Mai hanno però potuto operare e uno dopo l’altro hanno dovuto ripiegare. A poco meno di due mesi dalle elezioni presidenziali, il leader nigeriano sembra sempre più chiuso in se stesso. Il suo omologo del Camerun, Paul Biya, invoca un’azione globale, chiede un intervento internazionale davanti alla sfida lanciata dai qaedisti anche al suo Paese. Ma per ora ha raccolto solo silenzio, un silenzio che uccide cristiani e islamici e continuerà a farlo con una crescita esponenziale fino al voto di febbraio.
Di fronte alla paralisi, all’assenza di una risposta concreta da parte dell’esercito nigeriano, il gruppo terrorista continua ad espandersi. Cresce di numero, come crescono gli ostaggi che cattura nei villaggi e che schiavizza. Crescono i kamikaze bambini, le donne che si fanno esplodere. Tutto somiglia terribilmente ai metodi dei jihadisti che comandano in parti della Siria e dell’Iraq: perché è all’Is di Abu Bakr Baghdadi che Boko Haram si ispira, benché sia nato prima. Lì il silenzio è stato rotto da tempo, in Nigeria continua a vincere.
All’Onu la questione resta sempre sotto traccia, le decine di rapporti trovano poco spazio anche sui media, come le notizie (spesso inverificabili) sul numero delle vittime nei vari attacchi. Eppure, si tratta dell’altra faccia dello stesso problema. Una derivazione «tumorale», come l’hanno definita i vertici della Chiesa locale. Che continua, drammaticamente, a non preoccupare.