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Vittorio Emiliani
Non diamo ai privati i beni culturali
28 Dicembre 2012
Beni culturali
Un altro commento all’inconsistenza dell’agenda Monti per quanto riguarda la cultura (ma non solo). Esaltata nella retorica, svenduta nelle proposte e nei fatti. L’Unità, 28 dicembre 2012 (m.p.g.)
Un altro commento all’inconsistenza dell’agenda Monti per quanto riguarda la cultura (ma non solo). Esaltata nella retorica, svenduta nelle proposte e nei fatti. L’Unità, 28 dicembre 2012 (m.p.g.)

Dopo un ministro latitante, Lorenzo Ornaghi, il peggiore di una storia quarantennale,un'Agenda che assomiglia a un brodino di dado (vecchio) a fronte di un ministero per i Beni e le attività culturali vicino al collasso, all'immobilità e quindi all'impotenza contro speculatori, tombaroli, privatizzatori sciolti e a pacchetti, lottizzatori legali e abusivi, piazzisti di pale eoliche tanto inutili quanto devastanti (magari su vigneti e oliveti di pregio) e di distese di panelli fotovoltaici messe a tappezzare campi prima coltivati. Con tutto lo spettacolo dal vivo che boccheggia, riduce programmazione e spesso qualità, ricerca e avanguardia. Tutto qui lo sforzo del professor Monti e dei suoi collaboratori per un «motore» strategico come la cultura? Una paginetta palliduccia, con appena 14 righe dedicate ai beni culturali (retoricamente definito patrimonio «che non ha eguali al mondo») e le altre 17 al turismo. Che per l'Agenda sembra davvero l'unica ragione di conservazione di un complesso che vanta oltre 4.000 musei, 95.000 fra chiese e cappelle, 2.000 siti e aree archeologiche, 40.000 fra torri e castelli, migliaia di biblioteche antiche e di archivi plurisecolari, di palazzi civici ed ecclesiastici inseriti in oltre 20.000 centri storici dei quali almeno mille di una bellezza stordente, con 800 teatri storici e tanto altro ancora. Spesso ben restaurato in anni che parevano infelici e che ora ci sembrano persino felici, inserito in paesaggi mirabili, «fatti a mano» per secoli. Quella che Goethe, ammirato, chiamò, riprendendo Averroè, «una seconda natura» (la natura naturata) costruita da artisti, artigiani, artieri geniali e di gusto. Eppure il presidente della Repubblica Napolitano, agli Stati generali della cultura, aveva detto cose ben più forti e profonde esortando a desistere dai tagli e a darsi una politica perla cultura, perla ricerca, secondo l'art. 9 della Costituzione. Nell'Agenda Monti viene vantato l'avvio del progetto Pompei che - come ha giustamente rilevato Maria Pia Guermandi su Eddyburg- è tutto finanziato dalla Ue e dall'aprile scorso non ha mosso ancora un sol passo. Con quella Soprintendenza speciale di fatto commissariata.
Per i grandi musei statali la ricetta-Monti è la «partnership pubblico-privato», con lo Stato esangue che non ha euro da investire e chiede ai privati di sostituirlo cedendo loro, a quanto si può capire, la gestione e la regia tecnico-scientifica. Saremmo l'unico Paese sviluppato in cui i privati entrano nei musei statali non per dare soldi ma soprattutto per prenderne. «I privati dentro la gestione di un museo pubblico?», mi chiese stupito un importante storico dell'arte americano allorché Ornaghi lanciò la Grande Brera privatizzata. «Ma è come mettere la volpe nel pollaio...». E la storica dell'arte Jennifer Montagu, inglese, bollò l'operazione Brera (con l'Accademia di Belle Arti allontanata dal palazzo piermariniano) come «decisione vergognosa e disastrosa». Per contro l'ex ambasciatore Sergio Romano definiva «giacobini» i tanti intellettuali che - a partire da Catherine Loisel conservateur en chef del Louvre - si opponevano a quel progetto. Perché difensori del primato dell'interesse generale su quelli privati?
Cosi va l'Italia e ancor peggio andrebbe se dovesse prevalere l'idea che un patrimonio «che non ha eguali al mondo» (Monti dixit) fosse trattato come un «giacimento», una «macchina da soldi», e non come un valore strategico «in sé e per sé» (sia o no redditizio). Anche per il Pd c'è però un insegnamento. in questo mediocre capitoletto dell'Agenda Monti: ribalti il discorso e sulla cultura imposti un'orgogliosa strategia alternativa, ridia slancio e fiducia ai tanti operatori culturali (pubblici e privati) capaci, meritevoli, coraggiosi e però frustrati, preveda incentivi per i privati che vogliono essere sponsor e mecenati, restituisca entusiasmo ai milioni di italiani (e di stranieri) che amano il Belpaese, la sua arte, la sua musica, il suo teatro, le sue città, i suoi inarrivabili e minacciati paesaggi. Dica forte e chiaro che la Bellezza è un bene sociale che riguarda tutti.

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