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Vezio De Lucia
Paesaggio italiano aggredito: che fare?
25 Ottobre 2007
Il paesaggio e noi
L’ampia scaletta della relazione introduttiva al convegno indetto dalla Provincia di Roma e dal Comitato per la bellezza, il 25 ottobre 2007

1. Cronache del disastro immanente

1.1. Comincio con il disegno di legge, in discussione al Senato, che riguarda le modifiche alla normativa sul cosiddetto sportello unico per le imprese, primo firmatario Daniele Capezzone. Il ddl, già approvato dalla Camera dei deputati il 24 aprile nel più assoluto silenzio, è sintetizzabile nello slogan: un’impresa, ovunque e comunque in soli 7 giorni. Lo slogan contiene i due maggiori pericoli: la collocazione di impianti produttivi anche in deroga alle norme urbanistiche e paesaggistiche e l’eccezionale esiguità dei tempi. Gli impianti produttivi oggetti del disegno di legge sono tutte le attività: beni e servizi, agricoltura, commercio e artigianato, turismo, intermediazione finanziaria, telecomunicazioni. Si prevede per ogni Comune l’istituzione dello sportello unico e ad esso sono attribuite tutte le competenze inerenti ai titoli autorizzativi.

Se il progetto contrasta con lo strumento urbanistico, lo sportello unico convoca (entro 7 gg. dalla presentazione della documentazione) la conferenza di servizi degli organismi interessati in seduta pubblica. Quando la verifica di conformità comporta valutazioni discrezionali, ad es. per i profili attinenti alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico, la difesa nazionale, la tutela dell’ambiente, le amministrazioni competenti hanno 30 gg. per manifestare l’eventuale “motivato dissenso”. Se è espresso da amministrazioni in merito alla tutela paesaggistica, ambientale, della salute, la decisione finale è rimessa al Consiglio dei ministri o ai competenti organi collegiali degli enti territoriali cui appartiene l’amministrazione dissenziente. Questi organismi hanno a disposizione 30 gg. per deliberare. Immaginiamo cosa può succedere nei palazzi romani subissati dalle pratiche affluite dai comuni!

La variante allo strumento urbanistico può essere decisa dalla conferenza di servizi. La partecipazione dovrebbe essere garantita dal fatto che la conferenza è pubblica e che ad essa possono partecipare, senza diritto di voto, i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o in comitati che vi abbiano interesse e che possono proporre osservazioni in tale contesto. Ma in quale modo potranno essere avvisati e coinvolti tutti questi portatori di interessi privati o diffusi nell’inesistente tempo a disposizione? Quali Comuni, grandi e piccoli, avranno la capacità di anteporre l’interesse del territorio, resistendo alle sirene occupazionali?

1.2. L’abusivismo non finisce mai.

[Ultimi dati del Cresme: il 10% della produzione edilizia è ancora abusiva].

L’abusivismo in costiera amalfitana.

Da quasi venti anni, vige un rigorosissimo piano paesistico approvato addirittura con legge regionale. Ciò nonostante, la costiera è ormai coperta da un’edificazione abusiva che continua impunemente.

Martedì 9 ottobre, a Napoli, all’Istituto degli studi filosofici, nel corso del convegno di Italia nostra proprio sulla costiera amalfitana, Giovanni Conso, procuratore dell’antimafia, ha raccontato che ogni intervento abusivo è riconducibile al clan dei Casalesi (Casal di Principe, è la capitale mondiale della camorra, cfr. Gomorra, di Roberto Saviano). Il controllo del territorio è insomma nelle mani della malavita, anche in costiera amalfitana.

Carabinieri, Guardia di Finanza, magistratura cercano di intervenire e operano centinaia di sequestri ogni anno. Ma demolizioni non se ne vedono. L’unico esempio resta il mostro di Fuenti, demolito dopo 31 anni di accanita insistenza da parte soprattutto di Italia nostra [Antonio Iannello]

Quest’estate a Conca dei Marini è crollata una terrazza (abusiva) con un morto e molti feriti. Per qualche giorno le pagine dei giornali sono state attraversate da lampi di indignazione e da promesse di interventi repressivi esemplari. È stato denunciato dalla stampa che in alcuni comuni della costiera amalfitana (1/3 dei comuni sfornito di PRG) ci sono domande di condono più numerose degli abitanti.

È stato anche chiesto che l’Unesco rinunci a tutelare quel territorio.

Ma mi pare che già tutto sia rientrato in un’ordinaria e indifferente tolleranza.

Il comune più tartassato dall’abusivismo è Ravello, dov’è in corso di realizzazione il famigerato auditorium, un’opera esplicitamente proibita dal piano paesistico, ma poteri pubblici stolti e arroganti se ne sono infischiati della legalità.

Il progetto dell’auditorium è redatto dagli uffici comunali (arch. Rosa Zeccato) sulla base di schizzi del celeberrimo architetto brasiliano Oscar Niemayer.

L’operazione è stata accompagnata da un’invadente campagna di stampa, purtroppo sostenuta da oltre 200 importanti politici e intellettuali, ambientalisti, giornalisti, con la quale si è tentato di tacitare le critiche sulla legittimità dell’intervento e sull’opportunità di costruire un auditorium in un luogo della costiera amalfitana già congestionato dal turismo, mentre a Napoli, a Salerno e in tutta la Campania mancano spazi per la musica.

1.3.La regione Umbria autorizza e agevola la manomissione dei centri storici.

Un disegno di legge recentemente approvato dalla giunta regionale si pone l’obiettivo soprattutto di rivitalizzare, riqualificare e valorizzare i tessuti storici. L’esito è inaudito, gli interventi che si prevedono sono in netto contrasto con i principi fondamentali che hanno ispirato la cultura italiana del recupero (unico vanto del nostro paese). Trovo sconcertante che la proposta venga dall’Umbria, cioè dalla regione dove sta Gubbio, la città nella quale, nel 1960, fu approvata l’omonima Carta, un documento d’importanza enorme, che stabilì il carattere unitariamente monumentale dei centri storici (prima non era così, prima si consideravano solo i singoli monumenti, o i complessi di monumenti, a parte il tessuto anodino che li circondava). La Carta di Gubbio, com’è noto, ispirò anche la legge ponte del 1967 e il successivo decreto ministeriale sugli standard urbanistici (allora le leggi si rifacevano al meglio delle elaborazioni culturali).

Il disegno di legge dell’Umbria muove in dichiarata controtendenza con la nostra nobile tradizione, consentendo addirittura che si possa operare in deroga al decreto sugli standard del 1968, laddove non consente, nei centri storici, di superare le densità edilizie preesistenti [ma c’è un refuso nel testo del ddl]. Invece, secondo la regione Umbria, nei centri storici, o meglio nelle Aree di rivitalizzazione prioritaria (ARP), sono consentiti, fra l’altro, sopraelevazioni e ampliamenti, fino al 10% delle superfici preesistenti (e quindi, anche migliaia di mq aggiuntivi).

Non è questa la sede per un’analisi puntuale del testo, che inanella l’intero repertorio delle deregolamentazioni. Per ora propongo solo un appello per contrastare con determinazione l’iniziativa umbra, coinvolgendo le altre associazioni, intervenendo sulla stampa, chiedendo al governo nazionale che ai sensi dell’art. 9 della Costituzione impedisca che lo scempio vada in porto.

1.4. Concludo il panorama dei disastri immanenti citando per memoria due interventi gravissimi:

Dell’aeroporto di Siena si sono recentemente occupati i giornali. Il piccolo scalo di Ampugnano attualmente serve circa 13.000 passeggeri all’anno. Con l’ampliamento previsto dovrebbero diventare 500.000. “Un progetto così – ha dichiarato Alberto Asor Rosa – non può che portare alla distruzione di questa terra bellissima”.

Del parcheggio del Pincio tratterà Paolo Berdini, in prima linea nell’opposizione allo scempio.

2. Restituire allo Stato centrale i poteri di tutela

Sono tante le direzioni che si possono prendere per tentare di contrastare con qualche efficacia l’assalto che sta definitivamente distruggendo il nostro territorio. In questa sede mi sembra che meriti di essere assunta come prioritaria l’opposizione al trionfante oltranzismo regionalista, che non viene solo dalla Lega, restituendo importanza ai poteri centrali dello Stato, che invece irresponsabilmente e pavidamente cedono alle richieste di disarticolazione.

2.1. Cominciamo dal Codice del paesaggio. Fra le modifiche proposte dalla cosiddetta Commissione Settis che sta rivedendo il Codice del paesaggio è prevista la cancellazione del primo comma dell’art. 145 del Codice. Il testo che si chiede di cancellare è il seguente:

“Il Ministero individua ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione”.

Penso che alcuni di voi riconoscano il lessico (risalente a Massimo Severo Giannini) del glorioso e da trenta anni disatteso art. 81 del DPR 616 del 1977, quando ancora esisteva la funzione centrale di indirizzo e coordinamento che opportunamente il Codice aveva recuperato, limitandola alla tutela.

Non so quali sono le ragioni che motivano la scelta, secondo me gravissima, che viene assunta proprio quando si contesta la mancanza di indirizzi unitari nelle intese sottoscritte fra ministero e regioni (Toscana, Campania, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, eccetera), giustamente temendo un’insostenibile frantumazione della strategia di tutela fra regione e regione o, ancora peggio, fra provincia e provincia, laddove, con artifici formali, si sta procedendo alla formazione di piani paesaggistici coincidenti con i piani territoriali di coordinamento.

La norma in bilico è tra l’altro l’unica che imporrebbe di dotare il ministero di una struttura apposita e di alto profilo scientifico – di cui oggi non c’è traccia – per l’indispensabile coordinamento dell’attività delle direzioni regionali in materia di pianificazione paesaggistica e per il raccordo con le altre pianificazioni di settore (difesa del suolo e parchi). E sarebbe una garanzia per le regioni.

2.2. No alla c onvenzione europea del paesaggio. Com’è noto, secondo la Convenzione europea del paesaggio – predisposta dal Congresso dei poteri locali regionali del Consiglio d’Europa, firmata dal governo italiano a Firenze il 20 ottobre 2000, approvata con legge 9 gennaio 2006, n. 14 – il paesaggio è una determinata parte del territorio, così com’è percepita dalle popolazioni; inoltre, secondo la Convenzione, il paesaggio costituisce una risorsa favorevole all’attività economica e può contribuire alla creazione di posti di lavoro (le citazioni sono tratte dal Preambolo e dall’art. 1).

Questi e altri enunciati della Convenzione non convincono, in quanto la subordinazione del valore paesaggistico alle percezioni dei cittadini direttamente interessati a eventuali trasformazioni e, ancor più, la funzionalizzazione del paesaggio allo sviluppo economico sono obiettivi evidentemente in contrasto con l’assunzione della tutela del paesaggio fra i principi della Costituzione repubblicana (art. 9) e con la tradizione della legislazione e delle politiche di settore, anche prima dell’unità d’Italia. Insomma, almeno in teoria, nel nostro paese il paesaggio è sempre stato inteso come la fisionomia del territorio, la sua forma, la sua qualità estetica. Un paesaggio può essere più o meno bello, oppure brutto, ma il termine è sempre espressione di un giudizio estetico. Comunque, un valore in sé, svincolato da ogni subordinazione, soprattutto dalle convenienze locali, e quest’impianto concettuale è opportunamente ricordato in ogni occasione di dibattito su attentati alla bellezza del territorio.

2.3. Serve una legge per i centri storici. Walter Veltroni quando era ministro dei Beni culturali propose un ottimo ddl per i centri storici (come definiti dai piani comunali) da sottoporre, ope legis, a vincolo di tutela ai sensi della legge 1497/1939. La proposta era stata studiata da Antonio Iannello nel 1997, poco prima della sua scomparsa, e fatta propria dal ministro. Lo stesso Veltroni ha dichiarato pubblicamente che ritirò la proposta dopo aver raccolto un parere nettamente negativo dell’INU. È bene ricordarselo.

2.4. Serve una legge per il contenimento del consumo del suolo. La proliferazione urbana – si legge in un documento dell’UE del 2004 – aumenta la necessità di spostamento e la dipendenza dal trasporto privato, che a sua volta provoca una maggiore congestione del traffico, un più elevato consumo di energia e l’aumento delle emissioni inquinanti. In questo campo l’Italia è assente, mentre in tutti i più importanti paesi europei nell’ultimo decennio sono state avviate politiche concretamente mirate a impedire la dissipazione del territorio:

- la Germania, nel 1998, governo Kohl, ministro dell’Ambiente Angela Merkel, ha elaborato un piano nazionale per la riduzione del consumo del suolo da 130 a30 ettari giornalieri

- la Gran Bretagna, che protegge da quasi settanta anni con le sue green belt un milione e mezzo di ettari – il 12 per cento del paese –, ha scelto una strada differente, fissando l’obiettivo di soddisfare, mediante riciclo delle aree urbane esistenti, una quota di nuova edificazione, definita localmente, e comunque non inferiore al 50-60 per cento

- per evitare la dispersione urbana, in Francia, le leggi sul paesaggio rurale e la montagna impongono che le nuove edificazioni avvengano esclusivamente in continuità con i nuclei insediativi esistenti.

Per approfondire il tema del consumo del suolo cfr. No Sprawl, Alinea, 2006.

In Italia, non se ne parla nemmeno, e infatti il consumo del suolo continua in modo sfrenato.

È stato calcolato che se nel PRG di Roma si fosse applicato il modello tedesco, l’espansione massima sarebbe stata di 3.350 e non di 15.000 ettari!

Il ritardo della situazione italiana è presente nel programma del governo Prodi che propone di varare una nuova legge quadro per il governo del territorio che operi secondo i seguenti criteri: evitare il consumo di nuovo territorio senza aver prima verificato tutte le possibilità di recupero, di riutilizzazione e di sostituzione.

Ma finora il programma è disatteso.

3. Politica, antipolitica e movimenti. Poi una bella notizia

3.1. La nostra discussione si svolge mentre è vivace il dibattito sulle questioni che per comodità possiamo chiamare della politica e dell’antipolitica.

Mi guardo bene dall’inoltrarmi in un campo che professionalmente non mi appartiene e che tratterei in modo inevitabilmente dilettantesco, non posso tuttavia non dichiarare che il vaffanculo” non può essere un’espressione dell’impegno civile . Come se cambiare l’Italia fosse impossibile o, peggio, inutile.

In un suo recente intervento su Carta di Edoardo Salzano ha scritto che “la pressione spontanea che nasce dal basso non può durare, non può raggiungere risultati efficaci se non incontra le istituzioni: per utilizzarle, per trasformarle o per formarne di nuove”. Sono pienamente d’accordo. Guai se le associazioni storiche e più importanti, e quelle più recenti come il nostro comitato, si atteggiassero a contropotere. Un contropotere che sarebbe inevitabilmente autoreferenziale. Le istituzioni non possono essere considerate pregiudizialmente un avversario.

Vanno benissimo, insomma, i confronti critici , anche aspri , finalizzati però alla soluzione dei problemi, senza inconcludenti fughe in avanti.

[Ok al coordinamento dei comitati toscani, cfr. Violante Pallavicino. Il prologo e i 10 punti del coordinamento].

Nel documento dei 10 punti sta scritto con chiarezza che bisogna “tenere sotto controllo il territorio prima che gli interventi siano realizzati, prima che siano decisi. Ciò richiede la capacità tecnico-disciplinare e soprattutto la capacità militante di filtrare anzitempo tutte le decisioni dei consigli comunali, provinciali e regionali”.

Ciò comporta, soprattutto, una presenza puntuale nella fase della formazione degli strumenti urbanistici non solo quando quegli strumenti vanno in attuazione e ci si accorge che ci sono cose che non vanno o che sono affrontate in modo sbagliato. Fondamentale è perciò la fase delle osservazioni agli strumenti urbanistici. Almeno per quanto riguarda la mia esperienza, le osservazioni ai piani riguardano quasi esclusivamente il territorio murativo, come si dice in Toscana, sono presentate cioè quasi esclusivamente da parte degli interessi fondiari, quasi mai da parte di chi si propone di collaborare nell’interesse pubblico.

3.2. Dulcis in fundo. Concludo, a proposito di movimenti e di partecipazione, con una splendida notizia che viene, nientemeno, da Caserta e riguarda la destinazione a parco pubblico dell’area Macrico.

Il Macrico, come sanno molti di voi, è un'area centralissima, circa 35 ettari, nel pieno centro di Caserta, fino al 2001 utilizzata dall’esercito per la manutenzione dei mezzi corazzati. Subito dopo la dismissione si è costituito un Comitato per contrastare le speculazioni edilizie in agguato e per fare del Macrico il primo parco pubblico della città, senza neppure un metro cubo di cemento, recuperando solo il costruito esistente.

Il Comitato ha agito in modo esemplare. [A proposito di antipolitica]

Furono raccolte in poche settimane 10.000 firme. Nel 2002 il Comitato, non riuscendo ad avere valide risposte dall’amministrazione comunale e dai partiti, costituiva una lista civica, “Macrico verde”, che eleggeva al consiglio comunale Maria Carmela Caiola, presidente di Italia nostra.

In risposta al Comune che dichiarava di non avere i fondi per l’esproprio, il Comitato lanciò l’idea di un azionariato popolare per l’acquisto del Macrico con lo slogan 50 euro per rimanere al verde (50 euro per un metro quadro di parco) e la campagna fu sostenuta a livello nazionale da Italia Nostra.

Il 19 gennaio 2007 si è svolta una grande manifestazione – con la proiezione del film I have a green realizzato da un centro sociale – che ha visto l’auditorium pieno in ogni ordine di posti, gente in piedi, pubblico entusiasta e variegato: scolaresche, insegnanti, madri, anziani, esponenti delle associazioni cittadine, professionisti, migranti, tutti a testimoniare la grande voglia di verde.

Nei giorni scorsi la grande svolta. Il Comune acquista il Macrico. Un colpo da 185 milioni di euro, reso noto nei giorni scorsi dal sindaco.

Il merito pare che sia del ministro Rutelli. Una prima tranche di 150 milioni sarà possibile grazie al Tesoretto, i restanti 35 milioni divisi tra finanziamenti regionali sulla programmazione 2007/13 e contributi statali. Definiti anche i tempi di inizio e fine del progetto che dovrà essere completato entro il 2011. L’opportunità sta infatti nella celebrazione del 150mo anniversario dell’Unità nazionale (1861-2011), evento per il quale sono previsti progetti speciali in tutto il Paese di concerto tra governo, regioni ed enti locali. Tra le idee approvate la costruzione del Parco dell’Unità d’Italia all’interno dell’area Macrico.

Una svolta storica.

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