Un appello sul Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio è apparso sulla stampa giovedì 10 gennaio. Apparentemente un appello come tanti, fra i tanti che si rincorrono, costretti ad inseguire l'emergenza sempre più pressante del degrado del territorio. Magari un po' retorico nel linguaggio, dai toni di deferente appello al Presidente del Consiglio e al Ministro dei Beni Culturali, nel quale quell'unico richiamo ad un intervento di Prodi, suonerebbe persino ironico nell'arcaicità della datazione (marzo 2006), se il sospetto non fosse repentinamente smentito dalla seriosa magniloquenza verbale del contesto oratorio. E poi, via, lo stile è esercizio soggettivo ed appartiene piuttosto a quelle virtù non obbligatorie, come il coraggio di manzoniana memoria. Stupisce un po' anche l'insolita compagnia dei firmatari che vede radunate associazioni assai diverse per storia, tradizione, obiettivi, ambito e metodo di azione (ad esempio, chi avrebbe mai sospettato di spirito sì appassionatamente filopaesaggistico una società come Civita, tanto per non far nomi), ma si sa, alla bisogna, tutto fa brodo.
Una prima lettura conferma, però, come i contenuti rientrino a pieno titolo in quel filone della difesa del nostro patrimonio paesaggistico, assolutamente meritevole della massima attenzione e assiduamente frequentato da eddyburg, come ben sanno i nostri venticinque lettori. Che poi uno degli strumenti atti a questa difesa possa a piena ragione essere considerato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, anche questo è argomento sul quale eddyburg si è esercitato in numerosi interventi.
E però c'è in questo testo qualcosa che stride: irreparabilmente. Lo stesso genere letterario cui i firmatari lo ascrivono – l'appello - contrasta con l'evidente allusività, lievemente omertosa, dei contenuti. Vi si rimanda ad un altro testo, quello con i nuovi e definitivi emendamenti che dovrebbero interessare, in particolare, la terza parte del Codice dedicata al Paesaggio, documento preannunciato e atteso da ormai molti mesi, ma non ancora reso di pubblico dominio e ancora circoscritto ad una circolazione riservata a conventicole di iniziati. E' questa la principale, anche se non la sola, lacuna politica da evidenziare in questo appello: invece di giocare quali attori di una farsa poco chiara, in cui si contrappongono e si intersecano obliquamente posizioni, schieramenti, interessi di vario tipo - dalle considerazioni di opportunismo istituzional-politico, ai narcisismi personali di estensori passati e presenti, ministeriali e non - occorreva piuttosto richiedere un atto di trasparenza.
Pare che il testo con gli emendamenti sinora predisposto sia stato bloccato perchè si scontrerebbe con l'ostilità durissima da parte del fronte compatto delle regioni da un lato e dall'altro perchè subirebbe la fronda revanchistica interna dei fautori del primigenio impianto del Codice del 2004.
Sbagliato, ancora una volta, come già lo fu il tentativo di ugual segno della prima redazione, è stato sicuramente il metodo che ha escluso la controparte regionale da qualsiasi condivisione in fase di elaborazione: sbagliato prima di tutto perchè costituzionalmente scorretto, perchè ideologicamente inefficace, perchè politicamente velleitario. Il momento del confronto con le Regioni, componente imprescindibile di quella Repubblica cui la Costituzione affida la tutela del nostro paesaggio e a cui, piaccia o meno, ha, nel tempo, assegnato deleghe non tangenziali nell'ambito del governo del territorio, è ineludibile e aver assecondato chi ha propugnato la strada di una sorta di prova di forza centripeta (pulsione che le associazioni firmatarie paiono sottoscrivere in quel loro reiterato richiamo al mantenimento della purezza del testo sinora elaborato), è invece indizio di evidente debolezza. Debolezza politica, prima di tutto, questa, in quanto spia di un'incapacità di fondo del Ministero di agire sul piano del sostegno palese e della contrapposizione aperta (laddove occorresse) di posizioni che, a quel che è dato sapere, appaiono culturalmente ampiamente condivisibili: la paralisi quasi generalizzata delle funzioni di programmazione su vasta area da parte delle regioni ha accellerato in modo sempre meno arginabile nefasti effetti di degrado territoriale, sui quali eddyburg, fra gli altri, svolge la sua azione di denuncia quotidianamente.
Complementare a questa, e non meno grave, è quindi, d'altro lato, la debolezza di tipo culturale mostrata da chi, all'interno del Ministero, fin dalla prima ora, ha sposato una linea di apparente colloquio con l'interlocutore regionale che però si è attestata quasi sempre su posizioni di compromissione ideologica e cedimento istituzionalmente illegittimo: la prima versione del Codice, nell'ambito paesaggistico conteneva alcune sfasature culturali, quando non veri e propri arretramenti e brillava, in alcuni passaggi, per ambiguità, quando non omertà laddove avrebbe dovuto stabilire regole e paletti certi: nei tempi, nelle modalità, negli attori chiamati a intervenire.
Così che, a ben vedere, queste contrapposte pulsioni di centralismo rivendicato quasi vendicativamente, da un lato, e acquiescenze rinunciatarie dall'altro, divengono, nel loro micidiale saldarsi, la dimostrazione di una debolezza strutturale ed ideologica davvero pericolosa.
Strutturale perchè in entrambi i casi si sottace su quello che rappresenta uno dei punti di snodo della discussione, ovvero sia l'adeguamento in termini di mezzi, risorse, approccio metodologico, alle nuove istanze che il codice, in qualunque versione, verrebbe a richiedere al Ministero: apparentemente arbitro della partita, ma, nell'attuale struttura, completamente inadeguato a sostenere un ruolo di tale portata. Nessuna legge, per quanto giuridicamente “perfetta”, ha qualche speranza di efficacia laddove la struttura chiamata a renderla operativa sia di fatto in una situazione di paralisi e di impotenza.
Ma si tratta anche di debolezza ideologica, perchè è soprattutto nel confronto aperto che la contrapposizione che indubitabilmente esiste con il fronte regionale e locale in genere, può essere superata e non semplicemente rimossa, non certo nella rincorsa di un compromesso coûte que coûte che tutelerebbe solo le sicurezze di carriera di taluni grands commis e lascerebbe tutte le questioni irrisolte. E' sul piano della sfida culturale e politica nel senso più alto, che ci si può contrapporre a istanze di corto respiro quali a volte appaiono quelle sul tappeto: non solo di parte regionale, per verità, perchè la partita è davvero complessa, e va affrontata attraverso una disamina attenta e puntuale alla ricerca di una mediazione di più alto livello che può legittimare solo un Ministero che interpreti senza incertezze e ambiguità il ruolo di garante di un interesse superiore e di più ampio orizzonte di quello elettorale.
Quello che eddyburg chiede al Ministro Rutelli, adesso, è di rendere pubblico, con un atto di trasparenza e coraggio politico, un testo ormai ampiamente elaborato, aprendolo finalmente alla discussione e al confronto più ampi possibile.
Il nostro paesaggio è un bene comune fragilissimo che si può salvare solo attraverso un'azione collettiva condivisa dalla grande maggioranza della comunità che lo ha in custodia. E' solo attraverso una lenta, faticosa, tenace, ma aperta operazione di coinvolgimento culturale che si potrà perseguire un'opera di tutela duratura ed efficace nel tempo.