Il manifesto, 6 luglio 2015 (m.p.r.)
La vittoria del «no» è la risposta a quanti hanno cercato in tutti i modi di trasformare il loro voto in un azzardo, come se il giusto diritto di un popolo di esprimersi sul suo futuro rappresentasse un rischio da non far correre ai mercati, in un contesto reso confuso nell’ultima settimana dai comportamenti ricattatori della troika ed in particolare della Bce, che ha cercato in vari modi di influenzare il voto con l’arma del panico, bloccando la liquidità agli sportelli anche se le banche sono solvibili a stesso giudizio della Bce. La democrazia non è azzardo, ma un diritto, e questo è il primo risultato del «no».
Questa vittoria è la risposta a quanti hanno voluto trasformare il negoziato su un nuovo Memorandum in un «prendere o lasciare» tutto politico, in un «dentro o fuori l’Europa», perché la posta in gioco non era solo economica ma, come è risultato evidente, era il diritto di una nazione a non accettare i diktat della dottrina ordoliberale tedesca che impone le sue regole, e a scegliere assieme in quale Europa si vuole stare. L’inclusione contro l’esclusione, secondo risultato del «no».
La vittoria del «no» ha il merito di non azzerare le prospettive di cambiamento. L’uso politico della negoziazione sul Memorandum era far capire ai popoli europei che non vi sarebbe stata altra strada se non quella tracciata da Bruxelles, Francoforte, Washington, e su tutti Berlino; che ogni tentativo di avere una idea diversa di Europa doveva essere espulsa sul nascere, prima che rischiasse di contagiare altre nazioni, altri popoli, quello spagnolo anzitutto. Con il governo di coalizione a guida Syriza le istituzioni europee e quelle internazionali (Fmi), sono costrette invece a fare i conti, e a negoziare, e in prospettiva altri governi di coalizione potrebbero essere eletti aprendo un fronte di nuove negoziazioni,terzo risultato del «no».
La vittoria del «no» è la risposta al socialismo europeo che co-governa le istituzioni nazionali e comunitarie condividendo la politica dei partiti conservatori; a ciò che è rimasto del socialismo europeo, simulacro persino dello spirito della socialdemocrazia dell’alternanza, che oggi delega con i governi di coalizione al Ppe ogni scelta sul terreno economico, sociale e politico, e fuori dalle coalizioni condivide gli stessi paradigmi e le stesse ricette del liberismo più retrivo. Il quarto risultato del «no» prova che un’altra sinistra è possibile.
La vittoria del «no» consente di mantenere vivo il tentativo di cambiare l’agenda economica europea. Le ricette dell’austerità espansiva hanno prodotto un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della gran parte delle popolazioni che le hanno subite. La Grecia è solo il caso più eclatante, ma danni sono stati procurati ovunque la troika è arrivata, oppure dove le politiche sono state da questa dettate, in Irlanda, Spagna, Portogallo, Finlandia, e Italia da Monti a Renzi.
Al contempo il debito deve essere ristrutturato perché un paese quando non è in grado di ripagare il suo debito e viene forzato a farlo, non ha alcuna prospettiva di crescita e fallisce su entrambi i fronti, quello della crescita e quello del pagamento del debito. Il quinto risultato è quello di proporre una agenda diversa: un negoziato per un Memorandum che segni una discontinuità con i precedenti, e una conferenza sulla ristrutturazione del debito.
A questo punto quale sarà la reazione delle istituzioni europee e della troika?
Un primo scenario è quello della irresponsabilità. Ovvero rigettare nei fatti il successo del «no» e perseguire come se nulla fosse accaduto l’obiettivo politico, mettere in crisi ancor più la Grecia e far cadere il governo Tsipras. Quindi nessun accordo, Memorandum o meno, e costringere la Grecia al default e alla uscita dall’euro tramite la Bce che blocca il credito al sistema bancario greco. Scenario assai rischioso per gli altri paesi dell’eurozona, perché saremmo nel campo dell’ignoto, non solo con costi elevati per la Grecia.
Un secondo scenario è quello della stupidità, in cui viene abbandonato l’obiettivo politico ma non quello economico, per cui nessuna concessione alle richieste greche sul piano delle politiche di austerità e nessuna ristrutturazione del debito. Il debito va pagato, le istituzioni europee e internazionali sono disposte ad intervenire concedendo linee di credito solo a condizione che la Grecia accetti un Memorandum 3 sulla linea dei precedenti. L’esito è il perdurare della depressione in Grecia, qualora il governo ellenico accetti pur di non dichiarare default e uscire dall’euro. Il rischio è che la crisi sistemica venga solamente rinviata a tempi futuri perché i fondamentali non mutano.
Il terzo scenario è quello della saggezza. Si riconosce la necessità della ristrutturazione del debito e si concede alla Grecia una prospettiva per far uscire l’economia greca dalla depressione con misure che non sono di osservanza liberista. I creditori rinunciano all’obbiettivo economico di breve periodo di essere ripagati, e concedono alla Grecia di accompagnare alle politiche di offerta le politiche di sostegno alla domanda, quindi aiuti non vincolati alla svalutazione interna.
Possiamo essere fiduciosi in questa Europa a guida liberista? Se dovessimo scommettere, punteremmo purtroppo sul secondo scenario. Ma vi sono variabili in gioco nel 2015, proprio quelle che la troika voleva escludere ribaltando il governo Tsipras, ovvero che alla Grecia faccia seguito la Spagna. E questo aprirebbe la strada affinché la discussione su «Quale Europa» diventi discussione politica di tutti i cittadini europei.