“Nnpp”, il nuovo movimento “Non ne possiamo più” che Vittorio Emiliani ironicamente propone (l’Unità14.6.2009) riguardo a certe mene postelettorali nel Pd, vorrei applicarlo alla pertinacia con la quale architetti internazionalisti fra i più noti squadernano progetti grandiosi e insensati in ogni luogo che gli capiti sottomano. L’ultima denuncia è di Francesco Erbani su Repubblica del 13 scorso (vedi anche in eddyburg): progetto di Ricardo Bofill per il lungomare di Salerno. Un “Crescent alto come un palazzo di dieci piani visto dal lungomare avrà l’aspetto di un immenso paravento solcato da colonnine che gli danno un marchio postmoderno (ma molto in ritardo)”, cui si aggiunge una manciata di altri edifici per un totale (cito ancora Erbani) di oltre 150.000 metri cubi. Ciò che colpisce in episodi di questo genere da molti anni ricorrenti in diverse città e cittadine, si divide in almeno tre ragioni (a parte l’ovvia domanda dell’imprenditore e/o proprietario): un sindaco (eventualmente sostenuto da una giunta o da un Consiglio comunale) che aspira a iscrivere il proprio Comune nel Guinness dei primati relativi alla tronfiezza architettonica e all’arrendevolezza urbanistica, sindaco che addirittura, come nel caso salernitano, diventa fanatico sostenitore al di là da ogni ragionevole dubbio; un architetto disponibile non solo a realizzare un’opera completamente avulsa dal conteso fisico-sociale per enormità di apparenza e di inconsistenza sostanziale, ma a garantire l’ottenimento senza sconti della montagna di metri cubi edilizi richiesti dallo speculatore di turno colluso «culturalmente» con l’amministrazione pubblica; un architetto, il medesimo, propenso a proporre continuamente la stessa soluzione, come se non sapesse che il problema dell’architettura si presenta ogni volta in maniera diversa e secondo diverse condizioni ed esigenze urbanistiche, solo deciso a imporre la figura manifesto della propria superiore arroganza. Il Crescent di Bofill (lasciamo perdere la pretesa di uguagliarsi alla mirabile opera di John Wood il Vecchio a Bath) passa, lo nota il soprintendente, da Cergy Pontoise a Savona a Montepellier. E, annoto, deriva dall’ormai vecchio ipercolonnare “Les Echelles du Barocque” di Parigi/Montparnasse. Tutto questo non ha niente a che fare con la coerenza d’artista; consegue alla pretesa di reclamare la validità dell’architettura come oggetto in sé e per sé, come forma individuale, a prescindere dalla città, dall’ambiente fisico e sociale, dal paesaggio. Quando poi si tratti di mare e costa sembra che non ci sia scampo: in eddyburg abbiamo denunciato il caso incredibile di Mola di Bari “il meno immaginabile di territori disponibili” coi due fronti a mare “sacrificati alle potenti cubature ideate da Oriol Bohigas, grazie tante al contesto” (Falsificazione dell’architettura e privazione dell’urbanistica, in eddyburg 11.09.2006. Quando l’architetto si innamora di una forma astratta diventata maquette sul suo tavolo da lavoro o rendering di computer, sembra reticente a mollarla caschi il mondo, qualsiasi sia la localizzazione. Riguardo alle città di mare forse è meno noto un caso recente apparso sulle pagine locali di Repubblica/Genova. Mario Botta propone per Sarzana (Sp) una specie di torraccione a fungo, gonfio e altissimo, cilindrico due volte; ma cilindri contraddistinguono anche un suo progetto per Boccadasse a Genova. E prima fece scalpore, nella ricostruzione della Scala di Milano, il volume cilindrico ellittico (di cui non c’era bisogno) come fosse posato sul tetto del neoclassico Palazzo del Biffi e che, nella visione dalla piazza, guardiamo spaesati affiancare il colossale cubo scenico del teatro.
Nnpp. Non dovremmo denominare architettura queste cose e cosone. D’altronde un altro carattere le distingue come oggetti estranei ai contesti: la mancanza di indicazioni circa una attendibile e utile destinazione. Insomma cosa conterranno tali enormi volumi edificati è indifferente. Il corretto, ben studiato, prevedibile utilizzo degli spazi, punto d’onore di ogni progetto legato a una propria necessità, non interessa né allo speculatore, né al sindaco vanitoso, né al progettista famoso. Il “mostro”, come usa chiamarlo, inverato ridistribuirà comunque proporzionati vantaggi alle tre parti.