parchi, uno degli organi principali nella gestione delle aree protette soprattutto per tutte le questioni economiche. Oggi la metà dei membri vengono dagli enti locali, portatori dunque degli interessi del territorio, mentre l’altra metà è designata a livello statale, e rappresenta gli interessi di conservazione della natura.
Con la riforma questo equilibrio rischia di rompersi, perché tra le nomine statali la legge prevede che accanto al rappresentante delle associazioni ambientaliste e a quelli di ministero dell’Ambiente e Ispra ce ne sia anche «delle associazioni agricole nazionali più rappresentative» (finora era scelto dal ministero dell’Agricoltura). Cioè un imprenditore agricolo del territorio, portatore di interessi economici legittimi, ma non proprio sovrapponibili a quelli di protezione dell’ambiente. Nei fatti, fa notare chi è d’accordo con il testo, è già così: i ministeri da sempre scelgono i loro referenti politici locali, ma per la presidente del Wwf Donatella Bianchi, «si rischia di sbilanciare i consigli verso gli interessi territoriali, diversi dalla conservazione della natura. Tra l’altro, ci sono categorie altrettanto importanti, come quella del turismo, che non vengono minimamente considerate».
Non fanno dormire tranquilli gli ambientalisti neanche i criteri per la scelta dei vertici dei parchi: «Il ddl non dice chiaramente che presidente e direttore devono avere specifiche competenze sulla conservazione della natura. Il rischio è che il presidente sia una figura più politica e che il direttore venga scelto sulla base delle sua capacità gestionali, che sono importanti ma non devono essere separate da specifiche competenze naturalistiche», continua la presidente del Wwf. In gioco c’è il lavoro stesso dei parchi, che da enti di tutela della natura rischiano di diventare ancora di più terreno di lottizzazione politica.
Per qualche euro in più
Anche la questione delle royalty si sta rivelando un vero e proprio cavallo di troia. Le legge prevede che i parchi ricevano direttamente le somme pagate da chi sfrutta il patrimonio naturale del parco o le aree contigue per attività economiche già autorizzate. Parliamo per esempio di concessioni di derivazione d’acqua per produrre energia idroelettrica, di permessi per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi o ancora di concessioni per l’ormeggio di imbarcazioni. Un contentino per compensare le aree protette delle magre risorse messe a disposizione dal ministero dell’Ambiente? Il rischio, dice il presidente della Lipu Fulvio Mamone Capria, è che «le royalty diventino merce di scambio e che i parchi siano incentivati all’allargamento delle concessioni al momento del rinnovo».
Fuori le doppiette dai parchi
Gli ambientalisti vorrebbero anche che il testo escludesse definitivamente i cacciatori dai parchi nazionali, dove oggi sono ammessi per attività di controllo delle specie invasive o troppo numerose, come i cinghiali. «Chiediamo che per queste attività si scelgano sistemi ecologici e a ridotto impatto ambientale per gli ecosistemi del parco. Gli animali possono per esempio essere catturati e poi macellati altrove. L’ingresso con le armi nei parchi deve essere l’extrema ratio, e comunque deve poterlo fare solo il personale dell’area protetta, non cacciatori e guardie venatorie», denuncia ancora Mamone Capria.
La frattura
Mentre le 17 associazioni ambientaliste hanno ritrovato l’unità per combattere contro un testo che la Lipu definisce “pessimo”, e in cui, secondo il Wwf, «in nome della semplificazione si rischia di perdere di vista la tutela della natura», Federparchi, il “sindacato” delle aree protette, non esita a definire il provvedimento «un grande passo avanti per l’Italia dei parchi». E se il presidente di Federprachi Giampiero Sammuri minimizza le differenze, dicendo che «con gli ambientalisti siamo d’accordo quasi su tutto», il direttore del Wwf Gaetano Benedetto rilancia: «Federparchi ha dato il via libera in consiglio direttivo al ddl che poi è andato in votazione in commissione, le associazioni hanno presentato un testo di critica a quel provvedimento. La fotografia è questa, non ce n’è un’altra». Un particolare da non dimenticare è che il testo affiderebbe a Federparchi la piena ed esclusiva rappresentanza delle aree protette, anche se trattandosi di un’associazione volontaria aderirvi in teoria non è obbligatorio.
Le differenze di posizione sono evidenti. Alle critiche delle associazioni, Sammuri replica che «nei consigli direttivi con la riforma non si crea assolutamente uno sbilanciamento. Le royalty sono una buona cosa, anche perché una volta costruiti e autorizzati con le concessioni, gli impianti in questione non potrebbero comunque essere smontati e portati via». Sulle competenze dei vertici, spiega che «è giusto che il direttore abbia soprattutto competenze gestionali, perché deve far funzionare la macchina del parco. Il presidente deve essere una figura politica e non un esperto di temi naturalistici, così come il sindaco non deve essere esperto di viabilità o gestione dei rifiuti. Il provvedimento è molto positivo su alcuni aspetti pratici che chi milita nelle associazioni ambientaliste non ha chiari o non ritiene abbastanza importanti. Uno su tutti l’accorciamento dei tempi per la scelta del presidente, che è fondamentale».
Quale riforma?
Il testo andrà in aula al Senato a partire dal 25 ottobre. Poi dovrà passare alla Camera. Se tutto va bene, la riforma arriverà nel 2017. «Non so se ci sarà l’apertura che le associazioni ambientaliste stanno chiedendo, perché alcune questioni sono strettamente connotate secondo la moda politica del momento: scivolamento sull’ambito territoriale, federalismo improprio, concetto economico che viene sempre prima nonostante la Costituzione dica altre cose», dice un po’ abbattuto il direttore del Wwf Benedetto. E mentre il presidente della Lipu minaccia le barricate in mancanza di emendamenti migliorativi da parte del Parlamento o del governo, quello di Federparchi dice: «So già che non ci saranno tutte le cose che chiediamo, ma non per questo mi incatenerò davanti alla Camera o al Senato».