3 agosto 2017
CISGIORDANIA. COMPLETATI ALTRI 42 KM DI MURO
della Redazione di NENA News
Un altro tratto di muro è stato completato: 42 chilometri di barriera israeliana – la cui costruzione è iniziata nel 2002 tra Cisgiordania e Israele – sono stati aggiunti al lungo percorso. Ad essere terminato è stato il tratto nelle colline a sud di Hebron, sud della Cisgiordania, all’altezza del checkpoint di Tarquimiya.
Ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa di Tel Aviv, Avigdor Lieberman: “Il completamento del muro nelle colline a sud di Hebron è un altro passo negli sforzi del ministero per incrementare significativamente la sicurezza per i residenti dell’area e per tutti i cittadini di Israele”. Un’affermazione che ricalca le dichiarazioni degli ultimi 15 anni: Israele ha sempre descritto il muro come necessario ad evitare attentati nel proprio territorio.
Dichiarazioni smentite sia dai dati sugli attacchi che dalla stessa durata della costruzione: il muro non è mai stato terminato e non sono pochi i palestinesi che attraversano il confine per andare a lavorare illegalmente in Israele, con il beneplacito di caporali, aziende israeliane e dello stesso esercito, che spesso chiude gli occhi per garantire alle compagnie manodopera a basso costo.
La Linea Verde e in rosso il muro-barriera costruito da Israele a partire dal 2002 |
Inoltre la barriera non corre lungo il confine ufficiale tra Cisgiordania e Israele, la Linea Verde, ma entra prepotentemente all’interno del territorio palestinese mangiando ulteriori spazi poi annessi de facto a Israele: secondo i dati dell’agenzia Onu Ocha, il 9.4% del territorio della Cisgiordania è stato isolato dalla costruzione del muro. L’88% del percorso entra in territorio palestinese e la sua lunghezza è quasi tre volte la lunghezza del confine ufficiale, 712 km contro 250. In molti casi assorbe le colonie costruite lungo la linea verde e in Area C, area palestinese controllata da Israele e che rappresenta il 60% dell’intera Cisgiordania.
In cemento in alcuni tratti ma per lo più costruito sotto forma di rete elettrificata – molto invasiva perché larga oltre 150 metri che attraversano e rendono inutilizzabili le terre agricole – è stato dichiarato illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 2004, ma mai smantellato.
Secondo i media israeliani i lavori al nuovo tratto sono cominciati all’inizio del 2017 come risposta punitiva ad un attacco a Tel Aviv, compiuto nel giugno dell’anno precedente da palestinesi provenienti dalla città di Yatta, a sud di Hebron. I 42 km in questione sono stati costruiti con blocchi di cemento di sei metri, intervallati da torrette e telecamere.
5 agosto 2017, Nena News
ANCORA IN ATTESA
DI UN GANDHI PALESTINESE?
LEI/LUI C’È GIÀ
di Zaha Hassan, trad. di Amedeo Rossi – Zeitun.info
«Ogni ragazzina della Cisgiordania che attraversa un checkpoint per andare a scuola è una Rosa Parks. Ogni prigioniero che fa lo sciopero della fame è un Mandela e ogni gazawi che sopravvive nonostante le condizioni disumane è un Gandhi palestinese».
La seconda domanda (dopo “Dov’è la Palestina?”) più frequentemente posta a un palestinese-americano è: “Dov’è il Gandhi palestinese?” Gli americani vogliono sapere perché i palestinesi non utilizzano tattiche non-violente per porre fine ai loro decenni di oppressione e di colonizzazione della loro terra.
Ovviamente in questa domanda è implicita la premessa, coltivata dalla rappresentazione mediatica dell’ “arabo infuriato” e del musulmano nichilista, così come da campagne lautamente finanziate di sensibilizzazione dell’opinione pubblica che coinvolgono gruppi di lobbysti ed i centri di studio ad essi associati che dipingono tutto il Medio oriente come un covo ribollente di odio contro l’Occidente cristiano, che i palestinesi siano geneticamente predisposti alla violenza.
La verità è che, se un premio Nobel fosse assegnato a un intero popolo per la moderazione che ha dimostrato e per l’ostinata caparbietà a sopravvivere, a perseverare e a costruire un domani migliore nonostante i sistematici tentativi di eliminarlo – persino tentativi di negare addirittura la sua esistenza, come fece Golda Meir [nel 1969 in un’intervista l’allora primo ministro di Israele affermò che i palestinesi non esistevano, ndt.] – esso dovrebbe andare al popolo palestinese.
Perché, dove esiste un precedente dell’imprigionamento di 2.2 milioni di persone che sono stati resi deliberatamente dipendenti per il cibo, l’acqua e l’energia durante un intero decennio, mentre la narrazione continua a dire che è tutto giustificato dalla “sicurezza” di Israele, come nel caso delle attuali sofferenze di Gaza?
Dove c’è un precedente di sette milioni di persone a cui viene negato il diritto di tornare alle proprie case e proprietà confiscate settant’anni fa, solo perché sono della religione sbagliata, mentre nuovi insediamenti illegali si espandono freneticamente nel pezzo di terra della Cisgiordania che dovrebbe essere parte del loro Stato ancora da creare?
Dove c’è un precedente di Stati e istituzioni incaricati di difendere le leggi e la legalità internazionali che chiedono a un popolo occupato sempre più concessioni e di negoziare per legittimare crimini di guerra e per normalizzare l’esistenza dell’occupante?
La verità è che ogni ragazzina della Cisgiordania che attraversa un checkpoint per andare a scuola è una Rosa Parks [la donna di colore che nel 1955 in Alabama si rifiutò di cedere il posto in autobus a un bianco e diede inizio alla lotta per i diritti civili dei neri negli USA, ndt.]. Ogni prigioniero che mette in pericolo la propria vita per settimane intere facendo lo sciopero della fame per lottare contro la propria incarcerazione e le condizioni di detenzione è un Mandela, e ogni persona che oggi vive a Gaza e che sopravvive nonostante le privazioni disumane, è un Gandhi palestinese.
Quante altre migliaia di tappetini da preghiera devono essere srotolati nelle strade di Gerusalemme prima che la resistenza non violenta palestinese sia non solamente riconosciuta ma anche appoggiata e incoraggiata? Quante altre proteste del venerdì devono aver luogo a Bi’lin e in altri villaggi in Cisgiordania? Quante tende della pace devono essere erette e demolite a Gerusalemme e nel Naqab [Negev in arabo, ndt.]?
La vera questione, tuttavia, non è quantificare le proteste, ma garantire che altri le conoscano.
Gandhi lo sapeva. Martin Luther King, Jr lo sapeva. E il governo israeliano, l’AIPAC [l’associazione ebraica filo-israeliana più potente negli USA, ndt.] e quanti sono interessati a mantenere il dominio di Israele sulla terra palestinese lo sanno. E questa è la ragione per cui vergognosi esempi di legislazione come la legge 720 del Senato contro il BDS [movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, ndt.] stanno circolando nelle aule del Congresso. La legge, stilata con la collaborazione dell’AIPAC, lo farebbe diventare un reato punibile fino ad un massimo di 20 anni di carcere e una multa fino a 1 milione di dollari per il fatto di sostenere l’uso di metodi economici non violenti contro Israele.
Potete immaginare Rosa Parks che sconta 20 anni di prigione per aver organizzato il boicottaggio degli autobus segregati? O Martin Luther King Jr. obbligato a pagare un milione di dollari per aver boicottato ristoranti razzisti con posti separati?
Dovrebbe essere chiaro a tutti noi che punire il diritto di espressione che ha lo scopo di porre fine a un’ingiustizia è sbagliato. Quando si vedono i fatti, gli americani lo capiscono. E lentamente ma inesorabilmente alcuni membri del Congresso che inizialmente erano stati co-promotori della legge con un tipico riflesso condizionato, una deferenza cieca verso l’AIPAC, stanno vedendo chiaro, come la senatrice Gillibrand, che, quando è stata messa in guardia dall’ACLU [American Civil Liberties Union, Unione Americana per le Libertà Civili, organizzazione non governativa che difende i diritti civili e le libertà individuali negli USA, ndt.] sulle preoccupazioni relative al diritto di parola e a problemi di incostituzionalità della legge e sfidata da elettori durante un’assemblea comunale, ha espresso la sua volontà di riconsiderare il suo appoggio [alla legge].
Così, mentre CNN e Fox News [due importanti reti televisive statunitensi, ndt.] possono non informare sulle centinaia di migliaia di palestinesi che hanno pregato nelle strade di Gerusalemme la scorsa settimana, protestando contro il tentativo mascherato di Israele di esercitare la propria sovranità sulla Spianata delle Moschee, questi accaniti tentativi legislativi da parte dei difensori di Israele per porre fine all’appoggio alla resistenza non violenta nei territori occupati o all’estero stanno accendendo riflettori da stadio di football sui problemi.
Attivisti del movimento progressista si rendono drammaticamente conto di come le loro libertà civili vengano minacciate in nome della protezione dell’occupazione di Israele sui palestinesi. Allo stesso modo, quando le linee aeree USA hanno messo in atto la legislazione israeliana che impedisce ai difensori dei diritti umani di viaggiare in Israele (compresi ebrei-americani, uno dei quali è un rabbino), gli americani hanno visto il rapporto tra questo fatto e gli abominevoli divieti di viaggio [si riferisce alla proibizione di ingresso negli USA dei passeggeri provenienti da alcuni Paesi musulmani, ndt.] perseguiti dall’amministrazione Trump.
I palestinesi ed i loro sostenitori dovrebbero sperare (e pregare nelle strade) che Israele continui a rivelare la natura della sua oppressione contro di loro, e al contempo continuare a perseguire metodi collaudati e non violenti per riportare la giustizia e lo stato di diritto, perché si giunga ad una vera comprensione delle cause e delle soluzioni del conflitto israelo-palestinese.
Non c’è un modo più efficace per mettere in luce un’ingiustizia e per modificare la percezione sbagliata ad essa associata che attraverso lo stesso oppressore. Rosa Parks, Dr. King e Gandhi lo sapevano e lo sanno anche i palestinesi e quelli che solidarizzano con loro.