Sulla tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio non devono abbattersi altri tagli di fondi né amputazioni di strutture e di personale dopo quelle già pesantemente inferte nei mesi e negli anni scorsi fino ad intaccare l’ossatura stessa dei Beni Culturali e quindi la copertura territoriale della tutela. Rivolgiamo un appello forte e accorato al governo Monti affinché con la “revisione della spesa” in corso non pratichi né nuovi tagli di risorse né l’assurdo accorpamento burocratico delle Soprintendenze con altri uffici dello Stato, del tutto estranei alla tutela, né il pre-pensionamento di tecnici di grande esperienza e qualificazione di cui si parla in queste ore e che sguarnirebbe in modo decisivo la salvaguardia territoriale.
Il disastroso terremoto che ha colpito l’Emilia-Romagna e i gravi danni subiti dal patrimonio storico-artistico hanno confermato la mancanza di una politica di prevenzione e di messa in sicurezza antisismica del Belpaese e svelato la contraddizione di fondo di quanti pretendono che una parte del patrimonio diventi una “fabbrica di soldi” e però trascurano poi gli elementi fondamentali della conservazione del patrimonio stesso, “redditizio” o no che esso sia.
Nuovi colpi di accetta sui pochi fondi disponibili e nuovi vuoti nella rete della tutela aggraverebbero in modo irreversibile una situazione, già vicina al coma, la quale esibisce al mondo intero i nostri paesaggi aggrediti da cemento e asfalto senza piani regionali e spesso senza neppure controlli pubblici di sorta, con pesanti infiltrazioni malavitose; i nostri centri storici a rischio di svuotamento totale e/o di trasformazione in sempre più volgari “divertimentifici”; i nostri musei, siti archeologici, archivi, biblioteche immersi in crescenti, penose difficoltà; un Ministero ormai inerte da anni, Soprintendenze devitalizzate, disossate, private di fondi, di mezzi, di tecnici, frustrate da commissariamenti fallimentari a base di supposti “manager” (L’Aquila, Pompei, ecc.). Eppure c’è chi, a livello economico, individua la Salvezza nella magica formula “far fruttare i beni culturali”, “sfruttarli a fondo”, monetizzare in chiave privatistica il nostro patrimonio collettivo.
I firmatari di questo appello vogliono dire chiaro e forte:
“Noi non ci stiamo ad assistere inerti al massacro del Belpaese. Una vera, generalizzata politica di tutela dei beni culturali è l’opposto di una politica che riduce fondi, mezzi, strutture e punta contemporaneamente allo sfruttamento dei beni considerati “redditizi” secondo una logica privatistica.
L’Italia ha bisogno di una vera rinascita culturale, ma, per ritrovare un rapporto forte con la cultura, dobbiamo sgombrare il campo da una serie di luoghi comuni economicistici stratificati su cultura e beni culturali. Eliminiamo per sempre dal nostro lessico la frase: “la cultura è il nostro petrolio”. Dizione altamente pericolosa, anche perché equipara la cultura alla rendita fornita da un propellente fra i più inquinanti. La cultura non è una rendita di posizione. E’ un processo creativo continuo che presuppone ricerca, studio, tutela, restauro, conservazione. E’ un patrimonio di tutti.
I siti archeologici o i centri storici, gli archivi o le biblioteche, non sono “giacimenti” industriali sui quali intervenire con misure sbrigative ignorando, oltretutto, la storia specifica dell’amministrazione. Non sono cioè rendite da “sfruttare”: sono beni complessi e delicati, da tutelare, da restaurare, da conservare, da vivere, sì, da vivere con rispetto. Sono la nostra storia, la nostra identità, concorrono a fare la nostra qualità di vita. Come il paesaggio dove tutto si tiene.
Il momento economico è grave, gravissimo per il Paese, ma l’Italia, che è già agli ultimi posti negli investimenti pubblici e privati per la cultura e per i beni culturali (pur avendo un patrimonio ingentissimo), non può rattrappire ancor più questa spesa già modesta e talora avvilente. Non può pensare di “risparmiare” sul personale e sugli strumenti della tutela che provvedono a salvaguardare il Belpaese minacciato da ogni parte da cemento legale e illegale. Né stabilire una gerarchia fra beni maggiori e beni minori.
Verrebbe colpita a morte la cultura del “contesto”, cioè una delle conquiste centrali dalla nostra idea di tutela, da Raffaello in qua. Per noi non c’è edilizia maggiore e edilizia minore, non ci sono “monumenti” scissi dal resto della città antica che quindi si può abbattere, sventrare, diradare, ecc. Questa logica aberrante – proposta di recente dall’Ocse per l’Aquila - ci fa regredire, quanto meno, agli sventramenti mussoliniani. Mentre l’Italia può vantare di aver raggiunto negli anni ’60 e ’70 del ‘900 un autentico primato culturale in materia di restauro integrale dei centri storici (anche della città “vecchia”), di vivibilità, di tutela accurata. Sarebbe quindi una regressione raccapricciante.
Possiamo operare salvaguardie e anche risparmi importanti (per esempio nel dissennato consumo di suolo) riportando in onore la pianificazione. A cominciare dai piani paesaggistici lasciati invece marcire da tutti i ministri, da Bondi a Ornaghi, nonostante il Codice per il Paesaggio. Dobbiamo richiamare Stato, Regioni, Enti locali ai loro compiti strategici, alla responsabilità così chiaramente identificata dall’articolo 9 della Costituzione, uno dei più disattesi negli ultimi anni. Da tutti. Dobbiamo richiamare con energia i partiti, i sindacati, i movimenti politici alle loro responsabilità: così il Belpaese corre verso l’autodistruzione. Senza un piano generale per la difesa del suolo e per la messa in sicurezza antisismica (che darebbero molto più lavoro, e più diffuso, alle imprese delle grandi opere), il Belpaese va incontro ad altri disastri, ad altre vittime innocenti, ad altre dissipazioni di beni preziosi ed irripetibili.
Non dobbiamo stancarci di chiarire che la tanto declamata “redditività” dei beni culturali e paesaggistici è semmai indiretta e non diretta. Non sono i musei, ad esempio, a “fruttare” (i mega-musei come il Louvre non “rendono” un solo euro, ma registrano un forte passivo coperto, per oltre la metà, con denaro pubblico). Può rendere invece, può produrre reddito e occupazione l’indotto turistico creato attorno ad essi, con una rete di accoglienza turistica “virtuosa” e rispettosa. Non il turismo miope e speculativo che sfrutta, invade, degrada e consuma sempre più centri storici e paesaggi.
Siamo pienamente favorevoli ad una seria e trasparente politica di detassazione per le donazioni e per gli investimenti privati nei beni culturali recuperando, ad esempio, i criteri della buona legge Scotti del 1982, che favorì in modo molto concreto gli interventi privati in dimore e giardini storici senza far perdere una lira al fisco. Anzi, facendone guadagnare coi maggiori lavori. Buona legge purtroppo mutilata nella grande crisi del 1992-93.
Siamo anche pienamente favorevoli ad una riorganizzazione in senso tecnico (ma tecnico davvero) dell’Amministrazione dei Beni culturali che la renda più snella, che semplifichi le procedure di spesa riducendo grandemente i pesanti residui passivi: bisogna dare più poteri ai Soprintendenti e insieme garantire tutti con regole inattaccabili sul piano della trasparenza e della qualità degli appalti. Su entrambi i versanti sentiamo di dover lavorare con approfondimenti e proposte.
Noi crediamo infatti alla ricerca, alla cultura e ai suoi beni come straordinario generatore di una nuova, epocale rinascita, anche economica, del Paese. Noi crediamo alla Bellezza come pilastro di tale politica, come diritto civile, come bene sociale fondamentale. Di cui dobbiamo essere assai più coscienti di quanto non siamo stati sinora.
Vittorio Emiliani e Desideria Pasolini dall’Onda (Comitato per la Bellezza), Irene Berlingò (Assotecnici), Marisa Dalai (Associazione R.Bianchi Bandinelli), Alberto Asor Rosa (Rete Comitati), Maria Pia Guermandi (Eddyburg), Donata Levi (PatrimonioSos), Carlo Alberto Pinelli (Mountains Wilderness), Giuserppe Basile (Associazione Cesare Brandi), Marina Foschi (Italia Nostra, presidente regionale Emilia-Romagna), Antonio Pinelli, Licia Borrelli Vlad, Pier Luigi Cervellati, Vezio De Lucia, Luigi Manconi, Salvatore Settis, Arturo Osio, Carlo Ripa di Meana (presidente sezione romana di Italia Nostra), Anna Donati (assessore alla Mobilità del Comune di Napoli), Francesco Caglioti, Cesare De Seta, Andrea Emiliani, Mario Torelli, Rita Paris, Anna Coliva, Rossella Rea, Carlo Pavolini, Nicola Spinosa, Ruggero Martines, Bernardino Osio, Maria Luisa Polichetti, Corrado Stajano, Marino Sinibaldi, Marco Bellocchio, Marco Tullio Giordana, Sandro Petraglia, Jacqueline Risset, Chiara Valentini, Carmine Donzelli, Gianfranco Pasquino, Furio Colombo, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, Tomaso Montanari, Massimo Teodori, Giovanna Borgese, Enrico Menduni, Andrea Purgatori, Chiara Frugoni, Marta Bruscia, Sauro Turroni, Gianni Mattioli, Franca Fossati Bellani, Carla Ravaioli, Annarita Bartolomei, Vito Raponi, Mario Canti, Milton Gendel, Gianni Venturi, Benedetta Origo, Giuseppe Marchetti Tricamo, Elena Doni, Roberto Meneghini, Giuseppe Barbalace, Gianandrea Piccioli, Alfredo Antonaros, Antonio Lubrano, Elio Veltri, Violante Pallavicino, Ivana Della Portella, Paolo Sorcinelli, Toni Jop, Isa e Mario Sanfilippo, Arturo Guastella, Nino Criscenti, Stefano Rolando, Fernando Ferrigno, Pino Coscetta, Gabriella Turnaturi, Massimo Loche, Giovanna Arciprete, Paola Germoni, Stefano Antonetti, Giorgio Cerboni Baiardi, Mario Baccianini, Patrizia Guastella, Valentina Gallenti, Gianluca Guastella, Maria Nicoletta Pagliardi, Fedora Filippi, i consiglieri nazionali di Italia Nostra: Nicola Caracciolo, Maria Teresa Roli, Luca Carra, Giovanni Gabriele, Oreste Rutigliano, Teresa Liguori, Leandro Janni, Franca Leverotti, Maria Rosaria Jacono, Ebe Giacometti, Maria Rita Signorini.