il Fatto Quotidiano on line, 7 luglio 2017 (m.p.r.)
Il progetto dell’Anas per unire con una superstrada il polo siderurgico di Terni con il porto di Civitavecchia risale agli anni 60, mentre i lavori partirono dieci anni dopo. Attualmente è ancora incompiuto il tratto che va da Orte al porto laziale, circa un terzo del percorso. Di questo terzo, la tratta finale, la più problematica dal punto di vista ambientale, è quella che corre da Monte Romano a Tarquinia, tratta soggetta a Valutazione di impatto ambientale (Via), il cui iter è iniziato il 3 agosto 2015.
Il percorso individuato dall’Anas si snoda per 18 chilometri e prevede 9 viadotti, 1 galleria e 2 svincoli, ed è localizzato nella vallata del fiume Mignone, una delle aree più incontaminate e ricche di bellezza del Centro Italia, tutelata dalla direttiva Habitat, volta alla conservazione degli habitat naturali di particolare pregio nel territorio europeo. Nell’ambito dell’iter della Valutazione di impatto ambientale, in data 20 gennaio, la Commissione tecnica di verifica del ministero dell’Ambiente ha espresso parere negativo al progetto, mentre, in data 15 marzo, in sede di Conferenza dei servizi tutti gli altri soggetti chiamati ad esprimersi, tranne il comune di Tarquinia ed appunto il ministero, hanno dato parere favorevole, inclusa la regione Lazio.
Adesso, la decisione finale spetta al Consiglio dei ministri che pare la adotterà in data 20 luglio. Andiamo più nel dettaglio della vicenda: ne vale la pena. Nel progetto presentato dall’Anas, secondo i tecnici del ministero dell’Ambiente che hanno redatto una corposa relazione di oltre 120 pagine, non sono stati valutati adeguatamente né l’impatto paesaggistico, né quello ambientale, compresi i rischi connessi all’inquinamento atmosferico e acustico.
Ecco alcuni significativi passi delle conclusioni del parere rilasciato dalla Commissione: “L’intervento modificherà in modo sostanziale, permanente e irreversibile il paesaggio dell’area, distruggendone la naturalità attuale. Dai foto inserimenti, si evidenzia infatti un impatto visivo insostenibile per il contesto specifico della valle del Mignone, l’arteria andrà a tagliare in due una continuità naturale, territoriale e storico culturale che invece deve essere conservata come bene di alto valore ambientale […] Il rumore e le vibrazioni, date le caratteristiche di grande valore ambientale dell’area in oggetto, si ritengono troppo elevati per poter essere accettati all’interno dei siti di importanza comunitaria (Sic) e nelle Zone di protezione speciale (Zps)”.
La stessa opinione del ministero è stata espressa dalle associazioni ambientaliste e dai comitati locali con motivate osservazioni che evidenziano, tra l’altro, come l’Anas si sia sempre di fatto rifiutata di redigere una seria Valutazione di incidenza ambientale relativa sia all’area Zps sia al Sic della valle del Mignone, cioè non abbia voluto valutare i danni che sicuramente ci sarebbero sui siti qualora l’opera fosse realizzata. Vale la pena ricordare, infatti, che la direttiva Habitat prevede la Valutazione come “un passaggio che precede altri passaggi, cui fornisce una base. In particolare, l’autorizzazione o il rifiuto del piano o progetto”. Uno studio d’incidenza incompleto, le cui conclusioni ottimistiche sono state contestate nel parere Via, ha evitato ad Anas il rifiuto o quanto meno il rischio che un approfondimento avrebbe dato risultati diversi da quelli sperati, bloccando l’iter del progetto.
Ma perché l’Anas avrebbe scelto una soluzione così impattante? Non c’erano alternative? Nel 2004, l’azienda di Stato sviluppò un diverso progetto che aggirava l’abitato di Monte Romano a Nord per poi seguire l’attuale tracciato della Aurelia bis. Progetto che, adeguato alle prescrizioni Via che ne avevano richiesto il passaggio in galleria per quasi la metà del percorso, avrebbe lasciato maggiormente integro il paesaggio che invece il progetto attuale taglierebbe in due. Nel 2007 l’Anas inoltrò il progetto al Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) per il finanziamento, ma il Cipe non lo finanziò perché lo ritenne troppo costoso. Singolare, perché per altre opere sommamente costose e perfettamente inutili come l’alta velocità e il Terzo valico, il Cipe ha chiuso non uno, ma ambedue gli occhi. Allora cosa fece l’Anas? Concepì questo nuovo progetto molto meno costoso, che infatti definì essa stessa low cost e andò avanti su di esso. Quindi, l’alternativa c’era ma costava. E allora ecco un progetto che costa di meno, che sarebbe finanziato e pazienza se è sommamente impattante.
Oggi le pressioni perché l’opera sia completata ed in breve termine sono molteplici: comunità locali, Confindustria, i soliti sindacati, Associazione dei costruttori edili (Ance) e altri, compresi organi di stampa autorevoli quali Il Corriere della Sera. La solita commedia che viene recitata ogni volta che c’è una grande opera da realizzare. Qualora il Consiglio dei ministri desse il via libera nonostante il parere negativo dello stesso ministero dell’Ambiente, questa sarebbe a tutta evidenza una decisione di carattere politico e non già di compatibilità ambientale. Sarebbe lo sviluppo purchessia. E la Valutazione di impatto ambientale una barzelletta, come del resto, diciamolo, è stata quasi sempre fino ad oggi.