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Valentino Parlato
Non è che l'inizio
31 Dicembre 2008
Capitalismo oggi
Il lascito del 2008: una crisi del capitalismo che minaccia di schiacciare il mondo come una noce secca. Il manifesto, 31 dicembre 2008

Anno che viene, anno che va. Un passaggio normale, ma dominato da una crisi anomala e poco domabile. Questa crisi maturata sotto i nostri occhi annebbiati e ora è esplosa e ci domina. È - come abbiamo imparato sui libri - una crisi del capitalismo, del sistema che cerchiamo di avversare, ma gli effetti più disastrosi li ha su di noi. Innanzitutto sui lavoratori diventati non più oggetto di sfruttamento e di profitto come ai bei tempi quando sostenevamo la lotta di classe, ma spesa inutile e quindi da mandare per un po' in cassa integrazione e poi alla mendicità. La crisi restringe, elimina, i margini di trattativa. La crisi è del capitalismo, ma la prima vittima è il suo antagonista, la classe operaia e con lei tutte le speranze di crescita e di benessere. Le crisi economiche producono anche la guerra, che è un modo estremo di riaffermare il potere dei ceti dominanti.

La sanguinosa aggressione dello stato di Israele contro i disperati della striscia di Gaza va collocata in questo quadro di crisi e di oscurità del futuro. Non sono i rozzi razzi di Hamas a provocare l'aggressione. Ci sono le elezioni in Israele: per vincerle bisogna essere più duri e selvaggi del concorrente. C'è l'incognita di Obama: la guerra, serve a farlo schierare per Israele e per i suoi bombardamenti criminosi.

Nel nostro mondo occidentale c'è una crisi generale delle sinistre, delle forze che in qualche modo vorrebbero uscire dalla macchina infernale del capitalismo, che diventa più feroce quando è incalzato dalla crisi. Il capitalismo è - credo io - nella sua più grave crisi, peggio del famoso 1929. Più grave proprio perché il capitalismo si è perfezionato. Non ci sono più spazi vuoti nei quali la crisi si arena. Mai come oggi vale il detto secondo il quale il battito di una farfalla a Pechino provoca un terremoto a New York.

Ma allora cosa fare? Difficile rispondere: bisogna tentare come con questo giornale facciamo da più di trentotto anni. Non cedere alle tentazioni elettorali (siamo un giornale extraparlamentare) e stare più attenti ai fatti. Fare più inchieste in tutti i campi, a cominciare dalla scuola e dal lavoro, dai lavoratori per poi mettere in piena luce i nuovi meccanismi di sfruttamento e di dominio. Davanti a noi - se ne saremo capaci - c'è l'impegno in una grande battaglia culturale. Le pagine della cultura debbono essere il centro di una continua battaglia delle idee.

Siamo riusciti, con il sostegno di lettori e compagni, a uscire vivi dal 2008. Non è stato facile (molti ci hanno sostenuto, anche se sono scontenti di noi, e la campagna «Fateci uscire» dovrebbe continuare). Ora per il 2009 siamo impegnati in una lotta ancora più difficile e per questo dovremo intensificare il rapporto con i nostri lettori. La pagina delle lettere deve diventare una piazza d'incontro, discussione, progetto, iniziativa. Siamo ancora in edicola (anche in web ci stiamo impegnando per un sito migliore) e non abbiamo nessuna intenzione o tentazione di mollare. L'anno nel quale entriamo può - deve - essere di ripresa, di approfondimento dell'analisi e di rilancio dell'iniziativa. Buon anno.

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