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Giorgio Doria
Occorre una nuova legge organica sui Piani Regolatori cittadini (1958)
11 Giugno 2006
Le posizioni degli amministratori delle giunte di sinistra e dell'INU, a fine anni Cinquanta, sul problema di quanto chiameremmo ora "rapporto pubblico-privato". Una panoramica certamente storica, ma che come sempre richiama temi ancora in buona parte aperti. Da: Il Comune Democratico, maggio 1958 (f.b.)

Mentre la scienza urbanistica e i maggiori stati esteri sono già impegnati nella pianificazione regionale, noi dobbiamo ancora risolvere i più importanti aspetti della pianificazione comunale.

A nostro avviso in Italia quel processo, che l’urbanista e sociologo americano Lewis Mumford chiama “l’ascesa e caduta di Megalopoli”, non si è ancora compiuto. Le migrazioni interne dal sud al nord e dalla campagna alla città vanno accentuandosi, e tutto lascia prevedere che continueranno per molto tempo ancora.

In ben 72 capoluoghi di provincia, sui 91 censiti dal Servizio Tecnico del Ministero dei LL.PP., si riscontrò la impellente necessità di costruzioni edilizie ad uso abitazione. Le città si debbono ancora espandere e per espandersi debbono organizzarsi.

Bastano a ciò i piani regolatori, così come oggi sono concepiti in Italia, e le leggi attuali?

No; e non è solo per la scandalosa lentezza burocratica con cui i Piani vengono passati al vaglio dall’autorità centrale che questo strumento perde il più delle volte la sua efficacia. Finché nuove leggi non modificheranno ab imis questa materia, la nostra sarà sempre una pseudo-pianificazione statica, svolta sotto il segno dell’inerzia, ispirantesi più al passato che al futuro; sarà una “pianificazione tendenziosa” dove i vari Enti e Istituti pianificheranno solo nel proprio esclusivo interesse e nel proprio settore particolare. Il Comune, che è l’ente della pianificazione urbana per eccellenza, non ha ancora a sua disposizione i mezzi per effettuarla.

Come il Parlamento italiano ha affrontato questo tema nella passata: legislatura?

Se pensiamo alla triste fine dei due progetti di legge Andreotti e Romita, affossati da quella stessa maggioranza parlamentare che li aveva presentati, non si può che concordare con il drastico giudizio espresso dal direttore della rivista Urbanistica: “Cinque anni di attività parlamentare si sono conclusi con un nulla di fatto in materia urbanistica”.

Nello stesso articolo, d’altra parte, si suggerisce uno dei temi legislativi di primaria importanza per la prossima legislatura parlamentare: “La dotazione di un fondo spese per l’attuazione dei piani da assegnare ai Comuni nel decreto di approvazione dei piani generali”. Il fondo dovrebbe infatti essere destinato esclusivamente all’attuazione delle operazioni previste dal piano, con assoluta priorità per la formazione di un demanio comunale di aree (Giovanni Astengo, “Temi urbanistici per la prossima legislatura”, Urbanistica n. 23).



Questo, di un demanio comunale vasto ed efficiente, è infatti a nostro avviso, il punto cruciale di tutto il complesso problema urbanistico. Non si tratta solo di stancare con una azione profondamente moralizzatrice la speculazione sulle aree fabbricabili, ma di dare ai Comuni il vero ed unico strumento senza il quale il piano regolatore resterà sempre un non-piano.

Giova richiamare ancora il pensiero del Mumford: “Fino a quando la proprietà singola è considerata come sacra, i bisogni più importanti della comunità devono essere delusi; ed i piani più vitali possono essere svuotati ... In regime di proprietà comunale, la terra può essere ripartita funzionalmente con riguardo ai bisogni della vita di comunità: la pianificazione si può allora occupare non dei capricci dei proprietari singoli, ma dei bisogni permanenti della comunità” ( La Cultura delle Città, ed. Comunità, 1954, p. 332).

In altri Paesi la sensibilità per questo fondamentale aspetto dell’urbanistica è più avanzata che nel nostro.

Da una parte, dobbiamo riconoscere in molti comuni di Nazioni estere una maggiore e più antica iniziativa a questo riguardo: a Stoccolma, si costruisce oggi su aree che il comune ha comperato da oltre 20 anni; Monaco, Norimberga, Heidelberg e altre città della Germania hanno da 30-40 anni un anello di proprietà comunali che circonda il centro abitato impedendo ogni espansione non pianificata.

Ma d’altra parte sappiamo pure esservi nelle legislazioni straniere strumenti giuridici per un tal fine assai più efficienti, che non in Italia.

Leggi che si ispirano al concetto di costituire, anche con espropri. una larga fascia di terreni di proprietà di Enti Pubblici intorno alle città, per destinarli ad aree fabbricabili esistono in Jugoslavia fin da prima della seconda guerra mondiale, in Turchia, in Svezia, in Brasile.

In Inghilterra tale principio viene riaffermato da tutte le leggi urbanistiche, dalle varie disposizioni raccolte nel Planning Act del 1932, alla legge laburista del 6 luglio 1947, e perfino da quella emanata nel 1953 dal governo conservatore.

Parimente in Francia dalle 1eggi del 19 luglio 1924 e 30 maggio 1932 e dal Codice dell’Urbanistica e dell’abitazione aggiornato dall’1-1-1957; e in Germania fin dai lontani Flüchtliniengesetz del 1875 e lex Adickes del 1902 fino alle altre del ‘22 e ‘31 e alle norme della Legge Sassone del ‘32.

Persino la Spagna ha varato il 12 maggio 1956 una interessante “legge sul regime del suolo e l’ordinamento urbano”, in cui si stabilisce al titolo II: “Tutti i comuni con più di 50.000 abitanti devono costituire il loro Patrimonio municipale del suolo”; al titolo III: “Mediante l’espropriazione, l’amministrazione comunale acquisisce tutti i terreni compresi in un comparto per urbanizzarli in proprio o ricorrendo ad un’impresa concessionaria”; e al titolo V si stabilisce l’obbligo da parte dei Municipi di costituire un “Preventivo speciale per l’Urbanistica”, e si fa obbligo alle Commissioni (l’equivalente dei Consigli comunali) di destinare, come minimo, il 5% del preventivo ordinario per l’acquisto di terreni, quale Patrimonio municipale del suolo.

Il corpo di tali leggi può fornire ottimo materiale di studio per quanti vorranno dedicarsi a questo problema.

Perché una cosa è certa; la legge urbanistica italiana N. 1150 del 17 agosto 1942, anche col famoso art. 18 che consente l’espropriazione da parte dei Comuni per la realizzazione del Piano Regolatore, è superata e si è rivelata inefficiente.

Il prof. Ludovico Quaroni ebbe a dire recentemente che questa “è una legge tipica del periodo fascista, per metà fiduciosa in astratto, per metà scettica in concreto”, è una legge “fatta a tavolino, rimasta, per forza di cose, senza regolamento”.

Di qui la sua scarsa efficacia, di qui le infinite contestazioni e la timidezza delle Amministrazioni comunali nei rari casi di esproprio.

Tale convincimento si è andato in Italia rafforzando in questi ultimi tempi, anche per merito dei numerosi convegni di urbanisti e di uomini politici di varie correnti, che hanno affrontato i temi connessi alla vita e allo sviluppo delle nostre città. Il convegno nazionale degli amministratori comunali e provinciali tenutosi a Roma nel 1954 sul tema delle abitazioni auspicava nella mozione conclusiva che “fosse favorita la creazione di demani comunali di aree fabbricabili”.

L’arch. Samonà, direttore dell’Istituto Superiore di Architettura, ribadiva nella sua relazione al Convegno nazionale delle aree edificabili, tenutosi a Roma nel 1955: “Una di queste radicali soluzioni da tutti auspicata, è quella dei demani comunali: il Comune, facilitato nell’acquisto da opportuni strumenti giuridici che lo mettano in grado di espropriare i terreni a vantaggio della comunità, incamerando nella più gran parte il plus valore, sarebbe in grado di attuare liberamente la pianificazione edilizia, secondo le direttive programmate dal piano generale e, ricco delle possibilità offerte dal valore incamerato col terreno, potrebbe costituire rapidamente tutti quei servizi comunali necessari alla realizzazione edilizia dei piani”.

Ad analoghe conclusioni giungeva il Convegno degli Amici del Mondo nell’aprile del 1956. Ma forse la migliore sintesi di quello che è il pensiero e la volontà degli amministratori comunali a questo riguardo si trova nella conclusione dell’o.d.g. presentato dai Sindaci di Bologna e di Genova al V Congresso di urbanistica. L’o.d.g. Dozza-Pertusio, infatti, dopo una precisa critica alla legge urbanistica del ‘42, terminava “facendo voti affinché fossero emanati gli attesi provvedimenti atti a dare ai Comuni la possibilità finanziaria di acquisire le aree necessarie alla formazione del demanio comunale, nonché a precisare le norme da adottarsi per la procedura di esproprio e per l’esercizio di prelazione”.

La mancanza di una nuova legge organica di questo tipo avrà riflessi incalcolabili non solo nel campo urbanistico, ma anche in quello amministrativo. Perché giustamente fa rilevare Cattani: “La prima conseguenza dello sviluppa nazionale, caotico, anarchico di una città è il disastro delle finanze comunali”. Una dimostrazione di come poco o nulla di positivo possano fare le amministrazioni comunali senza questa nuova legge urbanistica ci è fornita da Milano. Il piano regolatore di Milano era, infatti, il primo studio di una grande città, concepito e redatto in base alla legge urbanistica del 1942. Per realizzare un ordinato sviluppo periferico era indispensabile una politica fondiaria del Comune, unico trasformatore di aree, che si doveva realizzare con la sua proprietà fondiaria (circa 900 ettari, del valore di circa 10 miliardi a quell’epoca).

”L’operazione di realizzo di tali aree doveva servire a due scopi: uno, l’acquisto delle aree per la formazione del nuovo Centro direzionale; l’altro, l’acquisto delle aree che fossero utili alla realizzazione solo dei più immediati obiettivi del rimanente piano” (Piero Bottoni al V congresso INU).

Questo indirizzo non poté essere attuato, proprio perchè il Comune non ebbe a disposizione alcuno dei mezzi necessari. Demanio insufficiente in primo luogo e, inoltre, impossibilità economica e giuridica di crearne uno. Questa era ed è la situazione di Milano. Non diversa quella di altre grandi città: Roma ha un demanio comunale di circa 500 ha; le notizie sulle proprietà di aree degli altri Comuni sono nebulose: a Genova gli stessi uffici comunali non conoscono esattamente l’entità di questo patrimonio fondiario; indicazioni sulle superfici dei demani comunali mancano sui bollettini statistici dei principali capoluoghi di provincia e sulle pubblicazioni dell’Istat.

Siamo però in grado di affermare, sia pure per induzione, che i demani comunali sono del tutto insufficienti anche in comuni minori.

Sappiamo per esempio, da una relazione di alcuni anni fa della Lega dei Comuni democratici di Cremona, che in questa città l’attività dell’edilizia popolare ha completamente esaurito il demanio comunale in soli due anni dal ‘53 al ‘55.



I1 danno urbanistico derivante dalla mancanza di un adeguato demanio comunale è reso più evidente nei rapporti tra i Comuni e i vari Enti incaricati dell’Edilizia popolare.

Cosa succede infatti?

”INA-Casa, Case Popolari, Case Romita, ecc., chiedono ai Comuni quello che i Comuni non hanno: aree urbanisticamente qualificate e inquadrate nel programma del piano regolatore. E siccome i comuni temono, attraverso le lungaggini di un piano, di perdere tempo e, col tempo, di perdere la possibilità di vedere realizzate le case degli Enti, offrono o danno quel poco che hanno e che non dovrebbero dare: l’ultimo brandello di parco pubblico, il terreno ancora libero ai margini del campo sportivo, le lunghe strisce sui bordi delle strade nazionali, il terreno sottostante alla terrazza panoramica, il relitto triangolare tra i binari delle linee ferroviarie” (relazione di Luigi Piccinato al V congresso INU).

Oltre un milione e mezzo di vani, sono stati costruiti nel decennio 1947-57 dai vari enti (Ist. Case Popolari, Incis, INA, Comuni e Provincie, Coop. Edilizie, ecc.), in questo clima di disordine urbanistico.

Nella relazione del 1953 dell’INA-Casa già si parla di “espedienti” a cui si è costretti a ricorrere per mandare avanti il piano a causa delle difficoltà incontrate nel reperimento delle aree; oggi si parla di rallentamento del piano e perfino di impossibilità di realizzare il pieno volume degli invèstimenti.

Anche l’operazione, decisa dal CEP, dei “quartieri autonomi e coordinati”, che interessa ben 25 tra i maggiori Comuni italiani, per un complesso di oltre 230.000 vani, sortirà fatalmente modesti risultati urbanistici per consueta difficoltà dei Comuni di trovare aree adatte.Il primo lotto di quartieri è stato deliberato fin dal 21-1-54 e comprende 16 quartieri in altrettanti Comuni per un totale di 182.920 vani.

Ebbene, per l’impossibilità di trovare le aree, la maggior parte di tale lotto (per 143.000 vani), non è ancora entrato in fase di realizzazione; mentre l’inizio dei lavori è definito “molto prossimo” a Brindisi, Foggia e Torino, per un totale di 25 mila vani; l’opera si è potuta iniziare solo a Ancona e Trieste per un totale di 14.424 vani.

Accade poi nella ricerca delle aree quello che già due anni fa prevedeva Bruno Zevi, e cioè: “Gli enti sono istintivamente portati a scegliere le aree con la stessa mentalità speculatrice che contraddistingue l’edilizia privata; cercano di pagarle poco anche per avere a disposizione più fondi per le costruzioni. Questo porta alla creazione di quartieri architettonicamente pregevoli e urbanisticamente sbagliati”.

Neanche i piani particolareggiati serviranno agli amministratori comunali per impedire che questi quartieri vengano poi soffocati da una cintura di casermoni. L’edilizia e la speculazione fondiaria privata contribuiranno a isolare i “quartieri autonomi” dal resto della città.

Perciò, quello che noi amministratori comunali ci aspettiamo dai nostri Parlamentari è una legislazione organica in materia urbanistica.

I progetti-legge Andreotti e Romita daranno l’ossigeno alle stremate finanze dei Comuni, e permetteranno un più vasto sviluppo dell’edilizia?

Tutto ciò non basta. Le maggiori entrate rese possibili dalla legge Andreotti saranno fatalmente assorbite per le mille spese dei Comuni, a cominciare dal pagamento dei ratei dei mutui per la copertura dei disavanzi cronici; l’edilizia popolare non darà grandi risultati positivi se si svilupperà col metodo di isole affioranti in un caos urbanistico.

Bisogna operare più a fondo; gli stessi rapporti fra proprietà privata e proprietà pubblica vanno radicalmente ritoccati con una concezione moderna; i demani comunali dovranno dare al Comune quella autorità nella pianificazione urbana, che fino a oggi gli è mancata; si deve por termine alla situazione veramente paradossale di una legge urbanistica, da tutti ormai ritenuta superata ed inefficace, che esiste da 16 anni ed è ancora senza regolamento; bisogna portare a termine i nuovi ordinamenti della pianificazione urbana per poter affrontare anche nel nostro Paese gli indilazionabili problemi della pianificazione regionale.

Nota: per le varie potenzialità del Regolamento attuativo della Legge Urbanistica, si veda ad esempio e su un solo punto, anche il commento (precedente l’approvazione), di Giovanni Ortolani (f.b.)

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