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Nadia Urbinati
No ai finanziamenti alle materne paritarie
25 Maggio 2013
Articoli del 2013
«La consultazione riguarda 
un segmento dell’istruzione ma ha un significato nazionale e simbolico La città delle due torri anticipa tendenze generali della società».


«La consultazione riguarda 
un segmento dell’istruzione ma ha un significato nazionale e simbolico La città delle due torri anticipa tendenze generali della società».

L’Unità, 25 maggio 2013

Bononia caput mundi. Sui muri delle nostre camere di studenti universitari appendevamo manifesti con questo motto campanilista di cui andavano orgogliosi. E Bologna non ha mai deluso le aspettative poiché quando non anticipa trasformazioni della società nazionale, mostra come su un grande palcoscenico le sue interne contraddizioni. In questo senso, il referendum (solo consultivo) che si terrà domani è di grande significato nazionale e molto simbolico se la Cei stessa è intervenuta direttamente in campagna elettorale (mettendo il Comune a guida Pd nella imbarazzante situazione di doversi schierare con la Curia per riconfermare l’impegno a finanziare le scuole materne private).

Un referendum simbolico perché il campione di un conflitto insanabile che lacera il Pd (non da oggi). Poiché i due quesiti referendari pro e contro il finanziamento pubblico della scuola materna privata dividono la sinistra in tutte le sue situazioni: quella che governa il Comune da quella che sta fuori; e poi ancora, in quella che sta fuori, quella parte che ha una concezione cattolica dello Stato e quella parte che ne ha una laica. Le tensioni sotto le due torri sono rivelatrici di quelle che dividono il Pd, un esperimento volto a tenere insieme queste due anime (e forse altre ancora) che però quando si trova a dover fare scelte che implicano questioni «fondamentali» o si paralizza (una parte facendo veto all’altra) o si spacca, come a Bologna.

Veniamo al tema del referendum che è appunto il finanziamento pubblico delle scuole dell’infanzia private parificate. Scuole non dell’obbligo. Eppure il tema apre a più larghe implicazioni perché mette il dito sulla piaga della legge 62/2000, la quale aggirò l’ostacolo dell’art. 33 (che parla di scuola privata «senza oneri» per lo Stato) stabilendo che se le scuole private (quelle religiose in primis) rispettano determinati requisiti (stabiliti dallo Stato) possono richiedere e ottenere il finanziamento pubblico. La «parificazione» secondo gli interpreti di tradizione cattolica cambia il senso del pubblico poiché crea un sistema del pubblico nel quale le scuole statali e quelle parificate si equivalgono. Su questa base interpretativa il Comune ha diversi anni fa istituito convenzioni con le scuole private parificate. Il referendum chiede ai cittadini di dare un’indicazione all’amministrazione: se continuare a finanziare le scuole private parificate oppure no. La convenzione tra il Comune e le scuole materne private parificate venne messa in essere quando c’erano più disponibilità finanziarie. Ma oggi quella convenzione è un problema perché non riesce a gestire la penuria della risorse in maniera equa. Ma, dicono i politici «pratici», costa comunque meno sovvenzionare le private parificate che aprire nuovi posti per le comunali. Non vedono che il problema non è solo pratico. Infatti questa convenzione penalizza alcuni cittadini, in particolare quelli che volendo iscrivere i figli alla scuola pubblica vedono la loro domanda inevasa. Mentre la libera scelta non richiede il sostegno del finanziamento pubblico se non opta per un servizio pubblico, la libera scelta che opta per il servizio pubblico e resta insoddisfatta ha tutte le ragioni di protestare e chiedere di reperire le risorse. In questi tempi di grande crisi, il reperimento passa per la strada della ridiscussione della convenzione. Questo è il tema.

Ma in effetti il dissenso è ben più ampio e profondo: si scontrano nella sinistra, e nel Pd, due concezioni del pubblico. In un caso è visto come un «sistema» che comprende tutto il pubblico e quel privato riconosciuto dallo Stato o parificato. In un altro, è ciò che è pubblico dai fondamenti. La legge 62/2000 aggirò l’ostacolo dell’art. 33 ma non lo fece rendendo «pubblico» il privato. La legge dice che le scuole private che raggiungono determinati requisiti possono richiedere il finanziamento pubblico. La «parificazione» ci mostra una gerarchia di status tra le scuole. E inoltre, non trasforma la natura delle scuole private, ma stabilisce che queste, pur restando private, possono adeguarsi a criteri che le pubbliche hanno costitutivamente. Quindi il privato resta tale anche se «riconosciuto» dal potere pubblico. Finanziarlo è perciò un problema serio per chi ha una visione coerentemente costituzionale.

Eppure vi è una parte del Pd che si schiera per la difesa ideologica delle scuole cattoliche, con l’argomento che queste sono parte del «pubblico». La tensione tra visione cattolica e visione laica dei diritti e del pubblico è sotto gli occhi di tutti, e non c’è soluzione mediana. La tensione sui fondamenti dilacera il Pd, dunque, senza possibilità di soluzione. Questo di Bologna è un caso evidente della reale difficoltà di questo partito ad essere attore politico funzionale: poiché o si spacca quando deve prendere decisioni su questioni fondamentali, o non decide. Il fatto è che questi casi intrattabili sono sempre più frequenti e non rinviabili. E il Pd sempre meno attrezzato a risolverli con coerenza e forza argomentativa.

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